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lunedì 15 gennaio 2018

12^- Inesattezze, bugie ed imprecisioni sulla storia di Napoli. Errori madornali e boiate pazzesche a volontà


nona puntata
decima puntata
undicesima puntata 
(dodicesima puntata)


01 - Risorgimento

Rivisitiamo il Risorgimento

Vorrei cominciare questo capitolo sulla rivisitazione del Risorgimento riproponendo alcune mie lettere sull'argomento, inviate nel tempo ai quotidiani, pubblicate con gran risalto dai più importanti giornali italiani, a volte con 4 colonne di commento del direttore, oppure come nel caso di "1000 giovani al giorno per 150 anni", che ebbe l'onore di uscire su La stampa come editoriale.
Mentre incombono le celebrazioni per i centocinquanta anni dell’Unità d’Italia, previste per il 2011, si alzano voci autorevoli per segnalare l’assoluta mancanza di fondi, per cui la manifestazione avverrà senza dubbi in tono minore, anche per l’ostruzionismo praticato dalla Lega, la quale interpreta in senso negativo quella serie di avvenimenti che portarono al sorgere dell’Italia come nazione. 
La pagina più nera della  nostra storia  è ancora coperta dal segreto militare a distanza di oltre 140 anni dagli avvenimenti. Nonostante il Risorgimento (fig.1) stia lentamente subendo un processo di rivisitazione in chiave neoborbonica, grazie all’impegno di alcuni storici coraggiosi,che lavorano in contrasto all’ortodossia accademica, a Roma, presso lo Stato Maggiore dell’Esercito, si conservano, inaccessibili agli studiosi, 150.000 pagine che contengono la  verità sull’insurrezione meridionale contro i piemontesi: quel controverso periodo capziosamente definito brigantaggio.   
I documenti che potrebbero finalmente fare luce sulla distruzione di interi paesi, sulla deportazione dei suoi abitanti e sulla fucilazione di  migliaia di meridionali subiscono ancora “Il complesso La Marmora”, dal nome del generale che diresse per anni la repressione nel Mezzogiorno, prima di divenire capo del governo.  
Negli archivi militari americani si può tranquillamente conoscere ogni dettaglio del genocidio degli indiani, in quelli francesi indagare sugli aspetti più oscuri del colonialismo,in quelli tedeschi sapere tutto sul nazismo. Da noi nel 1967, dopo i prescritti 50 anni di segretezza, abbiamo potuto meditare sulla dolorosa disfatta di Caporetto, ma sulla ”conquista” del Sud da parte del Nord vige ancora un silenzio assordante ed una vergognosa chiusura degli archivi pubblici alla consultazione!
E vorremmo proseguire con un nostro scritto, che fu pubblicato nell’editoriale dei lettori de “La Stampa” e con una lettera al direttore accolta da numerosi quotidiani.

