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martedì 5 novembre 2013

‘A voce ‘Napule



Nino D'Angelo


Nino D'Angelo (Gaetano per l’anagrafe) nasce a Napoli nel 1957. Negli anni ottanta fece fortuna con un jeans una maglietta ed un caschetto biondo, ma i critici lo massacravano. Oggi, invece, s’ispira a Gaber si prepara alla “terza fase artistica” e si mette la parrucca.
Originario di San Pietro a Patierno, quartiere della periferia nordorientale di Napoli, ebbe un'infanzia molto difficile e, a causa delle condizioni economiche della sua famiglia, lasciò presto la scuola e cominciò a lavorare saltuariamente come cantante ai matrimoni e come gelataio alla Stazione di Napoli Centrale.
Dopo una breve gavetta musicale, giunse ad un immediato successo in ambito regionale con il suo primo album, 'A storia mia (1976), pubblicato grazie a fondi familiari. L'album ebbe notorietà anche nelle altre regioni meridionali.
Si sposò in giovane età nel 1979 con Annamaria dalla quale ebbe due figli: Antonio e Vincenzo. In questo periodo cominciò anche a lavorare in teatro nelle cosiddette sceneggiate, tipica forma teatrale napoletana. Già nel 1979, al debutto, trovò subito il successo con "Esposito Teresa", tre atti e due quadri di Alberto Sciotti, tratta dalla sua stessa omonima canzone. Il successo fu confermato l'anno seguente da "'A discoteca", anch'essa di Alberto Sciotti e tratta da una sua canzone.
Nel 1981 debuttò nel cinema, con Celebrità. Nel 1982 Interpreta Tradimento e Giuramento in coppia con il grande Mario Merola. Si realizzò l'abbinamento disco e film con 'Nu jeans e 'na maglietta. Il film, di cui gli autori e produttori avevano aspettative molto basse, tenne testa negli incassi a Flashdance. Da questo momento cominciò il "fenomeno Nino D'Angelo".
Nel 1983 pubblica in successione due album che lo proiettano verso il successo nazionale: "Sotto 'e stelle" e "Forza campione" rafforzando la collaborazione nei testi con il paroliere Antonio Casaburi, già precedentemente presente negli album "Nu jeans e 'na maglietta" e "Le due facce di Nino D'Angelo" e con Antonio Casaburi nascono canzoni come: 'Na muntagna 'e Poesie-T'amo-Aggio scigliuto a tte-Compagna di Viaggio-Vedrai- Fra cinquant'anni- Racconto d'amore. Gli arrangiamenti sono curati da Franco Chiaravalle.
Nel 1985 raggiunse la Top Ten delle classifiche nazionali con l'album Eccomi qua, che creò le premesse per il suo debutto al Festival di Sanremo nel 1986, dove presentò Vai. Fu totalmente ignorato dai critici ma il suo album Cantautore fu uno dei più venduti tra quelli del festival. Il successo su vasta scala gli permise di ottenere il passaggio dalla casa discografica Vis Radio alla Dischi Ricordi, per la quale pubblicò, nell'autunno di quell'anno l'album Fotografando l'amore. In questi anni cominciò a girare il mondo con i suoi concerti: Belgio, Francia, Svizzera, Germania, Stati Uniti. Una sua canzone, "Napoli" tratta dal film Quel ragazzo della curva B, divenne un inno per i tifosi di calcio napoletani.
Nel 1990, dopo la scomparsa dei suoi genitori, Nino entrò in un periodo di depressione. Provò a smettere i panni del cantante che vendeva album, cercando in sé stesso "le emozioni più profonde per scrivere i brani". Si ricorda, in questo periodo, il cambio totale di look che lo vide eliminare del tutto il caratteristico caschetto biondo per un taglio più casual. Con l'album Tiempo, riuscì a convincere anche la critica (si ricordano gli apprezzamenti del critico cinematografico Goffredo Fofi). In seguito lasciò Napoli e si trasferì con la sua famiglia a Roma.
