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venerdì 24 gennaio 2014

Da sempre alto gradimento



Renzo Arbore



Renzo Arbore nasce a Foggia nel 1937, ma è napoletano a tutti gli effetti. Figlio di medico si laurea in giurisprudenza alla Federico II e dal 1964 collabora con la RAI, creando spettacoli originali di grande successo: bandiera gialla, alto gradimento, l’altra domenica, indietro tutta etc.
Versatile e poliedrico e cantautore, conduttore, showman, regista, ma ci tiene molto ad essere considerato il primo jocky italiano.
Ha avuto il merito di scoprire e lanciare nuovi personaggi fra i quali Roberto Benigni, Gegè Telesforo, Giorgio Bracardi, Mario Marenco, Marisa Laurito, Nino Frassica, Milly Carlucci, Daniele Luttazzi e valorizzare altri come Michele Mirabella, Luciano De Crescenzo e la Microband, l’attrice Maria Grazia Cucinotta, Nina Soldano, le conduttrici televisiva Luana Ravegnini e Ilaria D’Amico, l’attore Francesco Paolantoni, la presentatrice Feliciana Laccio, la cantante Pietra Montecorvino.
Nel 1980 arriva la serie Tagli Ritagli e Frattaglie condotta insieme a Luciano De Crescenzo; nel 1981 Telepatria International con le indimenticabili evocazioni spiritiche di Dante (Roberto Benigni), Cristoforo Colombo (Paolo Villaggio) e con l’ultimo dei Mille (Carlo Verdone), in cui lancia le Gemelle Nete; e nel 1984 Cari amici vicini e lontani, programma sulla storia della radio, nuovamente con le Gemelle Nete (che interpretano la sigla finale del programma, Un bacio a mezzanotte).
Ma è nel 1985 che giunge il grande successo con la trasmissione di Rai 2 Quelli della Notte, un appuntamento cult, con una serie di personaggi comici e intellettuali che si riunivano nella notte surreale e un po’ cialtrona. La trasmissione una chiara satira nei confronti dei dilaganti salotti televisivi, lancia sul firmamento nazionale il comico Nino Frassica nelle vesti di Frate Antonino da Scasazza che, con i suoi sproloqui, fece divertire mezza Italia. Molti altri furono comunque i nuovi volti lanciati dalla trasmissione, come Riccardo Pazzaglia il filosofo partenopeo, Massimo Catalano l’intellettuale viveur, Maurizio Ferrini rappresentante romagnolo di pedalò affezionato al Partito Comunista, Simona Marchini romantica sognatrice, Marisa Laurito cugina in attesa perenne del fidanzato, e ancora Mario Marenco, Andy Luotto oltre che lo stesso Renzo Arbore, grande trascinatore. La trasmissione segnò un’epoca e i tormentoni e le battute entrano nel gergo quotidiano. L’album prodotto con le musiche della trasmissione vendette 500.000 copie.
Nel 1987/1988 la trasmissione Indietro tutta! replicò l’enorme successo di Quelli della Notte. Il programma stigmatizzava l’invadenza della televisione di tipo più commerciale, ridicolizzandone usi e costumi; una parodia televisiva in cui Nino Frassica impersonava un improbabile quanto sgangherato “Bravo presentatore”; notevole il gruppo di ballerine brasiliane del Cacao Meravigliao che rappresentava un surreale sponsor e le Ragazze Coccodè, un ridicolo corpo di ballo. Non mancavano inoltre personaggi come Mario Marenco che impersonava “Riccardino”, un bambino parecchio dispettoso che con tanto di grembiule e cartella passava il tempo a rincorrere il cane Fiocco. Il maestro Mazza era a capo dell’orchestra “Mamma li Turchi”, Francesco Paolantoni era Cupido, apeso all’altalena e intento a lanciare frecce che non andavano mai a segno. La scenografia rappresentava una nave e l’ammiraglio Arbore era attorniato da due belle ragazze che rappresentavano Miss Nord e Miss Sud; a guardia del sotterraneo erano le “Guardiane” (una delle due era una giovanissima e ancora sconosciuta Maria Grazia Cucinotta, l’altra Feliciana Iaccio).
