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domenica 31 gennaio 2021

Gino Langella ci ha lasciato

Gino Langella
 

Questa notte Gino Langella, celebre ginecologo, ma soprattutto cultore dell'amicizia, ci ha lasciato, provocando sconforto tra i familiari ed i tanti amici che gli volevano bene.
Io lo conoscevo da circa 50 anni e tra noi vi è stata sempre una perfetta sintonia.
Abbiamo vissuto momenti felici e tristi, ma siamo stati sempre legati da un vincolo profondo. A bordo del suo yacht abbiamo ospitato splendide fanciulle, alle mie feste di carnevale era costantemente presente con abiti sempre diversi, da pontefice a nobile dell'Ottocento, ma il momento più difficile è stato quando abbiamo varcato assieme l'ingresso del carcere di Poggioreale, che ha avuto l'altissimo onore di averci ospitato, anche se assolutamente innocenti.
Il momento che più ricordo con affetto è quando, nel 1994, ricoverato in rianimazione, a seguito di un infarto, mia moglie poteva intravedermi attraverso un vetro 10 minuti al mattino e 10 nel pomeriggio, mentre lui, indossato il camice entrava baldanzoso e mi stringeva a lungo con tenerezza la mano, Purtroppo non ho potuto ricambiare questo gesto impagabile per le rigide regole imposte dalla pandemia.
Per fortuna ha un nipote che porta il suo nome e che sarà un ricordo vivente proiettato nel futuro.
Arrivederci Gino, ci rivedremo di nuovo dove il tempo non esiste e continueremo assiduamente a frequentarci
 

 

sabato 30 gennaio 2021

Quando riaprirà l’acquario della Villa comunale?



Tra le tante cose di cui vergognarsi, una delle più eclatanti per Napoli è la chiusura da decenni e senza speranza di riapertura in tempi decenti dell’acquario sito nella Villa comunale, che, quando nel 1874 fu creato da Anton Dohrn, allievo prediletto di Darwin, fu il primo esempio in Europa di struttura interamente dedicata all’esposizione della flora e della fauna marina del Mediterraneo e per decenni venne considerato uno dei più importanti del mondo. Accorrevano numerosi visitatori e turisti, che rimanevano estasiati, oltre che dalle rarità ittiche esposte, anche dagli splendidi affreschi di Hans Von Marees, che adornavano le sale della biblioteca.
La struttura in completo stato di abbandono è in buona compagnia: statue vandalizzate dai writers, viali invasi da erbacce, cani randagi ed a pochi passi, in stato di abbandono totale, lo splendido edificio che ospitava la sede dell’ordine dei giornalisti: la Casina del boschetto, dagli ampi ed eleganti saloni, che potevano essere affittati per feste sfarzose e dove si sono svolti nel 1998 le mie nozze d’argento.

Achille della Ragione

 

Il Mattino pag.34 -17 marzo 2021

Il museo, la biblioteca e l’ossario

 

fig.1 - Biblioteca

Nella parte sotterranea dell’Abbazia di San Michele trovano posto un museo, una biblioteca ed un ossario, collocati a diversi livelli.
Al primo livello vi è un Presepe, composto prevalentemente da pastori di scuola napoletana realizzati nel XVIII secolo in legno e terracotta che indossano i costumi tipici dell’epoca. A pochi passi dal presepe si trova la Cappella della Madonna del Rosario, dove hanno trovato collocazione antiche statue del XIX secolo ed alcuni dei paramenti sacri del XVIII e XIX secolo.    
Cominciamo la nostra descrizione parlando della biblioteca (fig.1), ricca di 8000 volumi tra testi a stampa e manoscritti, di cui il più antico è del 1534. Gli argomenti trattati sono i più vari, si va dall’ostetricia pratica alla geografia (fig.2) fino agli spartiti musicali (fig.3) e va rilevata tra gli scaffali la presenza di alcuni manuali di magia e di trattati sul demonio, volumi che fanno immaginare un’intensa attività di esorcismo praticata sull’isola, da ricondurre ad alcune prerogative del santo patrono, il quale viene costantemente invocato dal sacerdote che deve guarire chi è posseduto da Satana. Per molti anni la biblioteca è stata abbandonata a se stessa e solo di recente è cominciata una meritoria opera di catalogazione e di restauro, che consentirà di salvare l’ingente quanto prezioso patrimonio librario oltre a dei corali in pergamena e cartacei risalenti al XVI secolo (fig.4). 

