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giovedì 5 dicembre 2013

Il Petisso

Bruno Pesaola

Bruno Pesaola, detto il Petisso, nato a Buonos Aires nel 1925 ha legato il suo nome alla storia del Napoli, del quale e’ stato a lungo prima giocatore e poi allenatore, Pesaola è figlio di un calzolaio marchigiano, Gaetano (che lasciò Montelupone, in provincia di Macerata, nei primi anni Venti), e di Inocencia Lema, entrambi emigrati in Argentina. Iniziò la carriera calcistica nella squadra juniores del Dock Sud e passò a 14 anni alle giovanili del River Plate allenate da Renato Cesarini, giocando con le riserve insieme ad Alfredo di Stefano. Pesaola si trasferì alla Roma nella seconda metà degli anni ’40, distinguendosi come attaccante brevilineo, veloce, abile nelle finte e prolifico, diventando amico degli attori e recitando con Walter Chiari in “L’inafferrabile 12” e Carlo Dapporto in “L’inafferrabile 13”. A causa della frattura di tibia e perone, subita durante una partita contro il Palermo del 26 febbraio 1950 e provocata dall’avversario Limona per reazione ad un presunto torto inflitto al compagno Gino Giaroli, Pesaola fu costretto a fine stagione a lasciare Roma; Limona, che poté contare sul perdono di Pesaola, fu dapprima squalificato a vita, poi la pena fu ridotta a due anni ed infine ulteriormente abbassata ad undici mesi; altre fonti riportano un’ulteriore diminuzione della pena a 6 mesi in seguito al perdono.
L’infortunio è così grave che pensa lui stesso di essere arrivato alla fine della carriera; passa quindi al Novara con cui disputa due stagioni giocando con Silvio Piola, che l’ha convinto a non tornare in Argentina e a sostenere un provino con i piemontesi. Disputa due stagioni in Serie A, segnando un gol alla Juventus, il 29 aprile 1951 nella vittoria interna 3-1, prima vittoria dei novaresi contro i bianconeri dopo undici anni e (l’anno dopo) ottenendo con la squadra un ottavo posto nel campionato 1951-1952, piazzamento mai più raggiunto o migliorato dai piemontesi a cui contribuisce segnando 8 reti. Si accasa quindi per 33 milioni (con 6 milioni d’ingaggio per lui) al Napoli, dietro suggerimento della moglie Ornella, che era stata eletta Miss Novara in quegli anni, divenendo uno dei giocatori simbolo della città partenopea, in cui soggiorna come calciatore per otto anni.
Fu tra i protagonisti della vittoria casalinga del 6 dicembre 1959, nella gara che segnò l’inaugurazione dello Stadio San Paolo, quando i partenopei vinsero, sotto gli occhi di Umberto (allora presidente della FIGC) e 
Gianni Agnelli sulla Juventus di Gianpiero Boniperti, Omar Sivori e John Charles per 2-1 in una gara in cui, secondo il Corriere dello Sport, pur giocando fuori ruolo per un incidente di gioco capitato al compagno di squadra Luis Vinicio, riuscì a creare pericoli alle retrovie della squadra piemontese; ne fu anche capitano dal 1953 al 1960, totalizzando 240 presenze con 27 gol.
Esordì nella Nazionale B l’11 dicembre 1953 a Istanbul nella gara Italia B-Turchia 1-0. Ha disputato anche come oriundo una gara nella Nazionale maggiore, debuttando a Lisbona il 26 maggio 1957 in Portogallo-Italia (3-0), in una gara condizionata dagli infortuni di Alcides Ghiggia e Giuseppe Chiappella quando il risultato era ancora sull’1-0 ed il cui risultato si fece pesante solo negli ultimi minuti di gioco; ha giocato inoltre 6 partite nella Nazionale B.