Nel 1986 Arbore partecipa al Festival si Sanremo con la canzone Il Clarinetto e si piazza al secondo posto. Nell’esecuzione del brano sul palco sanremese è accompagnato da quelli che egli stesso chiama i “Tre amici e il cognato” di cui fanno parte Gegè Telesforo e Ferdinando Murolo. Seguono altri programmi televisivi come DOC e Marisa la Nuit. In quest’ultimo programma, condotto da Marisa Laurito, Arbore, che è la voce fuori campo, anticipa quello che sarà il modo di fare televisione della Gialappa’s Band.
Nel 1990 conduce Il caso Sanremo, dove in un processo simulato è giudice su fatti e misfatti della storia canora sanremese attorniato da una improbabile corte ed avvocati interpretati da Michele Mirabella e Lino Banfi.
Nel 1992 in una trasmissione in 4 puntate, rende un sentito omaggio televisivo a Toto’ con Caro Toto’….ti voglio presentare. Un programma per celebrare la grandezza artistica del più grande in assoluto: il Principe della risata.
Nel 1996 conduce senza sosta per 22 ore La Giostra, in diretta via Satellite per la Rai International di cui è diventato intanto direttore Artistico e Testimonial.
Nel 2005 è la volta di Speciale per me – Meno siamo, meglio stiamo (17 puntate dal 23 gennaio al 4 giugno) su Rai I, definita dallo stesso Arbore una “trasmissione amarcord” con l’obiettivo di mostrare tutta la tv memorabile che la gente tende a dimenticare. Il senso della trasmissione è una sorta di mercatino di modernariato televisivo; anche la musica proposta è volutamente “vintage”. La trasmissione riscuote un buon successo anche se va in onda in terza serata (proprio a questa collocazione notturna allude il sottotitolo “meno siamo, meglio stiamo”), con una media di quasi un milione e mezzo di telespettatori dopo mezzanotte, il 25 per cento di share.





Nel giugno 2008 è stato pubblicato il libro Renzo Arbore e la radio d’autore – Tra avanguardia e consumo, un volume monografico scritto da Salvatore Coccoluto, dedicato alle storiche trasmissioni radiofoniche di Arbore.
Ha realizzato il gioco in scatola Ma non i copechi, ideato con Giancarlo Ma galli e pubblicato dalla International Team.
Il 15 novembre Arbore torna in tv con la trasmissione …a lunga durata, Arbore e gli aborigeni su Rai International e in replica su Rai 5.
Il 4 settembre 2011 la Rai ha dedicato ad Arbore una puntata monografica della trasmissione Speciale TG I documentari realizzata dal giornalista Vincenzo Mollica.
E’ del 2013 la sua biografia Renzo Arbore: vita, opere e (soprattutto) miracoli a cura del giornalista della Rai Gianni Garrucciu, contenente numerose testimonianze di tanti colleghi e amici di Arbore.
Scapolo convinto, dopo un legame negli anni ’60 con la cantante e presentatrice torinese Vanna Brusio, si è accompagnato con la cantante romana Gabriella Ferri, ha poi avuto una lunga storia d’amore nel decennio successivo con Mariangela Melato; successivamente è stato legato a Mara Venier fino al 1997. Nel 2007 si è legato nuovamente alla Melato, ed è stato con lei fino al giorno di Mariangela avvenuta l’11 gennaio 2013.
E se il jazz fosse un po’ italiano? Non è una battuta, ma una considerazione che nasce da una serie di dati concreti. Che il primo disco della storia del jazz sia stato inciso da un italiano, Nick La Rocca, anno 1917, è un fatto noto. Che molti jazzisti abbiano origine italiana (da Joe Venuti a Eddie Lang, a Lennie Tristano, a Chick Corea, eccetera, eccetera) è un atro fatto.