Da qui anche l'incontro con la regista Roberta Torre che gli propose di girare un cortometraggio, "Vita a volo d'angelo" fu poi presentato al Festival di Venezia riscuotendo molti apprezzamenti. L'anno dopo la stessa Torre gli propose di realizzare la colonna sonora al suo primo lungometraggio, "Tano da morire", con il quale D'Angelo ha vinto, tra altri premi, il David di Donatello come miglior musicista ed il Nastro d'Argento per la miglior musica assegnato dal SNGCI.
Nel 1997, Nino scrisse il suo primo musical, Core pazzo, che ottenne molto successo, e fu tra i conduttori del Dopofestival con Piero Chiambretti. Nel 1999 pubblica il libro L'ignorante intelligente, un'autobiografia che racconta le sue umili origini.
Sempre nel 1999 ritornò a gareggiare al Festival di Sanremo con Senza giacca e cravatta, raggiungendo l'ottavo posto. Nell'album successivo, Stella 'e matine, fu incluso fra i brani il singolo "'A muntagna è caduta" dedicato alle vittime dell'alluvione a Sarno del 1998.
Nino ritornò a Sanremo nel 2002 e nel 2003 con Marì e 'A storia 'e nisciuno. Nel febbraio 2005 viene pubblicato il singolo "Brava Gente" tratta da "Il Ragù Con La Guerra" (2005). Dal 2006 al 2010 è stato il direttore artistico del 'teatro del popolo Trianon Viviani' di Napoli. Nel settembre del 2006 lavorò sul set del film per il cinema dal titolo "Una notte" per la regia di Toni D'Angelo.
Nel maggio del 2007, Nino D'Angelo fu invitato dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli per tenere una lezione sul tema "La musica come strumento di recupero sociale". Sempre in maggio 2007 Nino D'Angelo, entrò in studio per registrare il nuovo CD, Gioia nova, e cominciò una tournée durata fino ad agosto.
Il 28 settembre 2007 il cd è stato pubblicato ed il primo singolo estratto è "Nu napulitano". Tramite un suo comunicato sul suo sito ufficiale, D'Angelo dichiarò di aver trovato l'ispirazione per la realizzazione di questo disco grazie alla nascita della sua nipotina. In precedenza aveva invece affermato che non avrebbe più scritto canzoni. L'8 luglio 2008 ha partecipato al concerto per festeggiare i 30 anni di carriera di Pino Daniele, con cui ha cantato "Napule è" (insieme ad altri artisti del calibro di Giorgia, Irene Grandi, Chiara Civello, Peppe Servillo e Gigi D'Alessio) e "Donna Cuncetta".
Successivamente invece è stato nominato direttore artistico della festa di Piedigrotta a Napoli organizzata il per 14 settembre 2008, la festa è stata un susseguirsi di emozioni e ospiti d'onore da Sophia Loren a Pippo Baudo fino ad arrivare al Cardinale Sepe, tutto avanti a 50.000 spettatori per niente abbattuti dalla lunga pioggia caduta nel corso della kermesse. Il 20 settembre 2008 torna, in occasione della festa di San Matteo, in concerto a Salerno, città in cui mancava da oltre 10 anni, con ospite Raiz.
Nel 2008 pubblica l'album D'Angelo canta Bruni, cd dedicato al cantante partenopeo Sergio Bruni, dove Nino ripercorre i suoi più grandi successi. Nello stesso anno propone al teatro Trianon lo spettacolo omonimo del disco, avendo grandissimo successo di critica e di pubblico; il CD dopo un mese è entrato anche nella classifica dei cento cd più venduti in Italia. Nel marzo del 2009 una sua vecchia canzone "Pop corn e patatine" insieme ad "Ogni volta" di Vasco Rossi fa parte della colonna sonora di Fortapàsc film che narra gli ultimi 4 mesi di vita di Giancarlo Siani.
Partecipa al Festival di Sanremo 2010 con Jammo jà, canzone sulla Questione Meridionale, presentata interamente in lingua napoletana: la canzone non accede alla finale, nonostante il tentativo di ripescaggio previsto per chi non aveva superato la prima serata. Contestualmente verrà pubblicata anche una nuova compilation dal titolo Jammo jà dove verranno ripercorsi i suoi 35 anni di carriera.
Il 4 dicembre 2011 esce il singolo Italia bella che anticipa l'uscita, nel gennaio 2012, dell'album Tra terra e stelle.
