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sabato 31 marzo 2012

Storia del cane tra arte, letteratura e fedeltà

16/3/2010


Da 15.000 anni il miglior amico dell’uomo

Tra l’uomo ed il cane da 15.000 anni  esiste un’amicizia indissolubile, un patto di alleanza non scritto, un dare ed avere disinteressato, un rapporto tra specie diverse che non ha eguali nel mondo animale.
Il cane alcune volte è utile all’uomo: per la guardia, la caccia, l’accompagnamento, la compagnia ecc. e per queste specifiche funzioni è stato da tempo selezionato, allo scopo di esaltare alcune sue doti naturali, né si può affermare che l’uomo non sia necessario per il cane, nel dargli cibo, riparo ed affetto; ma sempre alla base di questo ineguagliabile sodalizio vi è la disponibilità, la comprensione, la fiducia, il disinteresse che pongono in un piano secondario il beneficio reciproco.
Possiamo collocare a circa 15.000 anni fa il momento in cui alcuni lupi più mansueti hanno lasciato il branco e modificando le loro abitudini aggressive hanno cominciato a vivere assieme agli uomini.
La conferma di questo stretto rapporto di affetto possiamo constatarlo nel rinvenimento di scheletri di cani accanto a quello dei padroni, molto prima che nelle sontuose dimore funerarie egiziane o nei tumuli etruschi, nelle più antiche grotte preistoriche o nei kurgan dove venivano conservati i corpi dei popoli nomadi delle steppe.
Gli etologi hanno identificato le razze più antiche dalle quali derivano per selezione ed adattamento quelle odierne. Esse furono in Cina lo shar-pei, in Africa il basenti, nelle regioni artiche il malamute, in Australia il dingo, mentre il levriero persiano è considerato l’antenato di tutti i cani da caccia.
Attraverso il lavoro di ignoti artisti sono giunte a noi immagini di razze oramai estinte, che erano le predilette di Egiziani e Greci o di popoli orientali, mentre in ogni epoca sono numerosissime le testimonianze di pittori e scultori che ci permetteranno di compiere un lungo viaggio ad esplorare il legame tra l’uomo ed il cane, compagno fidato, non solo degli umili, ma anche di re ed imperatori, di nobili e mercanti, che trascorrevano ore serene di svago, al riparo dei pressanti impegni quotidiani.
Faranno eco alle testimonianze artistiche i brani della letteratura, anche essi densi di esaltazione per l’amico a quattro zampe, senza dimenticare alcuni lati oscuri legati alla remota origine dal lupo, narrati nelle leggende dei licantropi o nel temuto Cerbero(fig. 1), il mostruoso essere con tre teste, che la mitologia greca pone a custode degli Inferi e che Dante ha reso celebre nei versi della Divina Commedia.

Poesia e prosa sono in grado di descrivere la relazione tra cane ed uomo diluita nel tempo e nello spazio, come nel famoso caso di Argo ed Ulisse(fig. 2), mentre le arti figurative debbono necessariamente fermare un’immagine, anche se significativa. Avremo perciò un susseguirsi di carezze, ma anche di mute presenze, ai piedi del padrone o alla base di monumenti funerari, a simboleggiare una fedeltà che sa sfidare il tempo, preservandosi dopo la morte.

Questa interessante carrellata tra i documenti visivi lasciatici dalla più remota antichità ai nostri giorni, ci permette, oltre che osservare specie oramai estinte, di valutare soprattutto la dinamica del cane nella società: dalla pastorizia fino alle dimore degli aristocratici, dalle cacce primitive alle battute dei regnanti, fino ai successi planetari che mezzi di informazione di massa quali, cinema, fumetti e televisione hanno consacrato personaggi amati da grandi e piccini come Pluto(fig. 3), Lassie, Rin tin tin ed i vivaci cuccioli di dalmata della Carica dei 101, mentre anche la pubblicità preferiva servirsi di un cane a sei zampe(fig. 4)


Nonostante una diffusione ubiquitaria in alcune culture la figura del cane non è tenuta in grande considerazione, anzi da ebrei e mussulmani è ritenuto un animale impuro e l’appellativo cane costituisce un’offesa tra le più gravi.
In Cina ancora oggi la sua carne viene mangiata non solo per estrema necessità, ma esistono addirittura degli allevamenti per soddisfare dei gusti culinari per noi aberranti.
Nell’arte occidentale invece la rappresentazione del cane raggiunge vette di poesia nel pennello di sommi artisti, che ne scandiscono le sue tappe fondamentali: prima utilizzato per la caccia e la custodia della casa, quindi nella civiltà urbana, compagno di vita e conforto nella solitudine, anche di personaggi illustri abituati a comandare ed a vivere in mezzo alla folla.
Sulle case romane dei ricchi troneggiava una scritta”cave canem”(fig. 5) per intimorire i malintenzionati,  ancora molto diffusa e spesso il guardiano era tenuto alla catena, per esaltarne l’aggressività. Una barriera odiosa, quasi mai necessaria, spesso associata a robusti collari, antenata di altri tristi simboli di schiavitù: guinzagli e museruole, che intristiscono l’animale e minano alla base il sincero rapporto con l’uomo. E catene irte di punte portavano i gagliardi mastini napoletani(fig.6), che i Romani utilizzavano, in gruppi di 4 o 5 per catturare gli stessi leoni.


