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giovedì 7 novembre 2019

Incoraggiamo il suicidio


fig.1 - Suicidio samurai


Il tema di cui tratteremo è sicuramente scabroso, ma invito i lettori a meditare sugli innegabili vantaggi economici e sociali che scaturirebbero se prendesse piede la cultura del suicidio, quando la vita non è più degna di essere apprezzata. Il Cristianesimo condanna il suicidio e lo stesso è per le altre religioni monoteiste, mentre le culture orientali sono più tolleranti, dalle vedove che dovevano morire assieme al marito nei roghi purificatori, ai samurai (fig.1), che quando il loro onore era compromesso preferivano la morte alla vita, fino all’esaltazione di una morte gloriosa che perseguivano i kamikaze, i quali si scagliavano impavidi contro le navi nemiche durante l’ultima guerra mondiale. Analogo fu il gesto dimostrativo di Jan Palach, compiuto a Praga in piazza San Venceslao col suicidio dopo l'invasione della Cecoslovacchia da parte del patto di Varsavia nell'agosto del 1968, durante la cosiddetta primavera di Praga.
Gli antichi filosofi greci consideravano il suicida un disertore dalla vita, e la legislazione ateniese ne esponeva pubblicamente la salma al vilipendio della cittadinanza, mentre del tutto antitetica è invece la posizione della filosofia stoica, che più di ogni altra difende il diritto al suicidio.
Se esaminiamo il mondo animale, regolato da leggi perfette, ideate da una mente suprema ed infallibile, potremmo citare numerosi esempi, il più famoso, quello degli elefanti, che, diventati vecchi o malati, abbandonano il branco per morire in solitudine.
La letteratura si è dichiarata da sempre favorevole al suicidio, dalle tragedie greche ai romanzi di Dostoevskij.
Il suicidio ha sempre affascinato gli scrittori e gli artisti in generale. Tra letteratura e filosofia, Dante Alighieri nella Divina Commedia colloca i suicidi all'Inferno nel cerchio dei violenti contro sé stessi (XI,40-45), dove condanna Pier della Vigna. Giustifica tuttavia Catone, uccisosi a Utica (fig.2), collocandolo nel Purgatorio in quanto autore di un gesto eroico di libertà "politica", poiché aveva rinunciato alla vita pur di non sottomettersi al regime di Giulio Cesare. Virgilio si rivolge lui, quale custode dell'accesso al monte del Purgatorio, per presentargli Dante stesso in cerca di libertà:
«Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.»
(Purgatorio - Canto primo, versi 70-72)

fig.2 - Giovanni Battista Langetti -  Suicidio di Catone

fig.3 - Artemisia Gentileschi- Suicidio di Cleopatra
Qualche esempio classico della trattazione del suicidio in letteratura può essere la tragica conclusione di Romeo e Giulietta (1600 circa) di William Shakespeare o  I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang Goethe (1774) o le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana (1801), dove il protagonista si uccide, atto che è insieme una liberazione e una protesta: liberazione dal dolore e protesta contro la natura, che ha destinato l'uomo all'eterna infelicità. Nel pensiero di Vittorio Alfieri c'è una visione eroica del suicidio quale estremo atto di libertà. Il tema del suicidio ricorre spesso nelle Operette morali (per esempio nel Dialogo di Plotino e di Porfirio) di Giacomo Leopardi (1827), in cui il poeta fa una distinzione su quelli che potevano essere i motivi di suicidio per le genti del passato e quelli della sua epoca e fu argomento di ispirazione per Madame Bovary di Gustave Flaubert (1856). Capolavori della letteratura russa, quali I demoni (1871) e il racconto La mite (1876), entrambi di Fëdor Dostoevskij (1871), e Anna Karenina di Lev Tolstoj (1877), trattano il tema del suicidio.
Potremmo citare il nome di centinaia di personaggi celebri, che hanno scelto il suicidio come degno finale del loro percorso terreno; tra i tanti ricordiamo: Cleopatra (fig.3), Lucrezia, Catone, Nerone, Van Gogh, Salgari, Hemingway, Dalila, Tenco, Edoardo Agnelli e Marilyn Monroe (fig.4).
Concludiamo rendendo nota una recente sentenza della Corte Costituzionale (fig.5), che finalmente ha collocato l’Italia nel novero dei Paesi civili, dichiarando che l’assistenza a chi vuole concludere prematuramente la propria vita non è reato.
Ed allora chi è gravemente ammalato, da tutti abbandonato e senza speranze, cosa aspetta a concludere la sua inutile esistenza con un gesto coraggioso quanto nobile, che apporterà tangibili benefici alla società, Inps in primis.

