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mercoledì 16 aprile 2014

Uno splendido Sansone e Dalila di Niccolò de Simone

 Niccolò de Simone: Sansone e Dalila (Collezione Orlando Magli LECCE)


Niccolò de Simone, “geniale eclettico” dalle molteplici componenti culturali, fu pittore e frescante, operoso per oltre venti anni sulla scena napoletana e, pur con le difficoltà di classificare il suo pennello multiforme, in grado di recepire le più diverse influenze, può rientrare ragionevolmente nella cerchia falconiana, in parte per il racconto fantasioso del De Dominici, che ce lo descrive partecipante alla Compagnia della morte, ma precipuamente per un evidente rapporto stilistico con la produzione di Aniello Falcone, di Andrea De Lione e di Domenico Gargiulo, da cui prendono ispirazione molte delle sue opere.
Nulla sappiamo sulla sua data di nascita e di morte, anche se l’improvvisa mancanza di documenti di pagamento a partire dal 1656, prima numerosi, fa ipotizzare che possa essere morto, alla pari di tanti altri artisti e di un terzo della popolazione napoletana, durante l’epidemia di peste. Nella Nota sugli artisti napoletani che, nel 1675, Pietro Andrea Andreini spedì da Napoli al cardinale Leopoldo de Medici l’architetto Niccolò di Simone viene citato fra gli artisti ancora viventi, ma si tratta di persona affatto diversa. Il primo mistero da affrontare è basato sulla molteplicità di firme e di citazioni nei documenti con i quali l’artista viene indicato e l’assidua presenza del nome del padre, Simone o Simon Pietro, dopo il suo nome di battesimo, al punto da aver fatto perdere le tracce del suo vero cognome e di averlo fatto diventare nel tempo de Simone. Il riferimento costante al genitore fa supporre che egli vivesse in città con lui e fosse noto, forse un pittore del quale abbiamo perso ogni traccia. Probabilmente era lui il “fiammegno” trasferitosi a Napoli sul finire del Cinquecento, come tanti suoi celebri colleghi e Nicolò potrebbe anche essere nato all’ombra del Vesuvio, mentre la città di Liegi, indicata accanto alla sua firma nel Baccanale di collezione genovese, essere la città di origine della sua famiglia. Se veniva dall’estero, come è probabile, non si conosce la data del suo arrivo, né quanti anni avesse, se andò a bottega da qualche maestro locale o fosse già indipendente. Nelle polizze di pagamento il suo nome viene spesso accompagnato da un soprannome: Loket, Lokel, Lopet, Lozet o Lo Zet, appellativi di origine fiamminga e tra questi il più frequente è proprio l’ultimo, il quale in olandese significa il matto, che compare in almeno tre documenti, come pure sulle tele egli, alternava alla firma la sigla NDS con le lettere intrecciate. Il biografo settecentesco lo definiva “ragionevole pittore dei suoi tempi” che lavorava “con studio ed amore” e nel fornirci un piccolo elenco di sue opere, ci racconta che il pittore aveva molto viaggiato all’estero, soprattutto in Spagna e Portogallo, ipotesi che non ha trovato conferme documentali. Il De Dominici elargisce al pittore una breve citazione, a differenza di altri suoi colleghi che la critica odierna ritiene di pari importanza, ai quali dedica una Vita. Originario di Liegi, come si evince nella sua firma, in passato sfuggita alla critica, sotto il Baccanale di collezione privata genovese, de Simone è documentato a Napoli dal 1636 al 1655 e non al 1677 come erroneamente indicato in tanti testi autorevoli, incluso il catalogo sulla Civiltà del '600 e sorprendentemente anche il recente regesto dei dipinti del secolo XVII del museo di Capodimonte.
I suoi esordi sembrano affondare nella cultura tardo manierista dominata dal Corenzio, in seguito egli nei suoi dipinti, oltre al marchio della cerchia falconiana risente dell'influsso del Poussin e del Grechetto, dai quali trae spunto anche per particolari tipi di paesaggio, tematiche preferenziali, fisionomie caratteristiche. Citato saltuariamente nelle antiche fonti e trascurato da studiosi come l'Ortolani che lo definì un "mediocrissimo, manierista ritardatario".
Oggi la critica, grazie ai contributi prima della Novelli Radice e poi, più volte, della Creazzo, conosce più che bene i caratteri distintivi del suo stile pittorico: anatomie sommarie, tipica concitazione delle scene, caratteristico volto delle donne, tutte mediterranee dai pungenti occhi scuri, assenza di profondità spaziale con bruschi passaggi di scala, evidentissimi nel dipinto dell’Educazione della Vergine, folle in preda ad un’intensa agitazione, cieli tempestosi e baluginanti, squisita sensibilità da espressionista nordico, ripetitività nella costruzione dell’impianto generale della scena, personalissima resa cromatica nell’uso di colori stridenti ed incarnati rossicci. Il soggetto testamentario, assieme a quello mitologico, costituisce una parte cospicua nella produzione da cavalletto del de Simone e le opere, oramai numerose, che gli si possono attribuire con certezza restituiscono l'immagine di un artista assai versatile, in stretto rapporto con quel florido mercato che nella prima metà del Seicento favorì la crescita in area napoletana di diversi generi. Le sue composizioni affollate di personaggi in scala ridotta non sfigurano paragonate agli esiti dei migliori specialisti in circolazione. I suoi dipinti tracimano dai contrasti rudi del verace naturalismo meridionale alle ovattate atmosfere neovenete della pittura romana, esaltando il confronto con gli esempi più illustri del Falcone, del Castiglione e del Poussin.
Accenniamo ora ad uno splendido dipinto di grande impatto cromatico: un Sansone e Dalila, presso l'antiquario Orlando Magli a Lecce, il quale presenta caratteri in comune con la pittura del Beinaschi nei toni dorati e nei colori sensuali, nella composizione dal respiro monumentale, nella luce che promana dal fondo a scandire le figure centrali, tra le quali giganteggia quella di Dalila, dal seno poderoso, che si accingere a castrare la forza dell'eroe tagliandogli i capelli. Una importante aggiunta che arricchisce il catalogo dell'artista.

Scritti di storia dell'arte

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