La sua panchina e’ quella della Scafatese, in qualità di giocatore-allenatore, nel campionato 1961-1962; durante la stagione, con il Napoli che rischia di retrocedere dalla Serie B, subentra a Fioravante Baldi, dando al Napoli la promozione in Serie A, la prima Coppa Italia, consentendo ad una squadra militante in Serie B di vincere il trofeo per la prima volta. Conquista inoltre il primo trofeo europeo (la Coppa delle Alpi nel 1966, dopo aver stimolato con un trucco l’aggressività di Omar Sivori) e la porta al secondo posto nel 1968, risultato mai raggiunto prima dalla squadra campana. Come allenatore conquista poi uno scudetto alla guida della Fiorentina nel 1968-1969 (durante la cui permanenza rischiò una pesante squalifica per aver preso un impegno con il presidente del Napoli Ferlaino), una Coppa Italia con il Bologna nel 1974 e anche un’insperata salvezza con il Napoli nel 1982-1983 con al fianco Gennaro Rambone. Nel corso di quella stagione resta famosa l’immagine di Pesaola che abbraccia il rosario prima di un rigore decisivo calciato da Moreno Ferrario.
Nel 1970 gli è stato assegnato il premio Seminatore d’Oro (nello stesso anno perse la finale di Coppa delle Alpi).
Eccelso nell’interpretazione delle gare, che affrontava con grande sagacia tattica, confessò che in alcune partite, mentre con le mani faceva visibilmente segno alla squadra di avanzare, a voce ordinava di retrocedere.
Terminata la carriera da allenatore, e’ diventato opinionista per diverse trasmissioni televisive locali e nazionali..
Esce di rado dal suo rifugio napoletano all’Arenella, non beve più whisky e fuma anche di meno. Anzi ha smesso proprio: “l’ultima sigaretta e’ stata tre anni fa…”, ci tiene a  precisare questo signore del calcio che e’ Bruno Pesaola , per la più nobile storia di cuoio, meglio noto come il “Petisso”. Il “piccoletto” nella lingua madre, il casigliano. Un italiano d’Argentina, nato a Buenos Aires – il 28 luglio 1925- da famiglia marchigiana:papà Gaetano era calzolaio di Montelupone (Macerata). Dalle partite di strada con il pallone di stracci al barrio Avellaneda, alla scuola di futbol e di vita di mastro Renato Cesarini, quello del gol in zona y final (“Marchigiano anche lui di Senigallia”), nelle giovanili del River Plate, assieme al quasi coscritto Alfredo Di Stefano (classe 1926). Sul “Giornale d’Italia” il giovane Bruno leggeva la cronaca del Paese d’origine dove sarebbe arrivato solo dopo aver tolto le stellette militari per diventare a 21 anni la stellina della Roma, nell’era pre-oriundi. “Roma non era ancora la città della “Dolce vita”, anzi, macerie e odore di guerra un po’ dappertutto, ma si stava bene con 120 mila lire al mese in saccoccia per giocare a pallone, quando un operaio ne prendeva 30 mila”. Il brevilineo dell’attacco giallorosso alla domenica pomeriggio faceva coppia con il “fornaretto” di Frascati, Amedeo Amadei (“Gran  signore e grande classe”), alla sera invece con l’istrionico Walter Chiari (“con lui ho recitato nell’inafferrabile 12”) girava per Caffè e Riviste di via Veneto. Poi, un fulmine sotto il cielo sereno del cupolone, una rasoiata assassina a frantumare tibia e perone. “Fu con il Palermo. Chi e’ stato a “rompermi”? Non mi ricordo più neanche il nome…”. Signorilità dell’uomo che ha perdonato da un pezzo il mastino Gimona, la cui entrata letale lo costrinse a lasciare la Roma: destinazione il Novara. Lì conobbe “miss Novara”, sua moglie Ornella (“l’unico grande amore della mia vita”) e fece tandem con Silvio Piola. “Il più forte centravanti che abbia mai visto, bomber insuperabile (297 gol, ndr). Appena arrivato gli davo del “lei”. Oggi non si usa più lo so, come e’ cambiato sto mondo…”. Dal Novara al Napoli, inaugurando lo stadio San Paolo (il 6 dicembre del 1959) nella sfida contro la Juve invincibile di Boniperti, Charles e del mio grande amico Sivori, ma vincemmo noi, 2-1”. Da lì in poi una lunga striscia azzurra, come il mare che bagna via Caracciolo: 240 presenze e 27 gol da calciatore e sei stagioni da tecnico (con due ritorni) al Napoli. Da allenatore, con i “diamanti” Sivori e Altarini, nella stagione 1967-’68 sfiora lo scudetto. “Sivori era grande quanto Diego Armando Maratona, ma Diego resta il più forte di tutti anche di Pelè: primo perché ha giocato in Europa, secondo perché a Messico ’86 con l’Argentina vinse un Mondiale da solo. Il Brasile di Pelè aveva  altri dieci campioni e nel ’62 in Cile divenne campione