 

fig 2 -  Testi rari

fig.3 -  Spartito musicale

fig.4 - Corali del XVI secolo

A pochi passi dal presepe si trova la Cappella della Madonna del Rosario, dove hanno trovato sistemazione antiche statue (fig.5) e procedendo lungo il percorso si giunge poi alla Cappella di San Michele (fig.6), antico e suggestivo tempio affrescato nel XVIII secolo (fig.7) e restaurato nel 1907, fino al 1885 sede della Confraternita dei Turchini devota alla Madonna Immacolata. Oggi ospita la Congregazione dei “Gialli” devota a S. Michele Arcangelo, fondata nel XIX secolo da don Nicola Ricci, la più recente delle quattro confraternite dell’isola. All’interno della cappella vi sono una statua di S. Michele (fig.8) che richiama l’arte siciliana donata all’Abbazia nel 1811 e un organo a mantice (fig.9) in legno dipinto, intagliato e dorato realizzato nel 1770 da Domenico Antonio Rossi famoso “organaro” napoletano.  

fig.5 - Statua in legno intagliato e policromo
del Settecento (particolare)

fig.6  - Cappella di S. Michele

fig.7 - Particolare del soffitto della Cappella di San Michele -
Affresco del XVIII secolo
 

fig.8 - Statua di  San Michele

 fig. 9 - Organo a mantice

fig.10 -  Discesa alla Segreta

Scendiamo ancora più in basso (fig.10) e troviamo  “La Segreta” dove un tempo si riunivano gli appartenenti alla Congregazione detta dei “Rossi” fondata da S. Alfonso Maria Dei Liguori nel 1733 che venera L’Addolorata. Questa è la confraternita che incuriosisce di più i visitatori sia per il nome che per il fascino del luogo che la ospitava che è intriso di mistero. E’ possibile ammirare una struttura lignea del XVIII secolo, i Banchi dei Confratelli e del Governo che copre quasi l’intero perimetro della cappella, dove un tempo si riuniva il Clero per discutere degli avvenimenti dell’isola: le famose Sedute Capitolari. La Cappella, dedicata a S. Alfonso (fig.11) è impreziosita da una splendida Deposizione del Cristo (fig.12) del 1746 opera di Domenico Guarino, allievo di Luca Giordano. Anche qui troviamo un organo a mantice del XVIII secolo, ma tuttavia a catturare l’attenzione del visitatore è però un’altra singolare presenza, quella di tre bare (fig.13-14) e di un’urna risalenti al XIX secolo, realizzate in legno intagliato e dorato. Qui trovano collocazione gli ex-voto dipinti ad olio (fig.15–16–17), testimonianza della vocazione marinaresca del territorio.
Queste preziose opere oltre a confermare la devozione a San Michele Arcangelo costituiscono, grazie anche alle didascalie poste in basso ad ogni tela, una valida documentazione atta a ricostruire la storia della marineria procidana.  
L’ultima tappa è costituita dall’ossario-necropoli, antico luogo di sepoltura per la presenza di un ambulacro d’interro e di mummificazione al quale si accedeva attraverso botole le cui aperture sono ancora visibili sul soffitto di questi locali. Ai cadaveri veniva praticata la tecnica dello “scolatoio” che unitamente al particolare microclima del luogo favoriva una sorta di mummificazione dei corpi, grazie alla quale ancora oggi è possibile vedere resti umani parzialmente mummificati. Sono altresì visibili alcuni scheletri che costituiscono solo una piccola parte dell’enorme massa di ossa che si è accumulata per secoli nella profonda cavità tufacea al di sotto dell’Abbazia utilizzata come cimitero dell’isola.