Che la nascita di un linguaggio musicale chiamato jazz abbia avuto un contributo notevole di matrice italiana è un altro fatto, anche se mai debitamente riconosciuto, anzi spesso sottaciuto dalle storiografie. Infine, che a New Orleans, la città dove il jazz è nato e dove vivevano comunità di origine africana, francese, anglosassone, ci fosse una buona comunità italiana, anzi siciliana, composta da coloni (molti avevano portato da casa degli strumenti), è un altro fatto.
Sulla scorta di questi elementi e della passione che lo lega alla musica nera Renzo Arbore ha realizzato assieme al regista Riccardo De Blasi un piacevole e divertente reportage alla ricerca delle origini anche italiane del jazz, fatto di storie di musica, di emigrazione, di incontri, di interviste e materiali d’epoca. Ora, finalmente (perché il film, come dice Renzo “è rimasto a lungo sulle scrivanie di dirigenti poco interessati al jazz”) viene trasmesso da raidue con la speranza di attirare l’attenzione su un dato storico, nel momento in cui il jazz italiano, per la qualità dei suoi musicisti, è considerato fra i più prolifici. Da Palermo a New Orleans…e fu subito jazz, questo il titolo del documentario, che è stato girato tra Palermo, Salaparuta, New Orleans, New York e Chicago. “Nick La Rocca – racconta Renzo – era di Salaparuta. Di lui non si parla molto, la sua importanza è spesso sottaciuta, ma la sua musica e quella della sua band, The Original Dixieland Jazz Band, è servita da modello anche a Louis Armstrong, che in un’intervista raccontò di essersi ispirato al suono di quell’orchestra” (e Armstrong, aggiungiamo, era anche uno strenuo ammiratore di Enrico Caruso).
Nick La Rocca è un musicista siciliano e il 26 febbraio 1917 ha inciso il primo disco della storia del jazz. “Francesi e americani hanno taciuto questa importante pagina della storia del jazz. Noi ora la valorizziamo”. Ricorda Renzo Arbore, jazzofilo da sempre e presidente della Fondazione Umbria Jazz. Con una variopinta cravatta acquistata a New Orleans e il solito sorriso di ferro, lo show-man presenta la sua ultima avventura “da Palermo a New Orleans…e fu subito jazz”.




Arbore diventa reporter per “percorrere il viaggio dell’inventore del jazz”: da Palermo a Salaparuta, da New Orleans a New York, fino a Chicago (dove ci sarà anche Gegé Telesforo), INCONTRA AMICI E PARENTI DI Nick, tra cui il figlio Jimmy, e segue le orme di altri due musicisti nativi di Salaparuta, Luis Prima (“Just a gigolo’”, “Buonasera Signorina”) e Leon Roppolo; e poi discutere con Joe Segreto e Andy J.Forest. La Rocca ha inciso il famoso disco negli studi della Victor a New York, con la Original Dixieland Jazz Band, “che non sapeva leggere la musica, ma solo improvvisare”, come ha spiegato Jimmy La Rocca. Si era formato a New Orleans, era un gruppo di amici quasi tutti di origine siciliana che suonavano nelle bande locali con strumenti e forti influenze della terra di origine. Armstrong dichiara in un’intervista di essersi ispirato, giovanissimo, proprio alla musica di La Rocca, creatrice, per lui, “di un suono nuovo”.
“I siciliani hanno il jazz nel sangue. Basta guardare un fenomeni come Francesco Carico”, continua Renzo, “ma l’origine siciliana del jazz è poco conosciuta anche perché spesso i musicisti in America cambiavano nome. Il jazz è un’eccellenza italiana, le istituzioni dovrebbero investire di più in futuro per esportarla”.
