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giovedì 5 aprile 2012

Corpi sull’uscio identità impossibili


29/4/2011

Tra i libri più interessanti usciti di recente vi è senza dubbio Corpi sull’uscio identità impossibili (Filema editore) scritto da Paolo Valerio ed Eugenio Zito, il primo titolare della cattedra di psicologia clinica presso la facoltà di medicina, il secondo psicologo e psicoterapeuta.
Il volume sviscera il mondo dei femminielli a Napoli attraverso un riepilogo delle indagini precedenti, ma soprattutto servendosi di un corpus di testimonianze dirette raccolte dagli autori e getta nuova luce sul variegato universo omosessuale, ancora mal classificato sia scientificamente che culturalmente, il pianeta costituito dai femminielli napoletani, che occupa da sempre un’isola privilegiata.
A Napoli il femminiello può vivere quasi sempre, soprattutto nei quartieri popolari, in una atmosfera accogliente, segnata dal consenso e dal buonumore. 
Nato in uno squallido basso, privo di aria e di luce, in una famiglia in cui la promiscuità è la regola, e dove i figli, tanti, dormono tutti assieme in un unico letto, il femminiello trova il pabulum ideale per sviluppare le sue particolari tendenze; è sempre l’ultimo dei figli maschi, cocco di mamma, al cui modello di dolcezza femminile tende spontaneamente, decidendo, ad un certo momento, senza essere incalzato da cause organiche o costituzionali, di appartenere: di essere donna!
Nei quartieri popolari è raro che questa decisione venga giudicata una disgrazia, la famiglia non pensa nemmeno lontanamente di allontanarlo, perché sa bene che anche la società del vicolo lo accetterà senza problemi, anzi poco alla volta lo utilizzerà bonariamente come un factotum buono per mille piccoli servizi, dall’aiuto nel fare la spesa al rammendo degli abiti, mentre nessuna mamma avrà timore di affidargli i suoi bambini, anche piccoli, se dovrà allontanarsi per qualche ora dal basso per un’improvvisa incombenza.
Il femminiello gode quindi di una bonaria tolleranza in tutti i quartieri poveri della città, dove collabora attivamente all’arcaica economia del vicolo e dove, per la cultura popolare, non è mai un deviato, ma al massimo uno stravagante, che ama travestirsi ed imbellettarsi come una donna, assumere movenze e tonalità vocali caricaturali, amplificate da una gestualità quanto mai espressiva.
Il popolino lo accetta volentieri e lo utilizza frequentemente come valvola di sfogo di malumori e aspettative insoddisfatte, scaricandogli addosso, senza malizia, una valanga di improperi in un cordiale quanto irripetibile turpiloquio, condito di frasi onomatopeiche ad effetto, comunque senza mai isterismi o inutili intenzioni moralistiche.
Il libro indaga sulle origine remote di questi personaggi dal sesso mascherato, i quali erano già presenti presso di noi da migliaia di anni e dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, se vogliamo comprendere fenomeni che ancor oggi resistono nella nostra cultura, pur con le dovute trasformazioni.
Un esempio paradigmatico di quanto profonde siano le radici di antiche pratiche appartenenti al mondo dei travestiti, esistenti ancora oggi, anche se difficilmente visibili, avendo nel tempo acquisito il carattere della massima riservatezza, è costituito dalla cosiddetta figliata d’’e femminielli. 
Essa non è altro che un rituale derivante dall’antico rito della fecondità, praticato per secoli nella nostra città. 
La figliata si svolge segretamente alle pendici del Vesuvio, a Torre del Greco, ed è stata descritta accuratamente con accenti vivaci da Malaparte nel suo libro” La pelle” e dalla regista Cavani nell’omonimo film.
Sdraiato sul lettino ed assistito dalle parenti, il femminiello vive le ore del travaglio ed il momento del parto. 
Alcuni soggetti si immedesimano a tal punto nel rituale, da presentare, per effetto di una profonda quanto inconscia memoria ancestrale, tutti i segni della sofferenza con un’evidenza sconcertante, dall’accelerazione del battito cardiaco alla sudorazione, dal pallore anemico alle contrazioni dei muscoli addominali. 