 

fig.11 -Cappella di S. Alfonso

 

fig. 12 - Domenico Guarino -
Deposizione di Cristo - Cappella di S. Alfonso

 

fig.13 - Tre bare in bella evidenza

fig.14 - Una delle bare in legno ntagliato

fig.15 - Corridoio con esposti gli  ex voto

 

fig.16 - Ex voto,
pescatori che si mettono in salvo sulla scialuppa

 

fig.17 - Ex voto,
ritorno alla Corricella di pescatori con un ferito


venerdì 29 gennaio 2021

L’Abbazia di San Michele Arcangelo

fig.1 -Acropoli di Terra Murata e Abbazia di San Michele Arcangelo

Una chicca preziosa che da sola giustifica una visita a Procida è costituita dall’Abbazia di San Michele Arcangelo, che sorge sul promontorio di Terra Murata a circa 91 metri a picco sul mare (fig.1), da dove si può ammirare un panorama da favola (fig.2).

fig.2 - Vista sul golfo dal terrazzo dell'abbazia


fig.3 - Ingresso

Il borgo di Terra Murata per la sua posizione strategica costituì il primo nucleo abitativo dell’isola. Nel 1563, per volere del Cardinale Innico D’Avalos d’Aragona, signore e abate commendatario dell’isola, “la Terra” fu dotata di un imponente e articolato sistema difensivo con mura e torri di avvistamento e rinominata Terra Murata ovvero terra cinta da mura, assumendo un assetto che ancora oggi è possibile rintracciare. La vita del borgo si svolgeva tutt’intorno all’Abbazia di San Michele Arcangelo. Nata come monastero benedettino, la chiesa fu fondata nel 1026 e dedicata al culto di Sant’Angelo. Solo in seguito, presumibilmente alla fine del XV secolo, fu intitolata a San Michele Arcangelo patrono dell’isola.   
L’odierno impianto della chiesa è frutto di molteplici stratificazioni architettoniche avvenute nel corso dei secoli, la più importante ad opera del Cardinale Innico D’Avalos (1561) che le conferì l’impronta architettonica ancora oggi ben riconoscibile. Di forma longitudinale a croce latina “asimmetrica” con una navata centrale e due laterali è arricchita sul lato sinistro di ulteriori tre cappelle ottocentesche. L’Abbazia è dotata di due diversi ingressi, quello principale detto Porta del Carmine (fig.3) con il portale in pietra di piperno del 1600 e l’ingresso secondario, sito dal lato opposto, caratterizzato dalla presenza di una statua di San Michele Arcangelo e dall’iscrizione “Defende nos in praelio” (difendici nella battaglia). Lo scorrere implacabile del tempo è scandito da un orologio solare (fig.4) costruito nel 1872.    
Numerose sono le opere d’arte presenti nell’Abbazia di San Michele databili tra il XVI e XIX secolo. Varcando la soglia dell’ingresso principale si può ammirare il prezioso soffitto a cassettoni in legno dorato in oro zecchino (fig.5), realizzato nel XVII secolo, al cui centro è collocato il dipinto datato 1699 “San Michele che sconfigge gli angeli ribelli” (fig.6), a lungo attribuito a Luca Giordano, fino alla scoperta nell’Archivio Storico del Banco di Napoli di un documento di pagamento a favore del pittore romano Luigi Garzi.   

 

fig.4 - Orologio solare - 1872
 
fig.5 - Soffitto a cassettoni in legno ed oro
 

fig.6 - Luigi  Garzi - San Michele che sconfigge gli angeli ribelli

fig.7 -  Navata-centrale

fig. 8 -  Interno della chiesa

Percorrendo la navata centrale (fig.7-8), giunti all’altare maggiore (fig.9), si scorge l’antico coro ligneo del XVII secolo sormontato da quattro dipinti di scuola napoletana datati 1690 del pittore Nicola Russo, allievo del più famoso Luca Giordano. Di particolare rilievo è la tela che raffigura l’apparizione e il miracolo di “San Michele Arcangelo che protegge l’isola di Procida” (fig.10–11) da una incursione saracena, poiché ci fornisce un immagine dell’isola a quei tempi. Un altro interessante dipinto dello stesso autore rappresenta l’Apparizione dei tre angeli ad Abramo (fig.12).   
Al centro del coro, fra i quattro dipinti, è collocata una statua in legno che raffigura San Michele Arcangelo datata 1606.
Ai lati del transetto vi sono due grandi cappelle: a sinistra quella del Santissimo Sacramento, a destra quella dello Spirito Santo.  