Entrare in casa Arbore è come fare un giro in un museo dei gadget: migliaia di irresistibili oggetti, statuette musicali, madonne sudamericane, radio di plastica, juke box, collezionate con simpatica bulimia consumistica. In mezzo troneggia il padrone di casa, pienamente soddisfatto della sua ennesima “malefatta”, un disco di canzoni classiche italiane cantate in inglese, da crooner. S’intitola …my American way! con esplicito sottotitolo “ma con le classiche canzoni italiane…”Racconta Arbore: “Ho sempre pensato che ci sono canzoni italiane di incomparabile bellezza, che possono competere con i grandi standard americani”. Come dargli torto, se pensiamo a E se domani (che nel disco diventa I know it’s over) o Anema e core (How wonderful to know), sta di fatto che da tempo Arbore girava intorno all’idea del crooner, non è una novità, ma certo questa volta l’ha fatto fino in fondo, prendendo una serie di canzoni italiane, in inglese, cantate con raffinati accompagnamenti jazz, asciutti ed essenziali: “Come dico sempre, gli arrangiamenti sono alla Armani, cioè fatti in modo da togliere tutto il possibile, se no i musicisti tendono sempre a strafare, a far capire quanto sono bravi, ma tante volte non c’è bisogno di tante note”.
Il disco scorre con piacevole e soffusa eleganza, tra pezzi come Resta cu’mme (Stay here with me) Non dimenticar (Don’t forget) che fu cantata da Nat King Cole, e ovviamente alcune delle sue canzoni, come Il materasso e Il clarinetto, un promemoria della bellezza italiana che ovviamente, essendo cantato in inglese, ammicca al mercato internazionale. “E’ la mission di questo disco: ricordare che ci sono canzoni che vanno oltre il tempo e le mode, e che forse possono essere apprezzate da qualsiasi tipo di pubblico del mondo”. Spuntano anche altre voci, quella di Gegé Telesforo e, sorprendentemente, quella di Isabella Rossellini. Difficile da convincere? “Per nulla. Era solo preoccupata di non saper cantare, ma io le ho detto di non preoccuparsi, e infatti ha cantato benissimo”.
Arbore è anche e soprattutto un formidabile testimone della storia della canzone italiana, di cui oggi è diventato ufficialmente l’ambasciatore internazionale, i suoi aneddoti riempirebbero libri, e ci tiene a sottolineare che da ben 23 anni gira il mondo con la sua Orchestra italiana. E questo lo allontana sempre di più dalla televisione, anche se una novità c’è, e non secondaria. Evidentemente sempre più stanco di dover combattere con una televisione ossessionata dagli indici d’ascolto, la televisione se l’è fatta da solo: basta collegarsi con www.renzoarbore-channel.tv e scoprire che ancora in tono dimesso, e poco pubblicizzato, Arbore sta sperimentando una tv via web, fatta praticamente da casa, in un set allestito in quel suo personalissimo regno dorato della cultura pop.
Un fantastico ragazzo di 76 anni, pieno di idee ed entusiasmo. Renzo Arbore non riesce proprio a star fermo: da pochi giorni è uscito (ed è subito entrato in classifica) il suo nuovo disco, “…my American way!”, che propone i grandi classici della canzone italiana (“E se domani”, “Non dimenticar”, “Resta cu’mme” e molti altri) tradotti in inglese e cantati con lo stile confidenziale dei crooner.
Intanto, fino alla fine di novembre, Raduno rende omaggio alle trasmissioni più amate dello shoman con il programma “L’altra”, in onda il sabato sera poco dopo la mezzanotte. “Un modo per far conoscere il mio lavoro anche ai giovani” spiega. “Il titolo? Rende bene la mia idea tv: fare “altro” rispetto a quello che passa il convento”. Un’idea che ispira anche la sua Web tv (www.renzoarborechannel.tv), che propone canzoni, interviste e filmati d’epoca. Insomma, una chiacchierata con Arbore si trasforma sempre in una festa illuminata da battute, ricordi e provocazioni di un grande e inimitabile “volpone” del piccolo schermo.
Renzo, cominciamo dalla musica: è lei l’erede di Frank Sinatra?
“Non faccia lo spiritoso! (ride, nrd). Scherzi a parte, “…my American way!” é il coronamento di un sogno. Lo stile dei crooner mi ha sempre entusiasmato: adoro Frank Sinatra, Perry Como e Nat King Cole. Cosi’ mi sono ispirato a loro per proporre in una nuova versione i capolavori italiani. Spero che conquisteranno anche gli americani”.
Con lei si finisce sempre a parlare dell’America, la sua terra dei sogni.