Appena libero da questi opprimenti vincoli alla sua libertà, il cane è felice e guizzante, pronto a muoversi ed a scattare, un’immagine di mirabile dinamismo che il sommo Dante seppe immortalare in un solo verso:”veltri che uscisser di catena”(fig. 7).

Come in tutti i legami affettuosi anche quello tra l’uomo ed il cane ha i suoi momenti di cedimento, che si manifestano, da un lato nella vergognosa piaga degli abbandoni estivi e dall’altro dai rari casi, nei quali esemplari particolarmente aggressivi si avventano su innocenti malcapitati, eccezionalmente anche su familiari o bambini.
La selezione sulle razze ha dato luogo ad esemplari di varie dimensioni e con caratteristiche ben definite, permettendo ad ogni padrone di scegliere quella più adatta alle sue esigenze.
Il frutto di questo straordinario esperimento genetico, realizzato in 15 millenni di incroci è racchiuso in circa 70 centimetri. Essi rappresentano la distanza che separa l’altezza al garrese del Chihuahua(fig.8)(mediamente 20 centimetri), il più piccolo del pianeta, da quella dell’irish wolfhound(fig. 9), il più grande che può arrivare a 90 centimetri; in mezzo oltre 300 razze derivate da un’unica specie: il lupo grigio. Il genoma canino, la cui mappatura è stata completata nel 2005, possiede alcuni geni  correlati alle dimensioni, la cui recente scoperta può portare in breve a creare esemplari microscopici. 


Il poter scegliere la razza più adatta alle proprie esigenze ha ulteriormente rafforzato la possibilità di creare un rapporto affettivo: il cacciatore può affidarsi ad un cane dal fiuto prodigioso, alla pari del poliziotto che può contare su un insostituibile alleato per scovare la droga, la signora sofisticata può tranquillamente seguire la moda con un cagnolino formato mini, per la guardia personale o per l’abitazione dà fiducia la stazza di un rottweiler(fig. 10) o di un alano, mentre dominano ancora la scena milioni di bastardini con la loro prorompente carica di furbizia e con l’immutata capacità di affezionarsi perdutamente e di comprendere i sentimenti  dell’uomo


Il cane nell’antichità - I graffiti preistorici ci hanno tramandato l’immagine di un cane scattante e snello di corporatura, adatto a snidare ed ad inseguire la preda:il saluki o levriero persiano, che viveva in quella fertile fascia geografica bagnata dal Tigri, l’Eufrate ed il Nilo, abitata da antiche civiltà, presso le quali i cani, nonostante la pastorizia fosse molto diffusa, venivano adoperati unicamente per la caccia e solo ai nobili era permesso di possederli.
A volte erano sacrificati in riti propiziatori e quasi sempre accompagnavano le anime nell’aldilà, simbolicamente, attraverso la figura del dio Anubi(fig. 1), che presiedeva all’imbalsamazione dei cadaveri o materialmente, come dimostrano alcune mummie di cani(fig. 2) trovate al fianco dei potenti padroni. Il faraone Tutankhamon amava farsi ritrarre in compagnia dei suoi cani, come testimoniato in alcuni affreschi o nel famoso Ventaglio(fig. 3) ritrovato nella sua tomba.



Da questa antica razza derivano gli odierni greyhounds apprezzati per l’ineguagliabile velocità, accoppiata ad un portamento austero ed elegante, salvo in alcuni casi…(fig. 4).

Divenute oggi terre islamiche, nonostante il cane non sia benvoluto nel mondo arabo, i saluki sono considerati un dono di Allah al popolo e vengono impiegati dai beduini per snidare le prede.
Nella civiltà greca era molto diffusa agricoltura e pastorizia, per cui il cane trova un utilizzo più ampio, ma il suo regno privilegiato rimane la caccia, come ci tramandano i tanti vasi dipinti, nei quali si evidenzia un antico sodalizio ed in cui a volte compaiono cani ringhiosi con i denti aguzzi bene in vista. E non bisogna dimenticare il cane più famoso, Argo, compagno di Ulisse in interminabili battute sulle verdi colline di Itaca, prima di divenire guardiano della casa in trepidante attesa del ritorno del padrone, che Omero esalterà nei suoi versi quando descrive l’incontro dopo tanti anni, facendoci comprendere il transfert misterioso che lega aldilà dello spazio e del tempo due creature in grado di riconoscersi in una situazione drammatica e di gioire assieme.
E allora come sentì vicino Odisseo
Mosse la coda, abbassò le due orecchie
Ma non poté correre incontro al padrone
Ed il padrone, voltandosi si terse una lacrima…
Ed Argo, il fido cane, dopo che visto
Ebbe, dopo dieci e dieci anni, Odisseo
Gli occhi nel sonno della morte chiuse
Dopo il V secolo a.C. l’immagine dell’amico fedele cambia ed al posto del guizzante levriero compare un tipo più mansueto, che scodinzola felice ed accompagna il padrone dopo la morte, un’usanza che possiamo constatare nei gruppi statuari di tante tombe, fino all’età gotica e rinascimentale.
Presso i Romani, popolo notoriamente bellicoso, il cane si rende utile come guardiano del gregge e della casa, ma anche in operazioni di guerra, come ci racconta Shakespeare nel Giulio Cesare, quando, rifacendosi a fonti dell’epoca, parla di “ cani lanciati contro il nemico(i Galli), i quali a loro volta possedevano razze particolarmente feroci che, munite di collari a punta, si avventavano sui cavalli facendone scempio e provocando cruenti corpo a corpo.
Il cane nel medioevo – Per quasi un millennio vi fu una povertà diffusa con interruzione delle vie di comunicazione, invase dalla boscaglia, mentre branchi di cani affamati costituivano un pericolo al pari dei lupi, un vero incubo per gli animali domestici.
Nell’arte paleocristiana e bizantina la raffigurazione del cane diventa rara ad eccezione dell’iconografia di san Bernardo, un cistercense, il quale afferma più volte che non si può amare il prossimo se non si ama il proprio cane, di san Rocco, spesso rappresentato con un grazioso cagnolino, l’unico a procurargli il cibo quando tutti lo abbandonarono perché ammalatosi di peste o di San Cristoforo cinocefalo(fig. 5).