 

fig.9 - Altare maggiore

fig.10 - Nicola Russo -  San Michele appare su Procida


fig.11 - Nicola Russo -  San Michele appare su Procida
 

fig.12 -  Nicola Russo - Apparizione dei tre angeli ad Abramo

La navata sinistra è caratterizzata da tre cappelle ottocentesche. La cappella della Madonna del Carmine (fig.13) dove troneggia una pregiata statua lignea della Madonna con decorazioni in oro zecchino. La cappella intitolata a San Michele Arcangelo (fig.14) che ospita la preziosa statua del Santo patrono realizzata in argento e oro nel 1727 dai maestri argentieri napoletani Nicola e Gaetano Avellino, su disegno dell’artista  Domenico Antonio Vaccaro. La cappella di Lourdes (fig.15), suggestiva ricostruzione della grotta di Lourdes testimonianza del fervente culto mariano degli isolani. Sul lato opposto alle tre cappelle ottocentesche, nella navata di destra, vi sono tre altarini gentilizi un tempo appartenenti alle famiglie nobili dell’isola, le quali celebravano in forma privata le funzioni religiose e qui avevano il  diritto di sepoltura 

 

fig.13 - Cappella della Madonna del Carmine-

fig.14 - Cappella di San Michele Arcangelo -
Statua in argento e oro
 
fig.15 -  Cappelletta della Madonna di Lourdes

Tra i dipinti, degni di nota, vi è una Dormitio Virginis (fig.16), un olio su tavola databile alla fine del XVI secolo, attualmente collocato sul primo altare della navata sinistra, nel quale la Madonna appare distesa, circondata dai 12 apostoli, tra i quali San Pietro che indossa paramenti episcopali e S. Andrea con l’incensiere, mentre nella parte inferiore del dipinto singolare è la presenza di due sante raffigurate a mezzo busto: S. Agata e S. Barbara. Alla destra dell’ingresso principale vi è poi una splendida tela del XVI secolo, di scuola fiamminga, raffigurante: il Giudizio di S. Lucia dinanzi al tiranno di Siracusa (fig.17).          
Sul lato opposto, nella navata di destra, vi sono tre altarini gentilizi un tempo appartenenti alle famiglie nobili dell’isola le quali celebravano in forma privata le funzioni religiose e qui avevano il diritto di sepoltura. In uno di questi durante il periodo natalizio era esposto un meraviglioso presepe interamente realizzato con conchiglie e frutti del mare. Una vera e propria opera d’arte.          
Sono presenti anche dei piani sotterranei dove si trova un percorso museale, una biblioteca e varie sale dove sono esposti degli ex voto, che costituirà argomento di un prossimo capitolo.          
Due sono le processioni in onore del Santo Patrono. La prima l’8 maggio, data canonica dell’apparizione del 1535, in cui la statua in oro e argento dell’Arcangelo Michele dopo la S. Messa viene portata in processione per tutta l’isola dai Confratelli detti “dei Gialli” (dal colore della “mozzetta” che portano sulle spalle), seguita dal corteo dei fedeli procidani. La seconda il 29 settembre giorno in cui ricorre la festività degli arcangeli. La statua di San Michele dopo la S. Messa viene portata in processione fino al belvedere dei Cannoni da dove viene impartita la benedizione su tutta l’isola.


Achille della Ragione

 

fig. 16 - Ignoto pittore fine del XVI secolo -
Dormitio Virginis - Olio su tavola

 

fig.17 - Ignoto pittore del XVI secolo -
Il Giudizio di S. Lucia dinanzi al tiranno di Siracusa

 
 

