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sabato 8 marzo 2014

Monsù Desiderio alias François de Nomé

De Nomè-Costantino distrugge gli idoli (Napoli, Museo di Capodimonte)

Mentre da poco era passato da Napoli, Caravaggio il quale con le sue straordinarie innovazioni giocate sul filo di luce e ombra e su una resa della verità oggettiva puntuale ai limiti della crudeltà, riuscì che al suo verbo prontamente si adeguassero generazioni di artisti; come se nulla fosse accaduto, nella capitale vicereale, operò per quindici anni un pittore, proveniente dal Nord Europa, dalla fantasia irrefrenabile e dalla pennellata onirica, in grado di precorrere di secoli lo sviluppo che l’arte avrebbe espresso nel ‘900.
A far conoscere al pubblico questo personaggio, poco noto agli stessi specialisti, è un romanzo di Fausta Garavini: Le vite di Monsù Desiderio, un’affascinante immersione tra arte, luci e tenebre del promo Seicento tra Napoli e Roma. L’autrice è una francesista, nota per le sue ricerche su Montaigne e sulla storia della cultura e negli anni passati altri suoi romanzi hanno avuto riscontro positivo da parte sia del pubblico che della critica.
Protagonista è il pittore, di origine lorenese, la cui identità è stata a lungo avvolta nel mistero, come misteriosi nel significato allegorico sono rimasti i suoi quadri, che scavalcano il tempo, per porsi autorevolmente in un Pantheon ideale dell’arte fantastica a fianco delle tele di Magritte, di Max Ernst, di De Chirico.
Dopo gli studi di Raffaello Causa, una monumentale monografia di Maria Rosaria Nappi ha gettato ampi fasci di luce sulle opere e l’attività di François de Nomé (come del suo connazionale Didier Barra, specialista in spettacolari vedute a volo d’uccello).
Le sue sorprendenti creazioni sono pervase da atmosfere oniriche e visionarie, popolate da eccentrici congegni mitologici, posizionati tra grandiose architetture in rovina. 
La sua vasta produzione colpì molto Andrè Breton, facendo così ingresso in pompa magna nell’albero genealogico del surrealismo.
Ne viene fuori una biografia largamente e dichiaratamente «finta» in quanto ad accertabili corrispondenze con il personaggio ispiratore, ma riccamente rivelatrice di ambienti, pensieri e sensibilità di un periodo decisivo per la definizione di orizzonti della modernità che sono ancora i nostri. Sullo sfondo ci sono Galileo, Giordano Bruno arso in Campo de’ Fiori, Tommaso Campanella prigioniero a Castel dell’Ovo e a Castel Sant’Elmo di Napoli, e in diretta spunta Gianbattista Della Porta. Nel complesso scenario reso vivido dal racconto, i dipinti di de Nomé e dei suoi sodali funzionano da traccia – con le immagini riprodotte lungo le pagine – per la ricostruzione della tormentata coscienza dell’artista. François appare curioso di antichità e di cultura, ingegnoso, sensibile, sempre più incline alla più nera malinconia dei «nati sotto Saturno», pienamente partecipe delle nuove prospettive che intorno a lui suscitano speranze e smarrimenti, ribellioni e feroci condanne.
Dopo la lettura del romanzo non si resiste al desiderio di consultare la splendida monografia dedicata al pittore dalla Nappi ed ammirare una ad una le evanescenti creazioni di questo superbo sognatore.

De Nomè-Gli Inferi (Besancon, Musée des Beaux Arts)
De Nomè e Barra-Paesaggio architettonico (Collezione privata)
De Nomè-Interno di cattedrale (Napoli, Accademia di Belle Arti)
De Nomè-Veduta a volo d'uccello dei Campi Flegrei, Procida, Vivara e Ischia (Napoli, Collezione Dalla Vecchia)
De Nomè-Veduta di Napoli (Collezione privata)

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