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lunedì 25 novembre 2013

L’EPOPEA DEI POSTEGGIATORI

posteggiatore

I posteggiatori sono personaggi strettamente connessi al folklore napoletano da oltre sette secoli. Prima erano menestrelli e cantautori che si accompagnavano con la musica e frequentavano le taverne e le feste di paese. Spesso viaggiavano per ritornare sempre, carichi di ricordi, poveri più di prima.
La stessa gloriosa canzone napoletana, nota in tutto il mondo, nasce dagli stornelli e dalle melodie di questi umili posteggiatori, autori inconsapevoli di testi destinati all’immortalità.
Nonostante i loro versi ispirati abbiano partorito il patrimonio della canzone napoletana, decretandone la diffusione planetaria, non conosciamo il nome di nessun posteggiatore per ricordarlo ai posteri.
I protagonisti di questa gloriosa epopea ci sono noti solo per i nomignoli pittoreschi: ‘O Zingariello, Guglielmo ‘e mare, ‘O Piattaro, per cui è loro preclusa qualsiasi dignità letteraria, ma occupano un posto d’onore in una tradizione poetica e musicale che appartiene non solo alla storia di Napoli ma anche alla cultura popolare dell’Europa mediterranea.
Mimmo Liguoro, nelle prime pagine del suo aureo libretto sull’argomento, ci racconta la storia di Lucia ‘a Madunnella, una fanciulla che cantava nella trattoria “Villa di Londra”, in via San Sebastiano, per studenti e professori della vicina università, spesso accompagnata dall’anziano genitore. La ascoltarono anche Mascagni e Gemito ed un giorno un nobile se innamorò, permettendole un finale da favola, facendola divenire la contessa Valdieri.
Purtroppo, la realtà dei posteggiatori era ben diversa: gli occhi lucidi di soddisfazione e le tasche con pochi spiccioli.

posteggiatori

posteggiatori


La memoria storica, per quanto siano ancora attivi, li ha dimenticati anche nel linguaggio: infatti, oggi, in vernacolo per posteggiatore s’intende il guardiamacchine, regolare o abusivo, mentre si è salvata ‘a pusteggia, che indica ancora un complessino di musicanti, mentre le macchine in sosta sono indicate con genere maschile ‘o pusteggio.
I più affermati disdegnavano il pomposo appellativo di professore che dedicò loro E. A. Mario nella sua celebre 
“Dduje paravise”:
Dduje viecchie prufessure
‘e concertino
nu juorno nun sapevano che fa…
Pigliajeno ‘a chitarra e ‘o mandulino
e ‘n paraviso
jettero a sunà…
L’epopea di trovatori e menestrelli, antenati dei posteggiatori, comincia in pieno medioevo e lo stesso Boccaccio, vissuto a Napoli dal 1327 al 1339, dichiara di aver ascoltato un celebre canto dell’epoca:
Jesce sole, jesce sole,
nun te fa cchiù suspirà!
Siente maje che le figliole
hanno tanto da prià?...
Un’invocazione al sole che asciughi subito i panni, che racchiude un ancestrale richiamo alle divinità preposte alla fertilità.
Questi complessini adoperavano vari strumenti musicali, dal calascione, un grosso chitarrone, alla cetola, una cetra rudimentale, ed erano presenti in tutte le taverne, allora numerosissime, frequentate a tutte le ore da soldataglia, studenti, prostitute mercanti e forestieri.
Talune volte allietavano le case dei ricchi in un periodo in cui canti e balli, alternati a robuste libagioni, costituivano lo svago preferito non solo a Napoli ma in tutta Europa.
I secoli passano e si arriva al Settecento, quando imperversavano coppie di danzatori che, accompagnandosi con tamburelli ed altri strumenti a percussione, ballavano freneticamente, ispirandosi alle tarantelle campagnole con passi pregni di una fremente carica più erotica che sentimentale.
Le movenze mimavano un corteggiamento maschile e la tattica femminile, fatta di ritrosie e cedimenti. La musica era arricchita da un canto che narrava una storia, la più celebre “‘O Guarracino”. Nell’Ottocento, poi, la canzone napoletana divenne un fenomeno in continua espansione: dai testi semplici dei posteggiatori si arrivò alle melodie d’autore. La spinta decisiva fu data da Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo.
Cambiarono anche gli strumenti dei posteggiatori: scomparvero tiorbe e calascioni, sostituiti degnamente da chitarre, mandolini, violini e, infine, la fisarmonica.

