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lunedì 25 novembre 2013

Un amico fraterno

Arturo Capasso

Arturo Capasso è stato per me sempre un fratello maggiore, da cui prendere esempio ed accogliere i consigli. Ci separavano 12 anni di età e di saggezza.
E’ stato l’anima del salotto culturale di mia moglie Elvira; mai un’assenza in 10 anni, sempre attento in prima fila con la moglie Marianna. Da lui partivano le domande e gli interventi più stimolanti, che inducevano i relatori ad approfondire gli argomenti. Ha collaborato con le sue personali amicizie a far intervenire personaggi famosi e con il suo entusiasmo elettrizzava il pubblico.
Ufficialmente la sua attività era dirigere il suo negozio di tessuti con 40 dipendenti in zona Mercato, ma egli da intellettuale raffinato amava leggere e scrivere.
Giornalista professionista aveva collaborato ad importanti testate, dal settimanale Gente alla gloriosa rivista Scena Illustrata, sulla quale mi invitòa scrivere dal 1994, collaborazione che da venti anni non si è mai interrotta. Perfetto conoscitore delle lingue, aveva soggiornato come borsista in Unione Sovietica, diventando un acuto osservatore della realtà comunista, che ha riportato in alcuni suoi libri. Una figlia architetto, 3 nipoti, una splendida villa a Posillipo sul mare con ettari di verde, che in parte coltivava, vestendo alla perfezione i panni del contadino, per dismetterli la sera e, novello Macchiavelli, indossarne di eleganti per dialogare con gli Antichi e con i giganti della letteratura russa che amava svisceratamente. La sua famiglia era di Secondigliano, quando la località era un paradiso bucolico non l’inferno di oggi. Sentiamo come ne parla in un suo libro:
“Secondigliano era un borgo tranquillo e bucolico - ce lo descrive con lirica accorata Arturo Capasso, nativo del luogo, uno dei pochi scrittori che ha dedicato la sua attenzione a Scampia, definita terra fertile e ubertosa - Nei giardini c’erano le caprette, mentre sui Terrazzi c’erano i colombi. Ma nel giardino c’erano anche le galline, e imparai ben presto a vedere se tenevano l’uovo. Bisognava isolarle, bisognava metterle una specie di calza intorno al becco, altrimenti pizzicavano l’uovo appena fatto. Era un mondo semplice, ordinato, molti andavano in bicicletta. C’erano quattro, cinque famiglie di grossi commercianti e piccoli industriali, poi una fascia media e una molto bassa che abitava vicino al cimitero, nella località detta dei “Censi”.
Da qualche anno, dopo una malattia sopportata con paziente rassegnazione, ha lasciato questa valle di lacrime. Almeno ufficialmente, forse per gli altri, per me vivrà per sempre nel mio cuore, dove ha un posto di riguardo.
Quasi ogni sera Arturo viene a trovarmi nel mio giaciglio a Rebibbia, a rendere lieti i miei sogni, a farmi compagnia, mitigando la mia tristezza. Discutiamo affacciati verso il mare nella sua splendida villa o passeggiamo ad occhi chiusi per via Caracciolo e da napoletani veraci sappiamo distinguere chiaramente tra il fragore delle auto clacsonanti ed il frangersi delle onde sulla scogliera di Mergellina.



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