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giovedì 5 aprile 2012

Un inedito di Giuseppe Bonito


20/2/2011

Giuseppe Bonito (1707 – 1789) si forma alla scuola del Solimena ed il suo insegnamento si palpa tangibilmente nelle opere conservate nella chiesa di San Domenico a Barletta del 1737 ed in quelle eseguite nel 1742 per la sacrestia del Monte di Pietà a Napoli. 
Di poco successive sono alcune tele di genere, tra le quali ricordiamo il Maestro di scuola, già nella collezione Serra Cassano, la Maestra di cucito, lo Studio del pittore nel museo di Capodimonte e lo splendido Concerto conservato a Norfolk nel Chrysler museum, molto richieste dalla committenza e fondamentali per la formazione di altri artisti, tra cui lo stesso Gaspare Traversi. 
In particolare la sua clientela, come ci riferisce il De Dominici era costituita da ricchi borghesi dal gusto attento alle nuove tendenze ed al tema del lavoro, i quali a volte domandavano al Bonito di fissare alcune scenette singolari, come nel caso della Cagna malata, già nella collezione Achille Lauro, che rammenta un episodio inconsueto, spinto fino al limite della teatralità corsiva e popolaresca.
Egli occupò numerose cariche accademiche da pittore di camera del Re ad accademico di San Luca e direttore dell’Accademia del disegno.
La sua produzione più celebre è legata alla ritrattistica, nella quale rappresenta con un’acuta osservazione dal vero un’infinita gradazione di tipologie fisiognomiche, che comprendano l’intera scala di espressioni umane. 
I suoi quadri raffigurano insigni personaggi della corte e della nobiltà napoletana, sottoposti ad un’introspezione psicologica accurata, prima che i volti trapassino dalla caducità della vita all’immortalità della tela. 
Ci piace ricordare l’Ambasceria turca presso la Corte di Napoli del Prado, della quale esiste una copia autografa di buona qualità nel Palazzo Reale di Napoli: una galleria di volti scandagliati e messi a nudo senza che possano celare all’artista i lati più profondi e reconditi del loro carattere.
Anche nelle tele a carattere devozionale egli dedica attenzione alla definizione dei volti, anche se lo stile è improntato ad uno equilibrio formale e compositivo, derivato non solo dall’insegnamento del Solimena, ma anche dagli esempi dell’ambiente romano, specialmente del Batoni, con una tavolozza preziosa, che richiama il pennello dell’ultimo Giordano. 
Spesso i protagonisti dei quadri sacri volgono lo sguardo al cielo, in attesa di un’approvazione della loro condotta.
Nel dipinto inedito di collezione Di Loreto a Roma, una Veronica (foto di copertina) di palmare autografia, possiamo sottolineare stringenti raffronti con alcune opere certe del Bonito, come La Vergine e san Carlo Borromeo della chiesa della Graziella a Napoli e la celebre Cleopatra del museo di Capodimonte, due composizioni per le quali il pittore ha adoperato la stessa modella, casta e con lo sguardo sorridente nella tela in esame, disinvolta ed irriverente la regina egiziana, alla ricerca di una morte teatrale.
Per la data di esecuzione della Veronica gli anni 1740 – 45 sembrano quelli più plausibili per le affinità non solo con i dipinti citati, ma anche con la Carità conservata nella sacrestia del Monte di Pietà di Napoli e per la stesura del colore con pennellate dense e larghe. 
Nella fase più tarda della sua attività molti quadri del Bonito con soggetti storici ed allegorici, improntati a soluzioni accademiche di classicismo romano, verranno tradotti in arazzo, come la serie delle Virtù coniugali e le Storie di Don Chisciotte, che godranno di una certa popolarità anche all’estero, adoperate per illustrare le gesta del singolare personaggio nelle edizioni in lingua inglese ed olandese del celebre romanzo spagnolo.

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