del mondo anche senza lui”. La stella del Brasile campeon del ’62 fu Amarildo che Pesaola ebbe nella Fiorentina del 1968-’69, quella del secondo e ultimo scudetto viola. “Era una bellissima squadra quella della Fiorentina, siamo stati bravi e anche fortunati. In tanti anni di calcio ho capito una cosa: questo e’ un gioco schiavo dell’episodio”. Per l’allenatore del Napoli attuale, Rafa Benitez, il calcio e’ essenzialmente “bugia”. “Ha ragione, a volte il campo mente…”. Allora e’ bugiarda anche questa classifica con la Roma di Garcia capolista a punteggio pieno che stasera all’Olimpico sfida il Napoli?” La verità di un campionato si scopre solo alla fine . Garcia e Benitez se la possono giocare per lo scudetto, ma c’e’ sempre da fare i conti con la Juve. Io come Zeman? Ho sicuramente fumato quanto lui in panchina, ma credo di essere stato più un allenatore alla Conte, uno capace di fare il meglio possibile con i giocatori che si hanno a disposizione. Una filosofia che applica benissimo Mazzarri e ancora meglio alla Fiorentina Vincenzo Montella che per me e’ il tecnico del futuro”. Il tecnico simbolo dell’attuale calcio italiano e’ il ct della Nazionale Cesare Prandelli, che ha riportato il bel gioco al potere (“Negli ultimi tempi un po’ meno, gli servirebbe un Totti. Francesco se se la sente deve andare in Brasile”) ma non e’ riuscito ancora a raddrizzare il genio-ribelle, Mario Balotelli, che si e’ appena dissociato dal ruolo di testimonial anticamorra. “E ha fatto bene a non intromettersi e a stare lontano da ciò che non conosce – dice deciso -. Certe testimonianze si fanno se ci si crede veramente e non per compiacere la stampa. Napoli ha bisogno di legalità certo, ma soprattutto di lavoro, con quello, da città fantastica qual e’ diventerebbe un paradiso terrestre”. Una città teatro che ha eletto il Petisso cittadino onorario, riconoscendogli quella stessa passionalità verace che si ritrova al San Paolo quando gioca il Napoli di Aurelio De Laurentiis. “Mi piace De Laurentiis? “Ni” . Dico di sì per il presidente che dalla Serie C ha riportato il Napoli ad essere competitivo anche in Europa e credo che in Italia possa vincere molto prima di quanto potrà farlo la Roma. No all’uomo, non rispecchia il mio modo di concepire la vita…”. Una vita spesa ad insegnare che “anche se guadagni milioni di euro come Balotelli la felicità e la cultura non si possono comprare. Che se hai un’idea in testa, in campo devi realizzarla subito, prima che te la rubi l’avversario. E che da noi, finché sei nel giro del calcio, certe cose se non le dici e’ meglio, perché faranno in modo di metterti contro la gente. E nonostante tutta ‘sta tv, e’ ancora il popolo dello stadio che tiene in piedi questo sport”. Una cosa che il Petisso non ha “mai detto prima”, e’ la storia di quel Roma-Napoli del ’49: “Io e Amadei eravamo infortunati, tornammo dai fanghi e ci chiesero come stavamo… Amadei rispose “non bene” e non giocò. Io dissi “tutto a posto”: schierato dal primo minuto, segnai una doppietta e battemmo il Napoli 2-1 che poi finì in B. Da napoletano, e’ un fatto che non ho mai sbandierato”. Un segreto di Pulcinella o una mezza bugia alla Benitez, ma per il vecchio Petisso il calcio era e rimane qualcosa di più profondo. “A Napoli come a Buenos Aires, il campo di calcio resta una palestra di vita e un’uscita di sicurezza. Il mondo e’ cambiato tanto, ma qui farcela con il pallone vuol dire ancora riscatto sociale e la possibilità per i giovani di avere un futuro migliore, lontano dalla miseria e dalla violenza della strada.
Dal 2009 gli è stata conferita la cittadinanza onoraria di Napoli, dove da sempre vive al Vomero, definendosi “un napoletano nato all’estero”.

Bruno Pesaola

Bruno Pesaola sulla panchina della Fiorentina

Bruno Pesaola, giocatore ed allenatore Argentino naturalizzato Italiano, in una foto degli anni 70



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