Nell'inverno 2011-2012 porta nei teatri il suo nuovo spettacolo C'era una volta un jeans e una maglietta; l'esordio è avvenuto al Teatro Bellini di Napoli il 23 dicembre 2011. Lo spettacolo è stato riproposto nella stagione teatrale 2012-2013. Il 21 Ottobre 2013 per Nino D'angelo si apriranno le porte del Teatro Real San Carlo di Napoli per omaggiare Sergio Bruni in un evento a lui dedicato dal titolo Memento/Momento per Sergio Bruni a dieci anni dalla sua morte.
Attualmente è stato siglato un accordo per cui Roberto De Simone curerà gli arrangiamenti del concerto di Nino D'Angelo al San Carlo. Per le scene, invece, dovrebbero essere adattate una serie di opere di Mimmo Paladino. Due firme d'autore, dunque, alla parte scenografica e musicale per l'evento destinato a portare per la prima volta sul palcoscenico del Niccolini l'ex scugnizzo con il caschetto biondo di «'Nu jeans e 'na maglietta».

Nino d'Angelo al San Carlo

Nino D'Angelo sara' al San Carlo con il suo omaggio a Sergio Bruni il 23 ottobre

Evento annunciato, rinviato, contestato e discusso tra un mare di polemiche, di favorevoli e di contrari. E ora pare definitivamente fissato per il 23 ottobre.
Lo stesso De Simone in un primo momento era contrario a destinare la sala del lirico ad appuntamenti con il pop, e faceva parte del consiglio di amministrazione del teatro quando fu imposto il divieto assoluto a spettacoli di musica «altra» o trasversali. Ma tant'è. Convinto dalla voce verace di D'Angelo, ora il maestro dall'alto della sua esperienza ha deciso di realizzare uno spettacolo vero e proprio con una sua drammaturgia e di cucire una veste «di lusso» alle melodie del cantante di Casoria. 
Il quale, è bene ricordarlo, arriva al San Carlo per una sorta di risarcimento morale: ricordare i dieci anni dalla morte di Sergio Bruni, «'a voce 'e Napule», cui non venne mai dato il placet per una soirée al San Carlo. 
Tempi diversi. Perché nel frattempo sono state tante le voci estranee al mondo della musica colta ad esibirsi in diverse occasioni sul palcoscenico del Massimo napoletano. A sdoganare la sala sono stati in tanti, da Claudio Baglioni (che ci ha girato anche un video) a Ligabue, da Vecchioni a Noa e Fossati e, tra i cantanti di casa, Enzo Gragnaniello, Pino Daniele, Massimo Ranieri (che ha anche firmato una regia di «Traviata») e Eugenio Bennato chiamato proprio dal San Carlo .nel cartellone della stagione Extra con la sua opera, «L'amore muove la Luna», in scena a febbraio scorso. 
«Stiamo lavorando perché l' evento si realizzi», dice l'assessore alla cultura del comune di Napoli Nino Daniele. «D'Angelo, De Simone e Paladino stanno facendo una bella cosa per Napoli e la canzone napoletana. Il sindaco de Magistris e io con lui ci abbiamo creduto dal primo momento, spero proprio di portare in porto l' operazione. Il Comune darà il suo patrocinio e questo agevola perché riduce il prezzo del teatro, ma non basta. Il costo dell' operazione sta lievitando perché non si tratta più di un semplice concerto.
D'altronde D'Angelo lo aveva detto: «Al San Carlo ci voglio andare ma con un progetto, un'idea, una cosa straordinaria». E s'è messo al lavoro. In silenzio, con puntigliosità e attenzione. Fino all'incontro, decisivo, con De Simone, a fine agosto, in occasione dell' ottantesimo compleanno del maestro. Nino ha preso parte alla festa organizzata da amici e parenti dell'anziano musicologo e insieme hanno pensato a uno spettacolo diverso, che potesse lasciare il segno. Non solo un semplice omaggio all' autore di «Carmela» ma una vera e propria drammaturgia all'interno della quale D'Angelo propone i suoi hit. Il tutto con il contorno assicurato da un maestro dell' arte contemporanea come Paladino, non nuovo, pèraltro, al palcoscenico del San Carlo. Qui il maestro di Paduli è un po' di casa, visto che è suo il disegno realizzato sulla nuova cassa acustica che fa da sfondo a tanti concerti. Suoi (regalati al San Carlo tra non pochi problemi burocratici) anche i cavalli di bronzo sistemati sul tetto della nuova sala prove, nei giardini di Palazzo Reale. Ma Paladino aveva anche firmato le scene per due allestimenti lirici: nel 2002 il rossiniano «Tancredi» e nel 2005 per il «Fidelio» di Beethoven in un allestimento singolare e suggestivo con la regia di Toni Servillo. Le sue opere, insieme a quelle di tanti artisti contemporanei passati dal San Carlo ora fanno bella mostra all'interno del MeMus, il museo del teatro a Palazzo Reale. E Paladino è amico di D'Angelo: fu lui a cantare in piazza del Plebiscito sulla sua celebre montagna di sale nella Napoli del rinascimento basoliniana.