Una grande personalità come san Domenico(fig. 6), fondatore di uno degli ordini monastici più prestigiosi, verrà spesso raffigurato alla nascita con un cane pezzato, recante tra le fauci una candela accesa, simbolo del fuoco che presto avvamperà la stessa Chiesa.

Sarà poi Giotto in epoca tardo medioevale nella cappella degli Scrovegni a fornirci un’immagine di rara commozione con il cane di Gioacchino che cerca di consolare il padrone con uno sguardo di genuina intensità, un riconoscimento alla sua disponibilità a stare vicino all’uomo nei momenti più difficili.
Dagli affreschi si passerà agli eleganti codici miniati, nei quali compare una figura di cane divenuto marchio di supremazia per i vari signorotti adusi a dilettarsi in fantasmagoriche battute di caccia e vedremo anche un revival di catture di animali feroci come i leopardi in una preziosa pergamena(fig. 7) di scuola francese del XV secolo, conservata a Parigi nella Biblioteca nazionale.

Un altro codice del museo Condé di Chantilly ci permette di ammirare non solo varie razze diffuse all’epoca, quanto l’attenzione da parte dei padroni verso i loro compagni, che, anche se ben trattati ed alimentati, non sono esenti dalle malattie e necessitano perciò di essere curati(fig. 8). Nello stesso tempo vi è poi un altro libro miniato ispirato alle punizioni infernali nel quale cani mordaci sono alle prese con le parti intime di alcuni dannati(fig. 9), ai quali infliggono una orribile pena.


Il cane nell’Umanesimo e nel Rinascimento – A partire dal Quattrocento il cane comincia a trovare un posto fisso nelle case borghesi, una vera e propria moda che interessa in genere esemplari di piccola taglia, immortalati in dipinti, anche di artisti famosi, ai piedi della famiglia dei padroni o tra le braccia di candide fanciulle e severe signore. Naturalmente il levriero rimane il sovrano delle cacce, amate dai nobili, alcuni dei quali stranamente presentano dei nomi ispirati all’amico sincero: Castruccio Castracani(fig. 10), Cangrande della Scala, addirittura Mastino.

Alcune razze cominciano a specializzarsi per confrontarsi con i cinghiali, mentre i collari di protezione diventano sempre più preziosi e decorati, accoppiati a volte a vere armature di protezione. Anche l’udito ed il fiuto tendono a divenire più fini ed i bracchi sono i preferiti per la caccia ai volatili, alle lepri e alle volpi.
Alla corte di Francia vi erano splendide mute di levrieri e di mastini, dei quali conosciamo, grazie a pignoli inventari, nomi e genealogie ed ai quali poeti cortigiani dedicavano commossi epitaffi, quando cadevano nell’espletamento del loro lavoro. Una passione aristocratica che sarà viva a lungo nella cultura cavalleresca francese, come testimonia un aforisma di Robert D’Humieres di epoca successiva:”Quando i vecchi levrieri non cacciano, sognano di cacciare”.
La più spettacolare scena di caccia notturna ci viene offerta da Paolo Uccello(fig. 11), nella quale cervi e levrieri si confondono nel buio della vegetazione, mentre cavalieri e battitori si affannano freneticamente, anche se la perizia dell’artista riesce a bloccare l’azione in una atmosfera atemporale.

Anche l’iconografia religiosa partecipa all’esaltazione delle virtù canine, come nella celebre tela del Pisanello, già autore di una splendida museruola(fig. 12), raffigurante un prode cavaliere, condotto nel buio di una selva da un cervo, le cui corna si trasformano improvvisamente in un crocifisso(fig. 13), segnando una conversione del nobile, il quale da allora assume il nome di S. Eustachio e diviene il patrono dei cacciatori. Alla scena sono presenti cani di razze differenti, di solare bellezza e dalla corporatura slanciata, ignari del prodigio che avviene sotto i loro occhi.


Un’altra scena imperniata sulla ferocia canina è la trasposizione tragica di una novella del Boccaccio, Nastagio degli Onesti, operata dal Botticelli in un ciclo celeberrimo, con denti aguzzi conficcati nella tenera carne di una fanciulla ignuda(fig. 14), colpevole di aver rifiutato le profferte amorose di un temerario cavaliere.
Durante il Rinascimento si afferma sempre più il cane da tenere in grembo, una prerogativa delle ricche ed annoiate signore dell’aristocrazia e l’eco di questa diffusa abitudine trova riscontro, non solo nelle tele dei pittori, ma anche in letteratura, dove più o meno scalcinati poeti di corte attestano il successo della nuova moda con versi paludati ed adulatori.