02 - Pino Aprile
03 - Italia confine sud
04 - Riccardo Pazzaglia


La nostalgia dei primati perduti e l’orgoglio neoborbonico
Abbiamo esposto in un altro capitolo i numerosi primati che facevano di Napoli una grande capitale europea nel campo delle arti figurative, della scienza e della urbanistica; soprattutto all’epoca di due re illuminati, come Carlo III e Ferdinando II, per cui non ci ripeteremo.
Vogliamo solo sottolineare come non solo i mass media, ma anche la storiografia ufficiale, ha cercato di propagandare l’immagine di un meridione arretrato e fannullone, perpetuando una sorta di damnatio memoriae, che solo in tempi recenti, grazie all’opera di volenterosi studiosi, sta riacquistando la verità storica degli avvenimenti.
Alcuni libri, come “Terroni” di Pino Aprile (fig.2) e la nascita di alcuni movimenti filo borbonici, ha dato uno scossone decisivo alla marea inarrestabile di menzogne e falsificazioni, con una miscela di dati storici e di vivace vena polemica.
A parte libri e riviste, è su internet che molte associazioni hanno trovato modo di esprimersi, con mailing list di decine di migliaia di contatti.
Vogliamo ricordare, il Partito del sud, Insorgenza civile, Associazione neoborbonica, Comitati due Sicilie, Orgoglio meridionale (fig.3).
La prima nacque venti anni fa e tra i fondatori vi era anche il compianto Riccardo Pazzaglia (fig.4),  il quale, nello scegliere il nome dell’associazione: neoborbonici, intese di fare una provocazione per identificare la protesta del Sud con qualcosa che precedeva l’Unità, acclarando che non tutto ciò che vi era prima del 1861 era negativo.
Gennaro De Crescenzo attualmente presidente dei neoborbonici, è professore di storia e frequentatore di archivi. Un appassionato che contesta il pregiudizio acritico, la storia divisa a fette tra buoni e cattivi, come invece sostiene Aldo Cazzullo a proposito della guerra civile del brigantaggio. Certo alcune forme di estraneità per lo Stato nel sud sono ereditate delle modalità con cui fu costruita la nostra nazione: imposta dall’alto, voluta e realizzata da un’élite, estranea alle popolazioni rurali, come sostennero già Gramsci e in parte Croce. Le classi dirigenti di allora, i notabili latifondisti, fusero subito i loro interessi con quelli della borghesia imprenditoriale del Nord, temendo che quella rivoluzione politica potesse diventare anche sociale. Le campagne erano in rivolta, la guerra contadina, il brigantaggio, faceva del Sud il vero Far west dell’Italia appena nata. Furono i gattopardi di sempre, che muovevano voti e influenzavano masse popolari, a controllare il Mezzogiorno. E aderirono alle scelte politico-economiche dei primi anni dell’unità, privilegiando industrie e finanze del Nord anche a costo di penalizzare le necessità di sviluppo del Sud. La storia a una direzione non fa mai bene e sono convinto che nessuno al Sud pensa ad una secessione, ha nostalgia per i Borbone, o è contro l’unità. L’orgoglio meridionale di oggi comincia dalla rilettura, con documenti, di come diventammo una sola nazione. Non si tratta di dividere, ma di unire. Se si conoscono meglio i percorsi e le identità differenti del processo risorgimentale si ritroveranno forse le ragioni per tenere insieme nord e sud d’Italia che, ignorando le rispettive storie, diffidano l’uno dell’altro, guardandosi con pregiudizio. Cominciamo al Sud: inutile abbandonarsi alla retorica a rovescio del meridionale sempre e comunque migliore degli altri. Certo, le scelte dei primi anni di unità danneggiarono il Mezzogiorno, ma 150 anni dopo va superata la sterile autocommiserazione, la delega delle responsabilità. Partendo dalla rilettura più onesta di storie e culture del passato, l’orgoglio meridionale deve diventare coscienza che oggi più che mai è necessario l’impegno e la serietà di tutti. Neoborbonici e non.

05 - Partenza dei Mille da Quarto
06 -Giuseppe Garibaldi
07 - Regno delle  due Sicilie

MILLE GIOVANI AL GIORNO DA 150 ANNI
150 anni fa mille giovani garibaldini si imbarcarono da Quarto (fig.5–6-7) per andare al sud a fare l’Italia, da allora ogni giorno, ininterrottamente, mille giovani sono costretti a compiere il percorso inverso dal sud verso il nord, alla ricerca di un lavoro e di un futuro decente, perché la vecchia patria non esiste più e la nuova non ha voluto o non  è stata in grado di procurarglielo.  
L’emorragia continua imperterrita con alti e bassi; una sorta di genocidio silenzioso che raggiunse un picco negli anni Sessanta, ma che da tempo ha ripreso lena, privando le regioni meridionali delle migliori energie, dei laureati con lode e di tutti coloro che si sentono ingabbiati nelle maglie di una società pietrificata. 
Tante generazioni perdute che hanno lasciato il sud in balia di politici corrotti, amministratori inefficienti ed eterne caricature di Masaniello. 
Il fiume di denaro pubblico che lo Stato ha elargito per decenni è stato clamorosamente dilapidato, usato, non per investimenti produttivi, ma unicamente per consolidare un vacuo consenso elettorale, perpetuando il proliferare di squallide oligarchie locali, di cricche e di camarille colluse con la criminalità organizzata. 
E mentre ogni anno trecentomila garibaldini alla rovescia sono costretti a lasciare gli affetti ed il luogo natio per cercare altrove la dignità di esistere, l’incubo della crisi economica e del federalismo fiscale rischia di far deflagrare una situazione esplosiva tenuta in coma da flussi di denaro a perdere.  
Se l’idea di eguaglianza e di solidarietà dovesse cedere il passo ad una deriva separatista al sud non resterà che cercare di capeggiare una federazione di stati rivieraschi del Mediterraneo, di mettersi a capo di popoli disperati, avendo come punti di riferimento non più Roma, Milano e Bruxelles, bensì Tripoli, Algeri ed Alessandria d’Egitto.