lunedì 25 gennaio 2021

Procida capitale della cultura, ma anche della bellezza

fig.1 - Procida capitale della cultura 2022


 
Da pochi giorni Procida, l’isola di Arturo, di Graziella e… del Postino è stata proclamata Capitale della cultura per il 2022 (fig.1) e subito i massimi editori mi hanno contattato per preparare un libro, ricco di foto a colori, da distribuire in tutta Italia. Mi sono immediatamente messo al lavoro e prometto ai lettori che entro pochi mesi il futuro best seller vedrà la luce, nelle more voglio illustrare alcuni aspetti salienti di questa splendida isola, che merita di essere conosciuta.   
Procida (fig.2) ha una lunga storia, con vari popoli che l’hanno dominata: Calcidesi, Siracusani, Greci ed infine Romani. Dopo le devastazioni da parte di Visigoti e vandali, l’isola cadde sotto la corona Sveva, che la diede in feudo ad una famiglia Salernitana alla quale apparteneva il famoso Giovanni da Procida (fig.3), uno degli eroi dei vespri siciliani nel 1282, che fece anche edificare un castello. Divenuta feudo dei D’Avalos, nel 1534 subì una grave incursione da parte del pirata Kahir Ed Din, detto il Barbarossa (fig.4).Ulteriori scorrerie piratesche indussero una parte della popolazione a trasferirsi sulla terraferma, dando luogo alla località Monte di Procida, e chi rimase a realizzare torri di difesa e cinte murarie. Sotto Carlo III divenne sito reale per soddisfare la passione venatoria del sovrano. 

 

fig.2 - Cartina di Procida

fig. 3 - Giovanni da Procida

 

fig.4 - Il pirata Barbarossa

Nel 1806 fu occupata da Giuseppe Buonaparte, per ritornare poi ai Borbone con Ferdinando I, il quale destinò il castello (fig.5) prima a scuola militare e infine a bagno penale, funzione che ha conservato per oltre 150 anni, ospitando detenuti politici ed infine ergastolani.      
 Il destino di Procida è stato sempre legato al mare. Pescatori e marinai sono stati per secoli i Procidani, dotati di una flotta costituita da tartane e feluche in cospicuo numero. Nel Settecento il naviglio isolano contava circa 100 scafi, che aumentarono costantemente nel tempo, mentre molti erano gli armatori. Nel secolo scorso sorse un importante Istituto nautico e varie scuole professionali marittime.    
Tra le tradizioni popolari vi sono numerose processioni, particolarmente in onore del patrono san Michele Arcangelo (fig.6), che si svolgono l’8 maggio in ricordo dell’apparizione sul Gargano ed il 29 settembre, nel borgo di Terra Murata, quando, fino a pachi anni fa era possibile assistere ad una tarantella animata dal suono di strumenti popolari, dal siscariello allo scetavajasse, dal putipù al triccabballacche. Altri momenti d’intensa sensibilità religiosa si manifestano durante la settimana santa con una processione di confratelli incappucciati e coronati di spine e con il corteo del Venerdì Santo (fig.7) con rappresentazioni di episodi delle Sacre Scritture.     

 

fig.5 - Il castello sito a Terra Murata

 

fig.6 - Processione in onore di San Michele Arcangelo

   

fig.7 - Processione del venerdi santo

fig. 8 - Alici a volontá

Una figura parareligiosa molto diffusa sull’isola è quella delle “monache di casa”, donne che superata l’età del matrimonio si dedicavano, a mo’ di perpetue, all’assistenza di un sacerdote, spesso un parente e nell’arte della divinazione, una facoltà molto richiesta là dove gran parte della popolazione aveva familiari lontani impegnato come naviganti.    
La cucina locale è particolarmente povera e si basa su verdure e ortaggi, alici (fig.8) e sarde, carne di coniglio e frattaglie di bovini e suini, perché tagli di carne di maggiore pregio e pesci più richiesti sul mercato erano destinati alla terraferma, il piatto più povero per eccellenza, era una zuppa di pane raffermo, condita con aglio prezzemolo e pomodoro.             
 L’isola è ben collegata alla costa ed è raggiungibile con traghetti ed aliscafi (fig.9), è collegata con un ponte alla limitrofa isola di Vivara, da tempo oasi naturale protetta (fig.10) ed è dotata di spiagge invitanti (fig.11) Nell’Ottocento molti procidani emigrarono sulle coste dell’Algeria, dove la pesca era più generosa e dove era presente il corallo. Essi si fermarono soprattutto a Mers El Kebir, trasferendovi un patrimonio di tradizioni dai canti alle feste e vi rimasero fino al 1962, quando a seguito della rivolta locale si portarono nella zona di Marsiglia, dove ancora oggi vi è una nutrita colonia di procidani.        
La storia recente dell’isola s’intreccia con quella del “bagno penale”, nome originale dato da Ferdinando II, il quale alludeva, non certo alla possibilità dei reclusi di godere della contigua spiaggia della Chiaia, bensì perché con la detenzione ci si lavava delle proprie colpe. Ospiti illustri sono stati Giovanni Ansaldo, il mitico direttore de Il Mattino, il Maresciallo Rodolfo Graziani, i quali hanno saggiato l’opera di redenzione attraverso l’esercizio di umili lavori artigianali, dalla falegnameria alla tessitura del lino, oltre naturalmente alla coltivazione dei terreni limitrofi al penitenziario. Ebbi l’opportunità di visitare il complesso (fig.12) poco prima che venisse chiuso all’improvviso nel 1988, grazie all’amicizia con l’allora direttore Greco e ricordo ancora con commozione la lapide posta all’ingresso del piccolo cimitero: “qui finisce la legge degli uomini e comincia la legge di Dio”.      
Dopo la chiusura, il complesso versa in condizioni pietose, mentre potrebbe rappresentare una cospicua risorsa per l’economia isolana.         