posteggiatori

posteggiatori


Dobbiamo proprio alla penna di Di Giacomo la descrizione di un singolare posteggiatore: Don Antonio ‘o cecato, che, accompagnato da un concertino, conosceva tutte le canzoni del suo tempo e camminava legato ad un compagno che gli indicava il percorso.
Durante la stagione estiva, i musicanti si trasferivano sulle rotonde degli stabilimenti balneari e lo stesso Enrico Caruso intonava spesso romanze e canzoni per i clienti del Bagno Risorgimento di Mergellina da dove, scoperto dal baritono Misiano, che lo presentò al Maestro Vergine, spiccò il volo verso la celebrità mondiale.
E qui sia concessa una breve digressione per parlare della nascita degli stabilimenti balneari a Napoli, argomento sconosciuto, ad eccezione di un prezioso libretto di Maria Sirago, uscito di recente, dal titolo accattivante “La scoperta del mare”.
A parte un bagno privato che Ferdinando IV fece costruire nel 1780 sulla battigia di Portici per permettere alla moglie Maria Carolina di farsi un tuffo in mare al riparo da sguardi indiscreti, il primo stabilimento pubblico napoletano sorse intorno al finire del Settecento mentre, dopo che nel 1806 Giuseppe Bonaparte promulgò la “libertà di mare”, cominciò a diffondersi la nuova moda. Per molti anni i bagnanti erano posti a distanza di sicurezza dalle bagnanti, come si evince da un gustoso episodio del film di Totò “Un turco napoletano”.
Anche molti alberghi del lungomare, come oggi a Cannes,  avevano la loro discesa privata. In poco tempo ne sorsero tanti, dal Miglio d’oro a Posillipo e, tra un tuffo e l’altro, i clienti, sorseggiando una bibita o sorbendo un caffè, ascoltavano le melodie eseguite da cantanti scritturati dai proprietari degli stabilimenti.
Ritornando ai posteggiatori, ad essi va il merito di aver favorito la nascita del Caffè Concerto, genere di spettacolo che caratterizzò un’epoca. In città apparvero, come funghi,  gelaterie, birrerie e caffè con spazi per tavolini al chiuso ed all’aperto ed esplose anche da noi la Belle époque.
Comici, ballerine e sciantose imperversavano e lentamente si sviluppò la sceneggiata, particolare forma di rappresentazione teatrale che metteva in scena  amori, passioni e gelosie condite da canzoni drammatiche e strappalacrime. Dopo poco nacque la rivista e tra tanti artisti, costretti all’oblio ed all’anonimato, Gennaro Pasquariello raggiunse l’apice del successo con le sue canzoni e le sue caricature.
Fu seguito da Elvira Donnarumma, che esordì nella birreria dell’Incoronata dove, dopo l’esibizione, girava col piattino, per assurgere poi al ruolo di più grande interprete della canzone napoletana.
Abbiamo toccato argomenti cui abbiamo dedicato appositi capitoli ai quali rinviamo: “Dal caffè chantant al Caffè del Professore”, “La nascita della rivista”, “Isso, essa e ‘o malamente|” e tanti altri.
Dopo l’età dell’oro, per i posteggiatori cominciò lentamente la decadenza, nonostante le lodi di Mastriani sul suono della chitarra: “E’ lo strumento notturno per eccellenza, lo strumento delle serenate, dei concerti all’aria aperta, delle dichiarazioni d’amore”.

lido a Posillipo

bagnanti

La posteggia ancora furoreggia nei ristoranti e nelle case private, pronta ad occupare l’angolo di un salotto o l’anfratto di un basso.
L’estrazione popolare dei posteggiatori era testimoniata dai loro soprannomi: “Purpetiello”, “Capitone”, “Coppola rossa”, “’O Cappellaro”, “’O muollo muollo” etc., nomignoli lapidari, taglienti, capaci di scolpire virtù e difetti di questi  artisti popolari che Beniamino Gigli definì l’anima di Napoli.
Come filosofia di vita vivevano alla giornata e chi guadagnava qualche soldo s’affrettava a perderlo al lotto.
Un colpo decisivo alla loro attività fu l’introduzione sul mercato, ad opera della Polyphon nel 1912, del grammofono, macchina parlante in grado di diffondere musica ovunque.
Ma il loro tramonto non fu improvviso. Ancora negli anni Trenta continuavano a lavorare nei ristoranti e nei ritrovi della città, per evaporare  poco a poco nell’aria e nel sole.
Per comunicare tra loro essi adoperavano un linguaggio criptico: la parlesia, che era usata per concordare appuntamenti e contratti.
Nel dopoguerra, l’esigenza di sbarcare il lunario fece di nuovo crescere la schiera di posteggiatori e sorsero nuove figure di cantanti ambulanti che, più che nei locali, si esibivano sulla pubblica piazza come a Porta Capuana dove un cantante, un posteggiatore, un comico si esibivano avendo per palcoscenico un’umile cassetta di legno.
Oggi, per incontrare gli ultimi superstiti della posteggia, bisogna recarsi sul Lungomare o a Piazza Dante. Pochi altri girano per Napoli in ordine sparso o utilizzano circuiti ancora fertili per fare musica in occasione di festicciole tra amici. Anche Pino Daniele ed Enzo Gragnaniello sono partiti dai vicoli per poi volare alto.
A volte i posteggiatori si esibivano in macchiette, una scheggia di remota comicità plebea, memore dell’umore delle antiche farse atellane, la cui secolare memoria sembra essersi spenta per sempre.

bellezze al bagno

controllo sulla decenza di un costume da bagno


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