Serata strana al San Carlo, serata bella, forse anche importante, se si potesse credere che il successo dell'altra sera avesse davvero finalmente abbattuto le barriere culturali che dividono Napoli tra cittadini di serie A e serie B, come nelle intenzioni del sindaco De Magistris, in sala per applaudire uno spettacolo da lui a lungo voluto. Bella per la qualità della «composizione strumentale cameristica» con cui Roberto De Simone ha vestito «Memento/Momento», aprendo finalmente le porte del teatro a Nino D'Angelo, ma anche a Sergio Bruni, a cui l'omaggio era dedicato. Bella per il coraggio con cui l'ex scugnizzo in jeans e t-shirt ha affrontato una prova fino a ieri inimmaginabile, esibendosi senza rete, passando da un gruppo di strumenti a corde pizzicate a un ensemble di musica barocca, da un quartetto jazz ad una fanfara macedone.
Nino ha mostrato carattere sacrificando il proprio stile - ma non la propria identità - al servizio di un processo che contestualizzava in una cornice colta la tradizione orale di cui è figlia la melodia 
partenopea. Ha rinunciato ai trucchi ed alle certezze del mestiere per intonare «Lu cardillo» accompagnato da un' arpa viggianese (Giuliana Dedno) e da un violoncello (Leonardo Massa) o vivere «Amaro è 'o bene» come una chanson jazzata e tangata. 
Ha lavorato per sottrazione, sentendosi forse goffo sul palco enorme, punteggiato dai segni/disegni di Mimmo Paladino, le luci di Cesare Accetta. Ha cantato puntando all'implosione più che all'esplosione espressiva pasquarielliana, coccolato dalla regia di Davide Iodice. ricordando ad ogni problema (l’audio non era ottimale) l' assicurazione del maestro: «Sei in una botte di ferro». 
Nella botte di ferro preparatagli da De Simone si è sottratto alla celebrazione della canzone gastronomica pop come dell' overdose orchestrale. Si è mosso tra suoni da camera, alla ricerca di una musica d'assieme capace di portare in Arnerica «Amaro è o bene» (Giuliana Soscia, Pino Iodice & Co) e regalargli lo spazio per fioriture vocali emozionanti in «Tevogio bene assaje» (chitarra solista Antonello Paliotti). Ensemble a plettri (Nunzio Reina primo mandolino) e della Pietà de' Turchini si uniscono per «Carmela», che strappa ovazioni, il pre-finale melodrammatico di «Pupatella) non è casuale, si aggancia alla citazione dal «Woyzeck» di Berg nell' ouverture: la sposa fedifraga è punita, la sceneggiata è ridotta a fantasma di se stessa, De Simone ricorda come la canzone napoletana dalle origini a Bruni a D'Angelo, sia «pervasa da cultura contadina, da moralismi convenzionali imposti dal potere e da un secolare cattolicesimo che sostiene la divisione in caste di padroni e sevi. Ne conseguono accettazione passiva dello sfruttamento lavorativo, del malessere sociale, coni suoi tabù indiscussi, e i mitici elementi del maschilismo, dell'amore, della donna, della gelosia, del tradimento femminile e dell'omicidio per legittima difesa dell'onore». 