08 - Claretta Petacci e Benito Mussolini
09 - Relitto aereo

Ho sempre sottolineato l'assurdità del vincolo del segreto militare, che non ha termini perentori, a differenza del segreto di Stato che decade dopo 50 anni e posso testimoniarlo personalmente, perché fui il primo a consultare, trascorsi 10 lustri, il carteggio amoroso tra Claretta Petacci e Mussolini (fig.8), conservato presso la biblioteca nazionale di Napoli.
In particolare vorrei sottolineare che grazie a me conosciamo la verità sulla strage di Ustica (fig. 9) perché dopo la pubblicazione della mia missiva "Una strage che grida vendetta”, che uscì su 11 tra giornali e riviste, finalmente si seguì il mio consiglio e compulsando i tracciati radar della porta aerei americana, alla rada nel golfo di Napoli la notte del fattaccio, si è saputa la imbarazzante verità, anche se in seguito i mass media hanno fatto di tutto per farla dimenticare.
Rileggiamola assieme
Una strage che grida vendetta
A giorni saranno trenta anni dalla strage di Ustica, uno dei tanti misteri che soffocano la nostra storia recente, sulla quale si è detto e non detto  e sono stati versati fiumi di parole inutili. 
A ricordare la triste ricorrenza nessuna cerimonia ufficiale, le interviste reticenti ai politici dell’epoca, che sanno e non dicono ed un bel libro di Rosario Priore, il giudice che indagò a lungo, ostacolato in ogni modo, sulla tragica esplosione del Dc9 dell’Itavia e sulla morte di ottanta persone.   
 Ma trovare la verità non dovrebbe essere difficile e mi permetto di consigliare la via da percorrere a chi volesse, giornalista o magistrato, sapere cosa successe realmente nei nostri cieli.
 Gli Americani conoscono da sempre l’esatto svolgersi degli avvenimenti, anche se hanno sempre rifiutato di collaborare.  A Napoli, alla rada, stazionava una portaerei che con i suoi radar teneva sotto controllo tutto il Mediterraneo, mentre dall’alto ai satelliti non sfugge un metro quadrato di territorio; tutto registrato e conservato.  
 Negli Stati Uniti esiste una legge sacrosanta a baluardo della libertà d’informazione:il Freedom of Information Act, che consente al semplice cittadino di accedere  direttamente ai documenti, anche all’epoca riservati, della pubblica amministrazione civile e militare.  
Le informazioni che ci interessano sono lì che attendono di essere compulsate, ci sarà qualcuno di buona volontà che vorrà adoperarsi per farci conoscere la verità?
In particolare mi interessa parlare ora di Fenestrelle e dopo alcune notizie sulle quali siamo tutti d'accordo: dove si trova, quando è stata costruita, etc, lasceremo la parola a coloro che hanno cercato di fare luce su una pagina oscura della nostra storia, in particolare ad uno studioso nordico per cui insospettabile.

010 - Fenestrelle
011 - Fenestrelle
012 - Fenestrelle
013 - Lager
014 - Lapide Fenestrelle
015 - Manifestazione Fenestrelle