Anche opere celebri come il Cortigiano, una sorta di galateo dell’epoca, fornisce opportuni consigli su come accarezzare il proprio cane in pubblico. Distrattamente, ma avendo cura di toccarlo nei punti per lui più piacevoli. Cominciano ad essere stampati trattati di veterinaria dedicati esclusivamente al cane e tra questi possiamo ricordare nel 1547 quello di Sforzino da Carcano, uno studioso veneziano o l’Alcone, frutto delle conoscenze sull’argomento di Girolamo Fracastoro, tradotto dal latino in molte altre lingue.
Anche all’estero sono pubblicati libri specializzati come il De Venatione libri III da parte del Manunzio, i Praecepta educationis regiae, con un capitolo dedicato alla caccia ed alle malattie dei cani e in controtendenza un trattato Der Jagdteffel, nel quale la caccia viene vista come un’attività diabolica aizzata da Satana in persona.
Alla corte dei Gonzaga a Mantova, Isabella d’Este dà incarico ai poeti di corte di commemorare in una serie di sonetti la morte della sua cagnolina Aura, precipitata da un davanzale nel tentativo disperato di sottrarsi alle insistenti profferte sessuali di un focoso randagio.
Tra i pittori Tiziano, sincero estimatore del cane, lo colloca in numerosi suoi dipinti a fare compagnia ad adulti e bambini, intriganti fanciulle nude e potenti imperatori.
Naturalmente per ogni occasione sceglie una tipologia diversa, a partire dal suo autoritratto, posto sotto un esemplare da caccia nell’Allegoria della prudenza, per proseguire con l’imperatore Carlo V che accarezza il garrese di un molosso irlandese incuriosito impudentemente del suo poderoso parapalle(fig. 15), la piccola Clarice Strozzi divide il dolce con il suo minuscolo compagno di giochi, la prosperosa Venere sdraiata(fig. 16), nel capolavoro conservato agli Uffizi, si lascia placidamente ammirare da un distratto epagneul o cerca disperatamente di trattenere presso di sé Adone in partenza per una fatale battuta al cinghiale nella quale troverà la morte ed infine l’impaurito bambino smarrito nel bosco troverà conforto alla sua paura nello sguardo rassicurante di un cane di grossa taglia, che osserva intenerito una cucciolata alle prese con un competitivo allattamento.



Numerosi sono i dipinti dedicati al tema e non possono essere segnalati tutti, ma vogliamo almeno ricordare il celebre Cacciatori nella neve di Pieter Brueghel il vecchio, in cui una serie di cani, stanchi ma soddisfatti, ritornano a casa con i padroni in un gelido paesaggio nordico, la tela di Jacopo da Bassano conservata al Louvre, dove i cani rappresentati hanno la dignità di un ritratto con il carattere evidenziato con cura, l’uno placido, l’altro iracondo ed infine la Diana della scuola di Fontainebleau, somma personificazione della caccia, con arco e faretra ed in compagnia del suo agile levriero che si avvia verso la foresta.




Il cane tra Seicento e Settecento - Una novità che compare in Inghilterra durante il regno di Elisabetta è la corsa dei cani con relative scommesse. Essa favorirà la selezione di una razza dalle caratteristiche adatte alla velocità, anche se meno elegante degli aristocratici levrieri, padroni delle battute di caccia, che lentamente tendono a scemare, soprattutto verso le prede di maggiori dimensioni.
Cominciano a divenire frequenti cani di taglia sempre più piccola, agghindati dalle vezzose proprietarie con fiocchi, nastrini colorati ed a volte anche preziosi gioielli. Nello stesso tempo compaiono, immortalati nelle tele di giganti della pittura, anche enormi esemplari, apparentemente mansueti, come la femmina di mastino(fig. 2) in compagnia del nano di corte don Antonio, detto l’inglese, attribuita al Velazquez o il bestione(fig. 2) che il pennello di Van Dick ritrae assieme ai figli di Carlo I.


Anche la letteratura si interessa dei cani ed un filosofo Justus Lipsius dedica ad essi un vero trattato, con accurate descrizioni di ogni razza, divenute oramai numerose come si evince in un celebre quadro(fig. 3) di scuola fiamminga, dove una cameriera porta a passeggio quelli del suo padrone, puntigliosamente indicati sulla tela o in uno studio di Jan Brueghel il vecchio(fig. 4), conservato a Vienna.



Rembrandt non avrà ritegno di rappresentare il fedele amico dell’uomo nell’espletamento di un suo improcrastinabile bisogno fisiologico(fig. 5) quasi a sottolinearne la spontaneità e la mancanza di ipocrisia.
Molti pittori infilano il proprio cane nei quadri che eseguono, tra questi Pacecco De Rosa, il quale fa comparire il muso del suo dalmata(fig. 6) in molte composizione, al punto che la critica più avvertita è in grado di valutarne l’autografia riconoscendone la presenza.


Anche il sommo Caravaggio porrà nell’unico suo affresco, nel casino Boncompagni Ludovisi, un grintoso Cerbero a guardia dei suoi genitali(fig. 7), esposti con nonchalance, pur se nelle vesti(si fa per dire) di una divinità. Ed il celebre cane è presente anche in uno dei capolavori assoluti della scultura, il Ratto di Proserpina(fig. 8) del Bernini, dove, con le sue tre teste dalle fauci spalancate, latra ad aumentare la violenza del rapimento scolpito nel marmo.