 

fig.9 - Porto di Procida

 

fig.10 -  L'isolotto di Vivara e Procida

fig.11 - Una spiaggia di Procida
  

fig.12 - Carcere-borbonico ingresso

fig.13 - Graziella

Dal Seicento si diffonde un costume tradizionale, chiamato Graziella (fig.13), costituito da un corpetto, un gonnellina scarlatta, un grembiule violaceo, una zimarra ricamata in oro ed un crespo di seta sul capo. Esso era ispirato da quello indossato dalle donne di una piccola colonia Armena di stanza al molo piccolo di Napoli. Graziella è anche il nome dell’eroina del celebre romanzo di Alphonse de Lamartine (fig.14–15), scritto nel 1852, figlia di pescatori e lavoratrice di corallo, della quale il romanziere racconta di essersene innamorato durante il suo soggiorno nell’isola e di averne avuto notizia della sua morte al ritorno in Francia. Oggi dà il nome ad un premio letterario e ad un concorso: “La sagra del Mare”, durante il quale le fanciulle sfilano con il tradizionale costume locale.        
Un altro romanzo legato all’isola è quello scritto da Elsa Morante durante una sua vacanza con il marito Alberto Moravia:“ L’isola di Arturo” (fig.16).     
Esso parla della scoperta dell’amore da parte di un giovane, che qualcuno ha voluto identificare col poeta Dario Bellezza, anche quest’ opera è alla base dal 1987 di un premio letterario e della pubblicazione cahiers Elsa Morante.       
Infine, in tempi recenti, il regista Micheal Radford, ha ambientato a Procida il romanzo di Skarmenta “Il Postino” (fig.17), interpretato da un impareggiabile Massimo Troisi (fig.18), il quale ha contribuito al rilancio turistico dell’isola e dato luogo ad un premio annuale per il tema migliore tra gli studenti procidani.
Rimanendo nell’ambito della cultura popolare bisogna ricordare di proverbi sorti spontaneamente in una popolazione di marinai e contadini e che si esprimono in un vernacolo particolare, difficile da intendere per gli stessi napoletani.
Volendo trattare di cultura “alta”, non si può certo dimenticare i tanti personaggi noti che amavano trascorrere lunghi periodi sull’isola, dal regista Montaldo (fig.19), di cui riuscii a comprare la ricca biblioteca, fornita di numerosi romanzi in inglese e francese e lo storico dell’arte Cesare Brandi, il quale per 30 anni visse in quella, che secondo la leggenda fu la casa di Graziella, combattendo una strenua battaglia in difesa dell’ambiente.
Altri intellettuali da citare sono Antonio Paolucci, fondatore della testata “L’ora di Procida” e Vittorio Parascandola, medico e scrittore, il quale per anni sul “Il Giornale di Procida” pubblicò dei dialoghi tra vicine di casa a commento degli avvenimenti isolani.
Tra i pittori procidani non vi sono nomi famosi, ma nessuno meglio di “Cecco da Procida”, Camilla Mazzella e Teresa Barone hanno saputo rendere sulla tela, con colori vivaci e accese tonalità, scorci di paesaggio ed albe indimenticabili.
 
Achille della Ragione

fig.14 - Copertina romanzo

fig.15 - La Martine

fig.16 - L'isola di Arturo

fig.17 - Locandina de Il postino


fig. 18 - Massimo Troisi


fig.19 - Il regista Giuliano Montaldo