Durante le doglie le parenti accompagnano il travaglio con ritmiche litanie, la cui origine si perde nella notte dei tempi, dal trivolo vattuto, letteralmente dolore picchiato, al classico taluorno, un triste accompagnamento vocale delle veglie mortuarie, caratterizzato da una lamentazione ritmica, scandita da colpi portati alle guance dalle due mani contemporaneamente, mentre la testa oscilla ampiamente avanti e indietro. 
Nell’acme della figliata, il femminiello simbolicamente espelle dalle cosce un bambolotto di pezza (di legno a forma di fallo, secondo Malaparte, che asserisce di aver assistito ad una figliata) accolto con grande gioia dalle comari, che accolgono trionfante il neofita nella loro ambigua comunità, offrendo in abbondanza agli astanti vermouth e babà.
A questi riti antichi e dimenticati si ricollega la credenza che il femminiello porti fortuna, sia portatore di una carica di magico, stando al limite del diverso, in condizione simbolica di ermafroditismo. 
Questo è il motivo per cui egli è delegato a distribuire parte della sua fortuna agli altri nelle riffe, dove si mettono in palio dei regali in natura, legati all’estrazione dei numeri del lotto. In genere di lunedì, giorno dedicato tradizionalmente al culto dei morti, avvengono, in vari punti della città, queste originali tombolate, accompagnate ad ogni numero estratto dalla spiegazione dei significati reconditi espressi nella “Smorfia”. 
La più famosa estrazione avviene ancora oggi periodicamente nella chiesa di Santa Maria alla Sanità, conosciuta dal popolino come Monacone, all’uscita delle sottostanti catacombe di San Gaudioso. 
Il rituale è stato magistralmente descritto da Roberto De Simone nella “ Gatta cenerentola”.
Gli autori dopo aver esaminato il passato, gettano uno sguardo ai nostri giorni, giungendo ad amare conclusioni.
La diffusione capillare della droga, anche se giunta in ritardo nella nostra città, perché ad essa si opponevano famosi camorristi, come lo stesso Cutolo, ha travolto equilibri secolari ed anche la comunità dei femminielli ne ha risentito vistosamente. 
La peste del XXI secolo, l’AIDS, ha cominciato a dilagare, riducendo a larve e fantasmi vaganti tanti omosessuali, costretti a diventare miseramente posteggiatori abusivi o mendicanti. 
I vicoli dei quartieri spagnoli, dopo il sisma del 1980, sono stati progressivamente occupati da extracomunitari, dalla cultura lontanissima dalla nostra, per cui è scomparso quell’ambiente familiare del vicolo, con la sua economia ed i suoi rapporti interpersonali molto stretti, quasi maniacali. 
La vita quotidiana nelle stradine sopra via Toledo era scandita da un senso di socializzazione e di appartenenza fortissimo, ancor più stretto per chi viveva nella stessa strada. 
Il senso della vita comunitaria tra il popolino si è affievolito lentamente dal dopoguerra in poi, per deteriorarsi maggiormente con l’arrivo di cingalesi e capoverdiani. 
Un dato eminentemente urbano, non derivato dalla civiltà contadina, che ha caratterizzato per secoli i nostri vicoli e che oggi è al capolinea. 
Scomparso il proprio territorio protetto i femminielli si trovano oggi alla deriva senza bussola e senza consenso sociale. 
Devono combattere con i viados brasiliani, importati massicciamente dalla malavita, portatori di una sottocultura diversa, legata unicamente al moloch dei nostri giorni infelici: il denaro.
Cambieranno, scompariranno, come sono scomparse le nostre puttane, sostituite egregiamente da albanesi e nigeriane? 
Sembra sia in atto una vera e propria mutazione cromosomica. 
In ogni caso i femminielli di domani saranno diversi da quella specie, che ha allignato per 25 secoli all’ombra del Vesuvio, costituendo una caratteristica, nel bene e nel male, della nostra amata città.

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