Ed infine tra i vertici della pittura profana del Seicento vi è la Caccia di Diana(fig. 9) eseguita dal Domenichino e conservata alla Galleria Borghese, nel quale, in un panorama bucolico reso scintillante dai corpi ignudi di focose fanciulle, si sottolinea il contrasto di carattere tra due levrieri, uno mansueto intento ad abbeverarsi, mentre il compagno, più feroce, a stento viene trattenuto nella sua irruenza da una robusta ninfa.

Il Settecento è secolo frivolo e mondano per eccellenza ed anche ai cani vengono riservate particolari attenzioni: cucce imbottite, vestiti vezzosi, oltre naturalmente a ripetute carezze e bocconcini prelibati.
Hogarth, tra i massimi esponenti della pittura inglese, è un amante dei pugs, destinati ad avere grande diffusione e Trump, il suo preferito viene ritratto al fianco del padrone(fig. 10) Poiché un critico ebbe l’ardire di dichiarare che il dipinto non gli piaceva, Hogarth in un’altra sua tela raffigurò Trump mentre ingialliva di pipì le pagine di un volume dell’impertinente stroncatore.

Uno specialista di fama Jean Baptiste Oudry, pittore alla corte di Luigi XV, ritrae i cani della nobiltà(fig. 11), umanizzando nelle sue rappresentazioni le fattezze di quegli splendidi esemplari che possedevano tutti un nome, a volte altisonante e si distinguevano per carattere ed abitudini.

Viene dedicata grande attenzione alla toilette ed alla passeggiata quotidiana, per la quale è delegato un “canettiere”, una sorta di dog sitter ante litteram, impegnato nella cura e nell’addestramento. Sorgono anche dei canili dotati di ogni confort e di ampi spazi, come si evince da questo progetto(fig.12) dovuto alla penna di un celebre architetto.

Nello stesso tempo sorgono sontuosi monumenti funerari con esplicative epigrafi(fig. 13) a rinvangare il desiderio di immortalità  esteso a tutti i viventi ed il legame indissolubile tra l’uomo ed il suo fedele amico. Una vera rivoluzione rispetto alla rappresentazione nelle tombe medioevali, dove il cane vegliava sul sonno eterno del padrone, mentre ora è un omaggio dell’uomo verso il compagno di tante ore liete trascorse assieme.

La letteratura scientifica dedica quasi un’ode alla razza canina attraverso le parole del celebre naturalista Georges Buffon, che nelle pagine della sua monumentale Histoire Naturelle gli attribuisce “ tutte le qualità interiori che possono attrarre lo sguardo dell’uomo”.
Anche il Parini ci ha lasciato sull’argomento una spiritosa satira dedicata ad una dispettosa cagnetta di una famiglia nobile ed altezzosa.
Tra le vette dell’arte vi è la movimentata composizione scultorea eseguita da Paolo Persico e Tommaso Solari nei giardini del Palazzo Reale di Caserta dedicata alla leggenda di Atteone trasformato in cervo e divorato dai suoi cani(fig. 14), reo di aver ammirato le splendide fattezze di Diana mentre faceva il bagno nudo con le sue ninfe, anche loro rigorosamente nature.

Reynolds, celebre ritrattista, in grado con un’acuta introspezione psicologica di indagare la personalità dei soggetti raffigurati, in questo allegro dipinto seppe cogliere il rapporto affettuoso tra una bambina ed il suo cucciolone(fig. 15).

Alle scattanti masse muscolari degli esemplari da caccia, gli artisti del Settecento prediligono i batuffoli pelosi ed intriganti, compagni di delizie di damine leziose e scollacciate nel segreto delle loro alcove. Boucher e Fragonard si affacciano incuriositi tra i boudoir  e fissano sulla tela i giochi  maliziosi tra cagnetti infiocchettati e dalla lingua agile e penetrante e fanciulle discinte e giocherellone.
L’icona incontrastata di questa complicità è offerta dalla Gimblette(fig. 16)di Honorè Fragonard dove un cagnolino si intrattiene piacevolmente con una padroncina audace con le gambe all’aria ed il seno scoperto in giochi voluttuosi ed inconfessabili.



A partire dall’Ottocento il cane diventa sempre più compagno dell’uomo nella sua casa e di questa trasformazione è attento testimone il Goya, al quale non sfuggono i termini di questo cambiamento di status del nobile animale. Egli ritrae i coraggiosi esemplari che osano sfidare il toro nell’arena ed i docili cagnetti vestiti e profumati a passeggio con dame svampite.
Anche scrittori e poeti gareggiano nel cantare le lodi del cane da Dickens a Kipling, da Baudelaire ad Hugo, che raggiungeranno l’apice nelle emozionanti pagine di Jack London, dove vengono narrate epiche battaglie tra cani e lupi.
In Inghilterra le prime mostre canine sono l’occasione per padroni vanitosi di esaltare  le caratteristiche dei loro protetti, che vengono preparati con cura per l’esposizione. Ci sono esemplari per tutti i gusti e di tutte le dimensioni(fig. 1 – 2 – 3 - 4).