Il «Mernento/Momento» vive così di flashback melodici, di deja vu armonici, di ritmi banditi sino all' apoteosi finale, quando l'Agusevi Dzambo Orkestar irrompe sul palco, come in una processione: balcanica certo, ma anche verace se si pensa alla Madonna dell' Arco o i Gigli di Nola, ma anche messicana, conq4el teschio brandito da una sorta di pazzariello macedone prima che l'intera scena si colori di luminarie palladiniane. Qui, come in un trionfo «brutal core», la brass band punteggia cavalli di battaglia bruniani dei più popolari, dove la parola non indica tanto e solo il successo, quanto il consumo da parte della classe popolare: tra «Palcoscenico» a «'O Vesuvio», «'O ritratto 'e Nanninella» e «Bandiera bianca» per De Simone siamo alla fine della canzone napoletana, alla trasformazione da popolo in massa; per D'Angelo siamo alla radice del suo mestiere di «cantante napoletano moderno». Roberto lo imprigiona e, insieme, lo libera, gli apre porte e orizzonti.
In platea, commossa, Bruna Chianese, figlia di Sergio Bruni, commenta nel vedere Nino aprire le braccia al pubblico: «Fa gli stessi gesti di papà».
Cerchiamo ora di conoscere Nino D’angelo fuori dal palcoscenico, come abitante di una città difficile attraverso un’intervista a cuore aperto.
Quando il colera arrivò a Napoli, a fine agosto 1973, Nino D'Angelo aveva compiuto 16 anni da due mesi: era un ragazzino vivace, cresciuto tra le strade di San Pietro a Patierno, periferia nord della città. Come tutti i ragazzini, aveva ben altro a cui pensare: partite a pallone, i primi amori, la passione per la musica che iniziava a diventare sempre più travolgente. Però, ripensando oggi a quel periodo così difficile per la sua Napoli, il cantante, attore e regista partenopeo ricorda in maniera nitida una cosa in particolare: «La paura delle mamme».
Lei è cresciuto in una zona popolare della città: la situazione quotidiana era davvero terribile?
«C’era certamente molta paura anche perché si parlava ovunque del colera che aveva colpito Napoli. Pero, per quanto mi riguarda, ad attirare l’ attenzione mia e dei miei coetanei erano soprattutto le preoccupazioni dei nostri genitori, delle mamme. Si preoccupavano quando giocavamo in strada con l'acqua si preoccupavano che ci si preoccupavano che pulissimo con cura le mani ogni volta che andavamo in bagno. Insomma, c'era molta attenzione proprio nei confronti di noi ragazzi, che magari potevamo essere più esposti. Noi ragazzi però, non è che badavamo molto a quei loro avvertimenti».
I mass media dedicarono un' attenzione enorme al colera a Napoli. L'esposizione mediatica ha fatto male, sul lungo periodo, all'immagine della città? 
«Purtroppo, senza voler fare del vittimismo, ancora oggi si guarda a Napoli e ai Napoletani rifacendosi ad antipatici luoghi comuni nati proprio in quel periodo. Si evocano, con fare un po' razzista, il colera e la sporcizia della città, dimenticando troppo spesso che in questo modo, si manca di rispetto nel confronti delle vittime del colera Napoli. E il rispetto verso i morti non dovrebbe mal venir meno».
Si riferisce a episodi o a contesti particolari? 
«Molto spesso, anzi troppo spesso, negli stadi italiani soprattutto settentrionali le partite del Napoli sono accompagnate da cori ingiuriosi nei confronti dei tifosi napoletani che accompagnano la squadra in trasferta. Si evoca il colera, ma non si capisce che così si offende la civiltà di un'intera città e di un intero popolo. Naturalmente, con tutto ciò il calcio e lo sport non centrano proprio niente».
Fa tristezza che questo capiti dopo 40 annida quei fatti
«Ma, da allora, Napoli per fortuna è andata avanti. Quella situazione durò pochi mesi e fu pienamente superata. Poi, è normale che Napoli continui ad avere quei problemi tipici di tutte le grandi metropoli italiane e internazionali. In ogni caso, però, io sono fermamente convinto che di fronte a quei cori sui "napoletani colerosi" si debba reagire senza vittimismo ma con superiorità, forti dell'orgoglio verso la propria identità e dell' amore verso la propria terra».