Achille della Ragione

fig.4 - Marilyn Monroe
fig.5 - Consulta


Il Mattino pag.38 - 6 dicembre 2019




3 commenti:

  1. Carissimo Achille

    l INPS è l ultimo dei problemi di chi pensa al suicidio !

    Anche perchè spesso chi si toglie la vita potrebbe nn aver versato i contributi...

    Nn posso incoraggiare il suicidio, ma posso concordare sul fatto che nn possa essere punito chi decide di togliersi la vita e chi si prende il gravoso carico di dare una mano!

    Un abbraccio
    M. Caria

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  2. Gran bell’articolo, questo tuo, e forse ricorderai che io sono da sempre di queste idee (talvolta posto articoli su Facebook), tanto è vero che ormai da molto più di un decennio faccio parte di un’associazione che ha sede a Modena (“Libera Uscita”) , che si occupa appunto del tema della “dignità nella vita, dignità nella morte”.
    In precedenza avevo fatto parte dell’associazione “Exit” di Torino.
    Superato il problema del “testamento biologico”, c he è ormai stato oggetto di legge (la n.219 del 22 dicembre 2017 entrata in vigore il 31 gennaio 2018, dal titolo “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) ormai la nostra “battaglia” si è spostata sui temi del suicidio assistito e dell’eutanasia.
    Proprio la settimana scorsa sono stato a Barcellona per incontrare gli esponenti della DmD Catalunya (“Dret a morir Dignament”, in catalano) per scambiare nel mutuo interesse le reciproche idee sul tema.
    Quando saranno state superate le solennità di fine anno, ho intenzione di organizzare un convegno presso l’associazione Humaniter di Piazza Vanvitelli (che tu ben conosci).
    Vedremo di smuovere le menti di tanti nostri concittadini affetti da un assurdo “epicureismo” e per i quali l’argomento “morte” va bandito da discussioni.
    Ti saluto, scusandomi se non mi faccio vivo.
    Francesco Porcellati

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  3. Non sono d’accordo, gentile professore. La vita dell’uomo non è mai inutile, è sempre preziosa. Chi può decidere se una vita valga la pena di essere vissuta o no? La vita non ci appartiene, ci è stata donata: Capisco che entra in gioco il sistema di valori su cui costruiamo la nostra esistenza, ma incoraggiare il suicidio è educarsi al pessimismo, ad un orizzonte corto e ad un sistema di vita, in cui quello che conta è l’apparenza, la vitalità, il successo, il prestigio; chi queste qualità non possiede finisce per essere considerato inutile ed anche dannoso e il passo verso l’eugenetica è breve. Se ammettiamo il principio che una vita senza successo fisico, economico e sociale non merita di essere vissuta, ci squalifichiamo come essere umani, perché, prima o dopo, saremo “vittime” della debolezza, della fragilità, della malattia e, come tali, candidati al suicidio volontario, e anche al suicidio sociale, determinato da altri nei nostri confronti. Sulla vita umana non si possono aprire “finestre di merito”; la vita è sacra fino all’ultimo respiro. Piuttosto chiediamoci se, con tutta la nostra scienza e i nostri studi e anche i nostri successi siamo capaci di farci prossimo di chi soffre. Chi vuole morire, è una persona che non si sente amata, da Dio e dagli altri. Noi; gentile professore, siamo “giustizialisti” per vocazione e condanniamo troppa gente al “suicidio”, con la droga, l’alcool, i fallimenti economici e sociali; con gli abbandoni, con il primato del proprio piacere e della propria realizzazione, che si realizzano spesso, troppo spesso contro gli altri. Io le auguro che sempre abbia a suo fianco chi la faccia sentire importante e prezioso, soprattutto nel momento della prostrazione, dell’insuccesso e della malattia. Mettere fine alla propria vita, è mettere fine ad un disegno di cui ignoriamo l’inizio, la trama e la conclusione. O lei, gentile professore, li conosce? Con rispetto.
    Dario Marra

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