Anche Renoir, celebre per i suoi nudi sensuali, volle ritrarre il suo cane(fig. 5) al quale era affezionatissimo, mentre Courbet saprà unire le due iconografie nel suo malizioso dipinto(fig. 6) conservato a Parigi al museo d’Orsay, dove il contrasto tra la voluttà della fanciulla nature e la candida innocenza del barboncino bianco colpisce per la disinibita schiettezza del rapporto, che ripropone in chiave moderna un tema principe della storia dell’arte.


Specialisti come Reisfurt sapranno cogliere attraverso l’espressività degli occhi (fig. 7)il carattere del cane: allegro, pensieroso, malinconico.
Sul finir del secolo Nipper, un vivace cagnolino, ottenne un successo travolgente, che dura da oltre un secolo, con la sua immagine accanto ad un grammofono(fig. 8) dal quale fuoriesce la Voce del padrone, un marchio tra i più famosi.


Il Novecento sarà un secolo percorso da passioni e soprattutto da guerre e sconvolgimenti sociali ed il cane sarà un comprimario di rango in tutti questi avvenimenti: mascotte di reggimento, ma anche addestrato a fungere da kamikaze contro le truppe nemiche.  I potenti della Terra saranno sempre in compagnia dei loro fedeli compagni dal bull-dog di Churchill, immortalato in numerose caricature, a Blondie(fig. 9) il pastore tedesco amato da Hitler più di qualsiasi essere vivente, che condividerà con lui l’ultima notte da incubo nel bunker della Cancelleria di Berlino.

Il fumetto ed il cinema cominciano ad affiancarsi all’arte ed alla letteratura attraverso figure dal successo planetario come Pluto(fig. 10) o Snoopy, protagonista dei Peanuts,Lassie e Lilli, il gigantesco Beethoven e l’astuto Rin Tin Tin, una vera cascata di cuccioloni in grado di divertire i bambini e far rilassare gli adulti.

Le avanguardie artistiche non trascurano l’immagine del cane a partire da Balla, che imprime un prodigioso dinamismo ad un vivace bassotto dalla scoppiettante vitalità, amplificata dalla gonna svolazzante della padrona e dal roteare del guinzaglio(fig. 11), precorrendo una salutare contaminazione tra cinema e pittura.


Altri artisti come Dix esalteranno gli aspetti più ferini del cane, evidenziando in questo splendido pastore tedesco(fig. 12) i denti aguzzi, le orecchie attente e la lingua sporgente, in contrasto coll’aspetto mite del padrone, mentre la simpatica analogia tra gli eleganti cani da passeggio e queste truccatissime peripatetiche(fig. 13), passeggiatrici di professione, sarà messa in mostra dal van Dongen, un artista olandese trasferitosi a Parigi nel vitaiolo quartiere di Montmartre.


Sempre Dix, acuto dissacratore dei costumi dei contemporanei, ci ha lasciato una cruda immagine delle nefaste conseguenze della guerra: un tronco umano di un reduce cieco e privo degli arti(fig. 14), costretto ad elemosinare davanti ad una folla distratta ed a subire l’umiliazione da parte di un inconsapevole bassotto, che gli urina contro a simboleggiare il disprezzo generale. Un urlo disperato contro le follie dell’uomo, che trasforma questo relitto umano in uno splendido eroe contro tutte le guerre.

L’uomo moderno scopre la solitudine, un sentimento antico, divenuto paradossale nelle affollate metropoli del Novecento e si accorge di vivere in una dimensione sospesa, avulsa dalla realtà, come questo cane affettuoso(fig. 15), colto da Carrà in un momento di slancio e raffigurato sulla tela con un severo nitore geometrico, che richiama Giotto e Paolo Uccello e con il manto di un improbabile rosso intenso per contrastare il verde azzurro del gelido pavimento.



Il cane dei nostri giorni -  Con la nostra carrellata siamo oramai giunti ai nostri giorni con immagini di artisti, con i numerosi racconti che affollano gli scaffali delle librerie, spesso di anonimi padroni che si improvvisano scrittori per esaltare ed immortalare le gesta dei loro amati compagni scomparsi, con foto che dimostrano come i cani, anche delle razze ritenute più aggressive possano fraternizzare con i bambini ed infine, mi sia permesso, con un ricordo dei miei rottweiler: Lady, Athos e Porthos.

Un sottile erotismo che abbiamo visto nei secoli scorsi con Fragonard e Courbet insinuarsi prepotentemente nel rapporto affettivo tra cane e padrona, continua ad essere un tema prediletto degli artisti moderni come Picabia, che, irriverente e rivoluzionario, trasferisce spesso nelle sue opere le icone del suo tempo, operando una salutare contaminazione tra pittura, cinema e fotografia. Egli possedeva una cagnetta Ninie, ma in questo quadro ritrae un poderoso bulldog, che si bea delle carezze di una stupenda e sensuale fanciulla nuda, mentre un’altra, dallo sguardo perso nel vuoto, sembra attendere il suo turno di coccole reciproche(fig. 1).

Lucien Freud, nipote del grande Sigmund, ritrae la sua prima moglie in profonda simbiosi con il suo bull terrier(fig. 2), che sonnecchia placidamente. Egli appartiene ad una razza molto affettuosa e stabilisce un’intesa molto stretta con la padrona, la quale, sicura della sua mansuetudine, sembra offrirgli un seno smunto ed esangue, di un biancore evanescente. La donna come a volte coloro che cercano nel cane, amico fedele per antonomasia, conforto alla solitudine, è affetta da un’angoscia ed un dolore spirituale, ben distinto da quello fisico aduso a tormentare il corpo, un mal di vivere che assilla la sua anima e che troverà tra i moderni altri cantori in Francis Bacon ed Alberto Giacometti.