La Fortezza di Fenestrelle (fig.10-11), più comunemente nota come Forte di Fenestrelle, è un complesso fortificato eretto dal secolo XVIII al secolo XIX in località Fenestrelle in Val Chisone (città metropolitana di Torino).  
Per le sue dimensioni e il suo sviluppo lungo tutto il fianco sinistro della valle, la fortezza è anche detta la grande muraglia piemontese (fig.12). Dal 1999 è diventata il simbolo della Provincia di Torino e nel 2007 il World Monuments Fund l'ha inserita nella lista dei 100 siti storico-archeologici di rilevanza mondiale più a rischio (insieme ad altri 4 siti italiani). 
Il forte fu anche una prigione militare in cui furono rinchiusi, oltre ai militari che avevano commesso crimini o gravi infrazioni al regolamento, anche i soldati di quegli eserciti che erano stati attaccati dal Regno di Sardegna prima e dal Regno d'Italia in seguito, durante il Risorgimento e i primi decenni del XX secolo; in particolare austriaci ed italiani degli stati preunitari che avevano combattuto durante le guerre d'indipendenza, componenti del disciolto Esercito delle Due Sicilie fatti prigionieri durante gli anni dell'unificazione risorgimentale del Sud Italia, 6 garibaldini in seguito ai falliti tentativi di Garibaldi di occupare lo Stato della Chiesa, 462 soldati dell'Esercito pontificio dopo la presa di Roma, militari austro-ungarici durante la prima guerra mondiale. I detenuti del bagno penale erano reclusi in camerate comuni.  
Negli ultimi anni il forte di Fenestrelle è passato agli onori della cronaca a causa della "denuncia" da parte di una certa storiografia revisionista, secondo cui nel carcere, nel decennio tra il 1860 e il 1870, furono deportati militari dell'ex Regno delle Due Sicilie, il cui numero andrebbe dai 24.000 fino alle più grandi stime di 120.000 uomini, la cui colpa sarebbe stata quella di essersi opposti alla conquista e alla successiva annessione delle Due Sicilie al neonato Regno d'Italia. Sempre secondo la medesima storiografia, i reclusi sarebbero stati tenuti in pessime condizioni (fig.13). Il 22 agosto 1861 ci fu un tentativo di ribellione in cui i reclusi in rivolta avrebbero cercato di assumere il controllo della fortezza. L'insurrezione sarebbe stata sventata in maniera quasi fortuita dalle autorità piemontesi ed avrebbe avuto come solo risultato l'inasprimento delle pene. 
La definizione di Fenestrelle quale "campo di concentramento” da parte di  autori revisionisti ha stimolato la ricerca storica da parte di studiosi piemontesi, che smentiscono gran parte delle accuse presentate da movimenti revisionisti che sarebbero state inverosimilmente ingigantite quando non direttamente inventate.   
 Lo storico Alessandro Barbero, che ha definito la vicenda di Fenestrelle "un'invenzione storiografica e mediatica", consultando i documenti originali dell'epoca, ha verificato come i prigionieri dell'ex esercito borbonico effettivamente detenuti nel forte furono poco più di mille e di questi solo 4 morirono durante la prigionia. Barbero ha sostenuto quindi: che la fortezza fu solo una delle strutture in cui furono momentaneamente detenuti "anche" militari del Regno delle Due Sicilie; che le condizioni di vita non erano peggiori di quelle degli altri luoghi di detenzione; che la documentazione, sia militare, sia amministrativa, sia parrocchiale, sul numero dei detenuti, sul numero delle morti e loro cause, sulle modalità di seppellimento è ampia e rintracciabile. L'affermazione che con la morte i corpi dei detenuti venissero disciolti nella calce viva (collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa del Forte) viene confutata con l'osservazione che la calce viva non fu utilizzata per fare scomparire i prigionieri, in quanto non capace di sciogliere cadaveri; il fatto che essa fosse bensì "posta sui cadaveri era la prassi cui tutte le sepolture dovevano essere soggette per motivi d'igiene, all'epoca". In sostanza, per Barbero, quanto avvenne a Fenestrelle deve essere molto ridimensionato e, comunque, ancora di più scientificamente studiato, sebbene egli riconosca che tali eventi siano da inquadrarsi nei sussulti, anche dolorosi, del neonato Stato italiano.
Juri Bossuto, consigliere regionale piemontese di Rifondazione Comunista, in un libro del 2012 ("Le catene dei Savoia", scritto con Luca Costanzo, Ed. Il Punto) ridimensiona notevolmente il numero delle vittime, riportandone solo quattro nel novembre del 1860 e tende a smentire il maltrattamento ai danni dei prigionieri borbonici, poiché sarebbero stati assistiti con vitto e cure sanitarie. Sulle mura del Forte è stata affissa una targa (fig.14) a "ricordo" dei fatti denunciati mentre, nel 2016, il sito monumentale è stato oggetto di manifestazioni ad opera di attivisti neoborbonici (fig.15). 
E concludiamo in bellezza riportando un articolo di Alessandro Morelli

