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martedì 21 gennaio 2014

Un miniatore di presepi



Marcello Aversa nel suo studio


La tradizione per i presepi napoletani di fare per le festività natalizie un presepe casalingo è molto sentita. Si tratta di un’usanza che risale alla fine del Quattrocento, anche se il massimo fulgore viene raggiunto nel Settecento, con la nascita di specialisti, a volte veri e propri artisti, scultori ed ebanisti, i cui eredi lavorano ancora oggi nell’antica via di San Gregorio Armeno posta nel cuore della città greca. (Chi volesse approfondire l’argomento può consultare in rete il mio scritto “Presepe contro albero di natale” in Napoletanità arte miti e riti a Napoli pag.85-87).
Uno dei più abili artisti-artigiani che prosegue la secolare tradizione, creando microcosmi in terracotta è Marcello Aversa con studio a Sorrento, la cui opere girano continuamente in mostre in tutta Italia.
Il respiro della terra. ‘opera di Marcello Aversa è tutta in quel respiro. Nel dare sostanza e vita a ciò che prima non era. Forma a un informe pugno di argilla. Artigiano e insieme artista, umile come è umile la materia che plasma perché il Dio che si è fatto bambino possa tornare a farsi immagine e storia e luogo. Aversa prosegue la grande tradizione del presepe che vede in san Francesco, quasi otto secoli fa, l'iniziatore in quel di Greccio. E riaffiora il racconto di Tommaso da Celano: «Francesco, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava il bambino di Betlemme, e quel nome, Betlemme, lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che lo pronunciava, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trarre tutta la dolcezza di quelle parole». La stessa dolcezza traspare nei presepi che l'artista quarantenne crea nella sua Sorrento. 




Erede della tradizione del Settecento napoletano, ha fatto della miniatura la sua cifra, per meglio rispondere a Colui che da infinitamente grande sceglie di farsi infinitamente piccolo, al Creatore che si fa creatura, all'Onnipotente che si fa figlio nel seno di una donna. Il mistero è l'Eterno che si piega alle coordinate spazio- temporali nella notte di Betlemme. La divinità assume l'umano facendosi volto, carne, ossa. L’umanità accoglie il divino per ritrovare l'unità perduta e la pienezza di gioia, vita, amore, bellezza. Solo Matteo e Luca raccontano le vicende legate alla nascita di Gesù: 48 versetti il primo, 132 il secondo. Da Luca sappiamo che il mistero accade in una notte senza data, in un piccolo paese alla periferia del più potente impero della storia, ai tempi del censimento imposto a quel popolo ebraico che i Romani avvertivano ribelle e strano per quella fedeltà a un unico Dio e la certezza di essere gli eletti in attesa del Messia. Un evento straordinario che la semplicità del presepe in ricchezza di forme e fantasia di soluzioni ogni anno offre alla contemplazione. Il microcosmo di Aversa è soprattutto un invito alla ricerca, a guardare meglio, a meravigliarsi a passo (o, meglio, a sguardo) lento, a soffermarsi su quei particolari che richiedono tempo e che altrimenti sfuggono. I suoi personaggi variano dagli otto millimetri ai dieci centimetri e abitano uno scenario modellato in un unico blocco di creta, cotto al forno a quasi mille gradi. 
Così i suoi monocromi assumono le sfumature e lo splendore di quel calore primordiale che è luce ed energia. Venti centimetri possono ospitare ottanta figure. Una sfida di perfezione, per offrirci anatomie, espressioni, gesti: dall'angelo annunciante ai ballerini di tarantella, dai canestrai ai pastori, dagli avventori di una taverna al corteo dei Magi che attraversa i ruderi del mondo pagano sconfitto da un bambino in una mangiatoia. In questo esercizio di miniatore di terra il dettaglio non si perde, ma viene esaltato. 
Crea microcosmi dove la vita scorre con grazia in una quotidianità dagli abiti settecenteschi e dagli antichi mestieri, eppure a noi così vicina perché in questi piccoli mondi specchiamo noi stessi e la nostra vita. La grande perizia con cui realizza i suoi personaggi in miniatura è un invito a farsi piccoli per incontrare Colui che si e fatto piccolo per poterci incontrare, guardare, abbracciare. 
Il cardinale Angelo Scola a commento dei lavori di Aversa fa propria una frase di Giovanni Paolo II volta a definire la novità portata da san Benedetto: «Era necessario che l'eroico diventasse quotidiano e il quotidiano diventasse eroico». «Mi pare - dice Scola - che questa straordinaria formula possa esprimere efficacemente anche l'intenzione profonda che si coglie in tutta l'opera di Marcello Aversa. Tutte le sue creazioni infatti, dalla scelta del materiale a quella dei temi [ ... ] fino a quella delle dimensioni delle figure, declinano in forme di singolare intensità e vivacità il cuore della novità cristiana introdotta dall'Incarnazione: vivere l'ordinario in modo straordinario. 