Abbiamo visto come le terapie veterinarie risalgano al medioevo, ma oggi, con l’aumentato benessere economico, sempre più spesso i nostri amici vengono seguiti e curati. E lo dimostra questa deliziosa scenetta dipinta da Rockwell, nella quale un bambino tiene in grembo il suo cagnolino, affetto da un incipiente mal di denti, mentre barboncini, alani e levrieri lo puntano incuriositi(fig. 3).

A volte delle vezzose cagnoline assurgono a modelle e si tramutano in personaggi famosi della cronaca e della storia tra grottesco e surreale, come questo weimaraner(fig. 4), divenuto una celebrità televisiva grazie agli scatti del suo press agent, Wegman, fotografo americano.

A guardia del Guggenheim museum di Bilbao è posto un variopinto cucciolo di terrier(fig. 5), Puppy, creato da Jeff Koons, un quotato specialista del kitsch, che alcuni ricorderanno come il marito di Ilona Staller, pornostar ed onorevole radicale, più nota come Cicciolina. La gigantesca struttura è composta da un’anima di acciaio sulla quale sono poste una miriadi di piante colorate, tra le quali spiccano begonie e petunie.

E mentre le statistiche ci informano che gli Italiani hanno speso l’anno scorso per cani e gatti 1500 milioni di euro per nutrirli e 56 milioni per gli indispensabili accessori: spazzole, giochi, collari, la scienza, dopo aver identificato la mappa cromosomica canina, ha stabilito, grazie ad approfondite indagini genetiche, che l’origine del nostro amico è in Medio oriente e non in Cina od in Europa, come si credeva in precedenza e l’antenato il lupo grigio selvatico(fig. 6), dal quale il passo verso questo splendido discendente è breve(fig. 6bis)


Laika(fig. 7) è un nome universalmente noto ed è legato ad una delle più entusiasmanti avventure dell’uomo: l’esplorazione dello spazio, compiuta dall’eroica cagnetta a bordo di uno dei primi Sputnik.

E rimanendo a Mosca, davanti ad una stazione della metropolitana osserviamo questo rudimentale monumento funerario(fig. 8) innalzato a Malchik, un innocuo bastardo che viveva vicino ai binari, amato dai frettolosi frequentatori dell’underground ed ucciso da una elegante quanto crudele modella, infastidita dal suo abbaiare. Una feroce coltellata che ha indignato migliaia di persone, che hanno voluto innalzare la piccola statua, la cui foto ha fatto il giro del mondo sulle pagine dei principali quotidiani dal Financial Times al Corriere della Sera.

Cani e bambini- I cani amano i bambini e se non si ingelosiscono sono i loro amici più sinceri, instancabili compagni di gioco. Abbiamo raccolto decine di foto, ad inconfutabile dimostrazione di questo asserto, vi mostriamo le più  birichine(fig. 9 – 10 – 11 – 12 – 13 – 14 – 15).







E voglio concludere questo viaggio riproponendo un mio scritto, intriso di malinconia, ma anche di amore smisurato, composto all’indomani della morte dell’ultimo dei miei cani, prima che Attila riempisse il vuoto nel mio cuore.
“Non avrei mai potuto immaginare che l’arrivo in casa mia di una cucciola di rottweiler, regalo di una ragazza a mio figlio, potesse cambiare negli anni così profondamente non solo la mia vita, ma soprattutto il modo di relazionarmi col mondo ed il mio metro di giudizio del prossimo. Era il 1994 ed avevo sempre avuto un sacro terrore dei cani da quando, giovanissimo, avevo trascorso un’intera notte sul tetto di un’auto per sfuggire alla furia di un randagio di grosse dimensioni e anche altri incontri ravvicinati non erano stati particolarmente felici, per cui non accolsi con entusiasmo l’ingresso in famiglia di un esemplare, per quanto di pochi mesi, di una razza notoriamente feroce. Lady (fig. 16)fu relegata nel sottoscala ed abbaiava disperata durante le poche visite che gli dedicavamo; decidemmo di trasferirla in giardino, ma i rigori dell’inverno contribuirono a farla ammalare e fu necessario il ricovero: cimurro fu la diagnosi e la prognosi purtroppo riservata.

 Partimmo per Roccaraso, ma ogni sera telefonavo alla clinica veterinaria per avere notizie, che peggioravano giorno dopo giorno, fino a quando mi dissero:”Non vi è più speranza, interrompiamo la terapia? ” “Assolutamente no, se esiste un dio dei cani la aiuterà”. Ed il miracolo… avvenne, durante la notte Lady ebbe un miglioramento decisivo ed il giorno successivo potemmo andare a riprenderla completamente guarita. La nostra famiglia da quel giorno divenne più numerosa(fig. 17) e con Lady stabilimmo un’intesa perfetta: mangiava a tavola con noi, un boccone a me ed uno a lei e dormiva la notte al mio fianco su di un variopinto tappetino persiano.