Ed ora facciamo un passo indietro, quando Nini D’Angelo decise di portare in scena: “C’era una volta un Jeans e una maglietta” ed ammette con tristezza: «sono contro la camorra, ma qui, a modo suo è un ammortizzatore sociale».
Sembra la scena di un film neorealista. Mentre montano le scenografie, gli operai cantano i c1assici della canzone napoletana. E a un certo punto, ci offrono un caffè. Con Nino D'Angelo - 54 anni, battuta pronta occhi attenti, pancetta da buongustaio - siamo all'aperto, nel parcheggio del capannone di Pozzuoli dove, con il cast, sta mettendo a punto gli ultimi dettagli dello spettacolo. Accatastate intorno a noi. sagome in legno di angeli. Serviranno a Cera una volta ... un jeans ed una maglietta, la commedia musicale che D'Angelo porta in scena, dal 25 dicembre al Teatro Bellini di Napoli. È, come il titolo dichiara, il seguito ideale di ‘Nu jeans e ‘na maglietta, film (e disco) che nel 1983 fu l'unico in grado di tenere testa a Flashdance, Il successo che lo. consacrò, ma anche quello che lo cristallizzò nell'immagine del cantante neomelodico dal caschetto biondo da cui ha faticato tanto a distaccarsi. Qualcosa non quadra. e l'intervista parte da lì.
Chi glielo fa fare, quasi trent'anni dopo, di rispolverare caschetto, jeans e maglietta? 
«Vedo in giro tanta robba anni '80, e siccome all'epoca mi amavano in pochi ..» 
Non faccia la vittima: aveva milioni di fan, non solo a Napoli. 
«Però la critica e tanti colleghi mi schifavano. L'idea dello spettacolo è far incontrare sul palco le mie due anime quella sobria di oggi e quella ossigenata di allora. Per farlo in maniera leggera e ironica, ma anche poetica. mi sono ispirato al Signor G di Giorgio Gaber»
Come le venne, all'epoca, l'idea del caschetto biondo? 
«Mi dicevano che ero un bravo cantante ma non "tenevo" il fisico. troppo normale. Un giorno, sapendo che cercavo 'o look giusto, il parrucchiere mi propose tinta e taglio nuovi: "Nino, ‘o facimm?. “E facimmelo..”  gli risposi».
E quando si stufò di quei capelli? 
«I critici mi massacravano per come mi presentavo, non per quello che cantavo. E questo a un certo punto non mi andò più giù ‘Nu jeans e na maglietta mi ha salvato la vita, nel senso che mi ha dato proprio da mangiare, però mi ha anche tolto tanto. Per parecchia gente sono sempre quello là: il pregiudizio resiste». 
Eppure negli ultimi anni - grazie alla sua musica, e a film d'autore come Tano da morire e II cuore altrove - lei è stato completamente rivalutato. 
«È vero, ma i classisti sono sempre all'opera. E io, che pure ho le possibilità di un ricco borghese, sto sempre dalla parte della povera gente, vivo vicino ai poveri cristi, La mia famiglia sa bene che cos'è la disoccupazione: a Napoli si sente più che altrove». 
Però abita a Roma. 
«Dal 1985, per paura. Mi spararono due volte fuori casa perché volevano impormi di pagare una tangente, ma li denunciai, Come denunciai la rapina che mi fecero poi. La casa a Napoli, però, non l'ho mai venduta, e anzi negli ultimi anni ho passato più tempo lì che a Roma», 
Mai saputo chi fu a sparare? 
«Mai. Ma so che i napoletani erano dispiaciuti, e che mi hanno sempre amato. Sono uno di loro e canto da sempre di disgraziati e riabilitazione. lo penso che, se un ragazzo va in galera per uno scippo, dopo aver pagato il conto con la giustizia debba avere la possibilità di rifarsi una vita. So quello che dico: ho tanti amici che hanno fatto una brutta fine, e poteva capitare anche a me». 
C'è mai andato vicino? 
«Fortunatamente no. Da ragazzo però ho visto mia madre piangere mentre l'ufficiale giudiziario ci portava via i mobili. E io che cosa potevo fare, se non andare a chiedere i soldi a qualcuno che li aveva? Sono contro la camorra, ma Napoli è una città che con la camorra ci mangia. Non è giusto, eppure è cosi. Per combatterla davvero, dobbiamo sapere che a modo suo è un ammortizzatore sociale». 