“Da ragazzo ero come Nando, il personaggio interpretato da Alberto Sordi nel film “Un americano a Roma”: la mia ossessione erano i blue jeans e i dischi di Louis Armstrong e Duke Ellington”.
L’amore per la musica ha influenzato anche il suo lavoro in tv?
“Certo: quando abbiamo fatto “Quelli della notte” insistevo perché il cast improvvisasse il più possibile, esattamente come fanno i jazzisti in concerto, In tv l’improvvisazione diverte sempre. Certo, l’importante è che sia fatta bene…”.
Che cosa pensa della tv di oggi?
“I difetti sono sotto gli occhi di tutti: troppe risse, spesso preparate a tavolino, e poca fantasia. Certi programmi mi ricordano i panini dei fast food: si consumano velocemente, senza nessuna emozione. E’ inevitabile che, con queste premesse, trasmissioni così strutturate invecchino rapidamente e non lascino rimpianti. Io ho sempre preferito lavorare in modo diverso, privilegiando la fantasia, l’umorismo, il ritmo. Vede, alla fine si torna sempre lì…”.
Non le piace proprio nulla di quello che va in onda?
“Non ho detto questo, non esageriamo. Seguo con piacere Zoro e il suo programma “Gazebo” (in onda su Raitre dal martedì al giovedì in seconda serata, ndr). Questo ragazzo ha trovato una formula garbata e originale per parlare dell’attualità’. Tra i big poi mi piace Fiorello, un talento naturale che conquista con la simpatia. Dev’essere una dote di famiglia, perché anche suo fratello Beppe è molto in gamba: nella fiction in cui interpretava Domenico Modugno mi è piaciuto tanto”.
Renzo, allora è proprio così: il primo amore, in questo caso l’America, non si scorda mai.
“Eravamo ragazzi, con il mio amico Gerardo Gargiulo e siamo stati i primi ad andare a comprare jeans e vestiti americani al Ponte di Casanova a Napoli. Dicevano che eravamo noi ad avere ispirato Carosone quando scrisse Tu vuo’ fa l’americano”.
Da qui ad arrivare a travestire anche la musica italiana ce ne passa.
“Alcune nostre canzoni sono alla pari, se non superiori, ai classici americani, così mi sono domandato: ce ne sono che possono arrivare al pubblico statunitense? C’è, per esempio, E se domani, diventata  know it’s over. E c’è Anema e core, che risente molto della presenza americana nel Dopoguerra nelle sue armonie: infatti è stata cantata da gente come Perry Como e Michael Bublé”.
C’è il rischio di farla apparire un’operazione nostalgia?
“Può sembrare passato, ma quelle canzoni le ho attualizzate suonando con una jazzband, gli Arboriginals, e usando arrangiamenti all’Armani, sobri al massimo e col piano suonato appena, come se i tasti scottassero. Sono canzoni eleganti, adatte a fare apprezzare il nostro Paese all’estero”.
Diciamocelo: l’immagine dell’Italia non è delle migliori.
“L’arte può salvare l’Italia, abbiamo una ricchezza che dobbiamo vendere. Per esempio il nostro jazz è il secondo nel mondo. E Gaber, Paolo Tenco, Dalla dovrebbero essere tradotti e esportati e studiati a scuola: sono i nuovi Pascoli e Carducci”.
Insomma, il suo futuro è in musica con poca tv.
“Per la verità il sabato notte su Raduno va in onda il programma L’altra dove, ogni volta, ci sono due puntate dei miei vecchi show. E poi, sul web, ho un mio channel, dove faccio vedere tutto quello che mi piace, comprese le pietre miliari dello spettacolo televisivo. Ho scoperto le potenzialità della rete: è un dono della provvidenza. Ho messo in piedi uno studio da cui posso andare in streaming quando voglio”.
Nella tv di oggi ci sarebbe spazio per un suo nuovo programma?
“Alcuni direttori mi corteggiano, anche se c’è stato un periodo in cui mi ignoravano. Ma non voglio tornare a fare cose che ho già fatto. E poi nella tv oggi è tutto scritto, l’improvvisazione jazzistica che è sempre stata l’arma dei miei show, non la sa fare più nessuno”.



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