016 - Giornale


ALTRO CHE EPOPEA DEL RISORGIMENTO NAZIONALE
In questo periodo c’è un gran parlare delle varie Foibe, Campi di  concentramento nazisti (lager), gulag staliniani e in Italia tutti si  dicono commossi e tutti sono pronti a ricordare. 
Ebbene, almeno queste vittime hanno un testo scolastico di Storia che li  menziona, una stele e una lapide per il ricordo; invece c’è qualcuno che  è stato barbaramente ucciso ma nessuno si ricorda di loro.
Sto parlando dei soldati dell’ex Regno delle Due Sicilie deportati nei  campi di concentramento del Nord.  
Fino a qualche decennio or sono nessuno scriveva di questo, poi poco per  volta vennero a galla delle notizie storiche sempre più precise e  abbinate alla ricerca di alcuni “irriducibili” duo-siciliani si riuscì a  scoprire la dura realtà. 
Finalmente il 23 gennaio scorso un quotidiano nazionale,  “L’Indipendente” (fig.16) si ricorda di loro: I LAGER DEI SAVOIA il titolo  principale e come sottotitolo: Dal sud dell’Italia furono deportati in  migliaia. Gli “incivili beduini” morirono in fortezze e galere del nord.  Il numero esatto delle vittime nessuno lo sa perché i registri furono  distrutti.  
La storia inizia proprio nel 1860, l’esercito piemontese scende nel sud  e ci fu una guerra regolare ed irregolare; tutti i soldati dell’allora  esercito duo-siciliano combatterono regolarmente.  Poi, dopo la caduta di Gaeta, la guerra finì con la vittoria  dell’esercito piemontese e c’era il problema dei soldati fatti  prigionieri.  All’inizio l’allora primo ministro, il barone Ricasoli, propose al  governo argentino l’affitto delle gelide terre della Patagonia dove  deportare i soldati meridionali. Il governo argentino rifiutò l’offerta  e forse, senza saperlo, riuscirono a bloccare la più criminale  deportazione di massa della storia. Allora si decise di internarli nelle  fortezze del Nord-Italia; le prime deportazioni incominciarono  nell’ottobre del 1860. Stipati come bestie sulle navi, furono fatti  sbarcare a Genova, da dove, attraversando laceri e affamati la via  Assarotti, venivano smistati in vari campi di concentramento istituiti a  Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte S. Benigno in  Genova, a Milano, a Bergamo e in varie altre località del nord. In quei  luoghi, appena coperti di cenci di tela, vissero in condizioni  terribili. Per oltre dieci anni, oltre 40.000, rei solo di aver tenuto  fede al loro giuramento, morirono per fame stenti e malattie.
Quelli deportati a Fenetrelle, ufficiali, sottufficiali e soldati  semplici, subirono il trattamento più feroce; il 22 Agosto 1861  tentarono anche una rivolta per impadronirsi della fortezza.  La rivolta fu scoperta prima dell’azione e il tentativo ebbe come  risultato l’inasprimento delle pene con i più costretti con una palla al  piede da 16 kg., ceppi e catene. Pochissimi riuscirono a sopravvivere:  la vita in quelle condizioni, anche per le gelide temperature invernali  a 1.600 metri  d’altezza che dovevano sopportare senza alcun riparo, non  superava i tre mesi. La liberazione avveniva solo con la morte e i corpi  venivano disciolti nella calce viva.
Ancora oggi, nell’archivio storico della fortezza, ci sono i registri  dei prigionieri e ognuno di loro porta la dicitura “prigionieri di  guerra” in francese con le date (1861, 1862) di un’Italia già unita.  
Oggi i libri di testo osannano i vari Garibaldi, Cavour, Re Vittorio  Emanuele II, ma nessuno si ricorda di questi meridionali, nostri avi,  morti  senza onore, senza tombe, senza ricordo, neanche una stele alla  memoria.   
Se una nazione si ritiene democratica è anche giusto che divulga ai suoi  concittadini la vera storia e soprattutto che vengano ricordati i primi  centri di deportazione di massa 
Queste brevi note dovrebbero soprattutto far riflettere gli innumerevoli  meridionali che vivono e producono al nord – non ci riferiamo solo agli  operai ma anche ai laureati e gente cosiddetta di cultura – e che  vituperano spesso la loro terra d’origine.



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