Gli sono grato perché con il suo paziente e delicato lavoro, attraverso una vitale riproposizione del ricco patrimonio della nostra tradizione, egli può offrire un contributo originale e prezioso alla grande opera di rigenerazione del popolo di Dio». Aversa vive il suo essere artigiano e artista come risposta a una chiamata, come obbedienza quotidiana. Lui laico, sposato, padre di due figli, trascorre la sua giornata in laboratorio alla stessa maniera del monaco nello scriptorium: una dedizione assoluta perché la Parola possa farsi immagine e possa trovare casa nelle nostre case. La sua arte offre espressione a una religiosità popolare che chiede forme minime e semplici. E realizza oggi quel che era il pensiero del più grande esperto di presepi napoletani, il drammaturgo Michele Cuciniello (1823-1889), che donò la sua straordinaria collezione alla Certosa di San Martino di Napoli progettando e realizzando le scene: fare il presepe equivale a tradurre il Vangelo in dialetto. Un dialetto che non conosce confini, se è vero il suggerimento di Honoré 
de Balzac: se vuoi essere universale racconta i suo paese.
Nei presepi di Aversa non sempre la natività è posta al centro della scena. Trovare la cosa più importante non è dunque scontato. Il mistero non si offre al primo sguardo. Sembra quasi un gioco. 
Ma è il gioco di Dio. «Ciò che accade a Natale - scrive il teologo Agostino Clerici -  è un fatto ben preciso: l'uomo è il nascondiglio di Dio. E, da questo nascondiglio, Dio continua a cambiare l'uomo. Da questo punto di vista, il Natale è davvero il centro propulsore, l’origine che motiva in profondità il cammino della conversione: siccome lui si è fatto noi, siamo invitati a farci lui, e. questo gioco di trovarlo nascosto in noi è lavoro di tutta una vita, è il cambiamento continuo che la vita ci chiede».
Questo è il vero viaggio della vita: sembra che tutto si muova e il bambino sia lì fermo nella mangiatoia, per poi scoprire che quel movimento altro non è che risposta a Lui che chiama, a Lui che arriva per primo con la luce della stella, con il canto degli angeli a inondare di gioia una notte che poteva essere come tutte le altre e che invece ha cambiato tutto, presente, passato, futuro, perché tutto rende nuovo, perché tutto salva nel dono di una vita nuova. In quella notte, presso la grotta di Betlemme, al momento del parto, dell'ingresso dell'Eterno nella storia, tutto si ferma, come si legge nel vangelo apocrifo di Giacomo (18,1): «lo, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell' aria e vidi l'aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: quelli che prendevano su il cibo non l'alzavano dal vaso; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull'acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso». Anche i presepi di Aversa fermano la scena e insieme ci dicono che tutta la storia della salvezza può essere letta come un grande  cammino a partire dal Lek lekà ("Vattene!") rivolto ad Abramo, l'invito a lasciare la sua terra in nome di una promessa di cui nulla gli è dato sapere. Quel cammino che trova la sua sintesi nelle icone di Novgorod, dove la mangiatoia viene rappresentata come un piccolo sepolcro: il primo gesto della Vergine che depone il figlio sul giaciglio è anche la profezia dell'offerta della vita del figlio sul Golgota. Così Natale e Passione sono tutt'uno fin dal primo vagito. 




Anche Aversa vuol tenere tutto unito e il grande amore per il presepe diventa il cuore di una storia di terrecotte che vanno dalla creazione di Adamo ed Eva alla croce-albero della vita: tutta la sua arte è un cesellare la parola biblica in immagini di terra. Lucio Dalla ha dedicato questi versi all’artista di Sorrento:
Tra il cervello e il cuore
Ci sono le tue mani. Tra le mani di Marcello Aversa
Circolano liberi cuore, anima e testa.
Noi prendiamo quello che serve a riempire
Il nostro futuro.
L’infinitamente piccolo di Aversa è il grande mistero senza tempo offerto su palmo di una mano.



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