Pagine

domenica 23 febbraio 2014

Ingiurie bonarie: Babbasoni, Scualarci e Curnutoni



Queste benevoli ingiurie sono declinate al maschile a cominciare dal titolo, che richiama un ciccione con le mani appoggiate sui fianchi che fa venire in mente, appunto, la carta napoletana in questione. Se il vostro peggior nemico invece vi da l’idea di un individuo deforme, rachitico e brutto, potete chiamarlo «squaquecchio» o «scunciglio» o «scatobbio». Se prevalere è la bruttezza, l’espressione più adatta è: «sibrutto comme ‘a fammma e notte», mentre se abbiamo a che fare con un tipo insignificante, allora «cazzillo» e «cazzetiello» sono perfetti. Più ricercata è la parola «scicchignacco», spesso usata nel modo di dire, ancora più ricercato «scicchignacco int’ ‘a butteglia», immortalata nella canzone di Raffaele Viviani «A rumba d’ ‘e scugnizzi». Lo «schicchignacco» deriva dalla fusione di due parole, «cicco», che significa maiale e «gnacca», che significa macchia, sgorbio.
In fin dei conti però, quando si vuole inquadrare in una battuta qualcuno che ci è davvero antipatico e, ai nostri occhi, non può che risultare brutto e stupido, non possiamo che dirgli «si io caccio ‘o culo e tu ‘a faccia, ci pigliano pe’ gemelli». Anche per gli uomini bassini la vita a Napoli riserva un bel po’ di offese. Si possono chiamare «scazzuoppoli», ma soprattutto si possono prendere in giro con un bel numero di detti. Dopo aver urlato contro costui «Sì accussi curto ca…» si può concludere con tre varianti: «ca può scupà allert sott ‘o lietto’», «ca quanno te faie ‘a doccia, l’acqua ‘n capo t’arriva fredda», «ca te faie ‘o bagno ‘int ‘o bidè».
 Nell’ambito dei difetti fisici, però il napoletano si sbizzarrisce con i grassi (babbasoni, pachialoni, vuttazzielli) e con i magri (spellacchione, spilapippa, struncone, scaluorcio). Altra categoria messa sempre in croce a Napoli è quella dei cornuti. Se uno di questi si sta aggiustando i capelli davanti a noi, possiamo dirli con estrema eleganza e una dolce punta di ironia: «allustrate ‘o cornicione», ma se proprio vogliamo rimanere nel vago e non infierire, ci resta sempre la possibilità di: «tiene nù bell’ cappiell’ d’uosso».
«Curto e male ‘ncavato» è il peggiore dei complimenti che possa essere rivolto a un napoletano, il quale, oltre che di bassa statura è mal sagomato.
«Scicchignacco ‘ncopp ‘a votta» oltre alla bassa statura il nostro interlocutore è anche goffo. «Figli ‘e ‘ntrocchia», un complimento vero, un omaggio alla scaltrezza.
«Giorgio Cutugno» si dice di personaggio che assume atteggiamenti da guappo.
«Ommo ‘e ciappa» dicasi di uomo di vaglia e ritegno, in contrasto con l’opinione di Zazzera, che la ciappa non sia l’abbottonatura della toga, ma più volgarmente ‘a vrachetta. 
«Fessarie e cafè» dicasi di persone che affermano cose di nessuna importanza.
«Cu ‘na man annante e una areto» di persone che debbono togliersi di scena sconfitti.
«E pizziche ‘ncoppa ‘a panza» persona che è costretta a rassegnarsi.
«Palla corta» di persona che non ha raggiunto il suo obiettivo.
«Tene a capa pe’ spartere ‘e recchie» uno stupido privo d’intelligenza.
«’O gallo ‘ncoppa a munnezza» il presuntuoso che si da troppe arie.
«Sfruculià ‘a mozzarella ‘e San Giuseppe», «Sfruculià ‘o pasticci otto» locuzioni entrambi da riferirsi ad un provocatore.
Potremo continuare a lungo a dimostrazione che il napoletano non è un dialetto, ma una vera lingua dalle peculiarità linguistiche e dal ricco vocabolario. Il vernacolo è ricco di locuzioni derivate dalla saggezza popolare, che costituiscono l’espressione più pregnante della napoletanità.

5 commenti:

  1. Effettivamente, ci vuole il traduttore.
    Cristiana

    RispondiElimina
  2. Purtroppo i lettori di questo blog sono timidi!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciro, racconta tu, per favore.
      Cri

      Elimina
    2. Molti termini sono scritti in maniera non corretta e l'etimologia di cicchignacco è assolutamente inventata.

      Elimina