Del nuovo sindaco De Magistris che cosa pensa? 
«Aspetto a pronunciarmi. Anche con Berlusconi il problema rifiuti sembrava risolto, invece ... Napoli è una città piena di sorprese: i guai non finiscono mai». Fino al 2010 ha diretto, con successo, il teatro Trianon Viviani di Forcella, uno dei quartieri più difficili della città, poi la nuova Giunta regionale di centrodestra l’ha licenziata in tronco: troppo vicino all'ex governatore Bassolino? 
«Può darsi. al Trianon sono arrivato grazie a lui, e non lo dimentico». 
In compenso pare che l'amministrazione abbia dimenticato: di pagarla. Mi risulta che le debbano ancora 200 mila euro. «Adesso me li dovrebbero dare, così almeno ha detto il giudice. Avevo uno stipendio di 60 mila euro l'anno, non mi sembra un'esagerazione». 
Si dice che ora potrebbe tornare. 
«C'è stato un approccio: si vedrà. Certo, se tornassi, continuerei a fare teatro per il popolo. Avevo 5 mila abbonati, gente mai stata a vedere uno spettacolo». 
È di destra o di sinistra? 
«Sono del Napoli, lavezziano». 
Ha mai pensato di tornare al genere neomelodico? 
«Mai. L'ho inventato io, e non mi piace fare sempre le stesse cose». 
I neomelodici di oggi, come Gigi D'Alessio, le piacciono? 
«No. È musica vecchia. Oggi non piace nemmeno a me quello che facevo io. Ma non mi faccia litigare con Gigi, per carità, che è bravo». 
D'Alessio da giovane incise due canzoni scritte in carcere dal boss Luigi Giuliano: a lei è mai successo? 
«I camorristi non sanno scrivere». 
Quindi le è capitato. 
«Quando ero direttore artistico del1a Festa di Piedigrotta, mi arrivava di tutto. Ma erano canzoni brutte e le ho scartate. Senza conseguenze». 
Ha ammesso di aver cantato, all'inizio della sua carriera, storie d'amore in cui veniva lasciato, perché vendevano di più. 
«È vero. Fino al '90 pensavo a fare soldi, a sistemare la famiglia. Poi è morta mamma, e mi è venuta la depressione: un giorno mi sono svegliato con la paura di uscire di casa. È stata durissima. Quando ne sono venuto fuori, con l'aiuto di un analista, ho cambiato tutto. Capelli compresi». 
In questo spettacolo va in scena con la parrucca bionda: che effetto le fa? 
«La prima volta che l'ho indossata e mi sono guardato allo specchio, mi sono messo a ridere. Dopo cinque minuti, però, mi è venuta la tenerezza. In quel caschetto biondo ci sono valori e sentimenti: mio padre, mia madre che era pazza di me, gli amici». 
Che cosa viene, dopo? 
«Un disco: si chiama Tra terra e stelle, esce a gennaio, e rappresenta la mia terza fase artistica dopo quella neomelodica e quella etnica. Inizio con una poesia, L'alba, e in Italia bella canto di politica». Mi dicono che usa parecchio Internet. «Sì, ma non per chat o puttanate simili. A casa mia la scuola era un optional, io sono un ignorante, grazie a Dio però adesso c'è Google: quando non so una cosa, cerco lì le risposte. E se non le trovo, chiedo ai miei figli. Quando si è laureato Toni (il primogenito: da Annamaria ha avuto anche Vincenzo), è stata una gioia incredibile: il primo laureato di tutta la razza D'Angelo». 
Che padre è stato? 
«Ho fatto i miei errori. Come tutti quelli della mia generazione, ho soprattutto dato: avrei dovuto parlare di più». 
Se le chiedo dei suoi ricordi più indimenticabili, che cosa le viene in mente? 
«La bicicletta che mamma mi regalò, da piccolo. E il David di Donatello come miglior musicista per Tano da morire. Per me è stato più di un Oscar. lo sono nato non per vincere, ma per lottare».

Nino D'Angelo, Alberto Amato e Mario Trevi ritratti nel 1992

Roberto De Simone con Nino D'Angelo


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