Capiva ogni mio pensiero e quando ero di cattivo umore si accoccolava vicino e rimaneva immobile. Divenuta signorina la feci accoppiare con un cane campione: Shark e nacquero nove cucciolotti, per il poco latte uno soltanto sopravvisse, Athos(fig. 18), che divenne il suo compagno inseparabile. Durante i periodi di calore, per impedire nuove gravidanze, Lady passava la giornata con me nello studio e solo la sera, attraverso un’entrata di servizio, tornava a casa, rimanendo sempre a distanza di sicurezza dall’ardore sessuale di Athos.
Nonostante i miei severi controlli censori ad un certo momento il suo addome cominciò a crescere e condussi la cagna dal veterinario, il quale perentorio dichiarò:” Si tratta di una gravidanza immaginaria nella pancia vi sono semplicemente dei gas”. Sapendo che i medici in genere poco capiscono sottoposi Lady ad un’ecografia nel mio studio e non mi meravigliai più di tanto nel vedere una serie di piccole colonne vertebrali intrecciate tra di loro. Facemmo appena in tempo a rincasare che cominciò il travaglio e questa volta i nuovi abitanti della terra furono sei, quattro dei quali arrivarono a tre mesi. Erano magnifici, scorazzavano nel giardino della villa di Ischia con i genitori, ma nonostante tutte le vaccinazioni, un brutto giorno contrassero la parvo virosi, una malattia che raramente perdona e cominciò un calvario durato quasi venti giorni. Era necessario sottoporre i cuccioli ad ipodermoclisi tre volte al dì, per cui ogni giorno la spola da casa al veterinario avveniva dodici volte. Il compito sulle mie spalle e su quelle del fido cameriere autista Summit. Dopo una settimana morì il primo cucciolo, seguito dopo tre giorni dal secondo e dopo cinque dal terzo; resisteva solo Porthos, anche se le speranze erano ridotte al lumicino. Passati diciotto giorni il cane cominciò a bere e l’indomani ad alimentarsi, era guarito. Dopo tanti sacrifici e quattro milioni di spese, mia moglie pensava ancora che io regalassi il cucciolo, ma oramai non potevo più separarmi da lui. Ci furono mesi di diverbi continui, durante i quali Porthos(fig. 19) visse con me nello studio, che subì una devastazione in piena regola, dalle tende ai tappeti.

Durante i fine settimana veniva a trovare i genitori, ma il lunedì di nuovo via, fino a quando Elvira, resasi conto di quando io ci tenessi al cane, acconsentì al suo definitivo ingresso in casa nostra. Furono anni di grande impegno: tre cani di quella razza fanno branco e sono difficili da gestire, soprattutto d’estate, quando per trasferirli ad Ischia era necessario fare tre trasporti in auto all’andata e tre al ritorno. Anche i nostri viaggi, fino allora frequenti, si interruppero, perché la mia costante presenza era necessaria. Ma le soddisfazioni, almeno per me furono altrettanto grandi. I tre cani erano temuti ed ammirati da tutti e con la sola presenza e qualche sporadica abbaiata facevano la guardia alla nostra villa, tenendo alla larga in egual misura malintenzionati e visitatori inopportuni. L’ansia, i momenti di solitudine, la tristezza venivano mitigati dalla presenza affettuosa di questi veri ed unici amici dell’uomo. Tutti possono tradirti, dalle donne ai figli, ma il cane sarà sempre al tuo fianco e la sua fedeltà aumenterà nel tempo a dismisura, senza che quasi tu te ne avveda, come un fiume che acquista potenza nei pressi di una cascata. Furono anni felici, ma il tempo degli animali scorre più velocemente di quello degli uomini e Lady, dopo aver imbiancato i peli del muso, si ammalò di piometra e fu necessario sottoporla ad un intervento chirurgico. Il decorso post operatorio fu difficile e necessitò un ricovero in una clinica veterinaria, dove giunse in condizioni disperate.
Rimase degente per vari giorni, durante i quali non la lasciai sola un minuto, né di giorno, né di notte. Tra i medici che si alternavano al suo capezzale ve ne fu anche uno arabo, che riconobbe in essa la cagna miracolata dieci anni prima ed ancora ricordava la mia frase sul dio dei cani. Per quanto islamico aveva meditato più volte negli anni sulle mie parole e mi invitò anche questa volta ad invocare questa sconosciuta quanto potente divinità. Dopo una settimana Lady guarì e potemmo tornare a casa. I veterinari riconobbero che la guarigione era avvenuta grazie alla mia costante presenza: i cani malati quando si vedono abbandonati dai padroni in un ambiente estraneo si lasciano quasi sempre morire. Purtroppo dopo un anno, oltre all’incalzare dell’età, la vecchia infezione si ripresentò, questa volta in maniera subdola: ricominciò l’andirivieni quotidiano con la clinica, le fleboclisi, ma non ci fu niente da fare, mentre eravamo tutti a tavola, Lady, con un rantolo soffocato, ci lasciò per sempre. Il mio dolore fu immenso, versai lacrime in misura superiore a quando avevo perso i miei genitori ed il vuoto che si è creato è rimasto incolmabile a distanza di anni. Mi rimanevano gli altri due cani, che da quel giorno non fecero che litigare, costringendomi a tenerli separati. Athos da tempo zoppicava e non era più il capobranco vigoroso di una volta, Porthos ne approfittava attaccandolo spesso alle spalle, per rifarsi degli anni in cui era stato succube. A distanza di un anno e mezzo, mentre eravamo ad Ischia, in pochi giorni si aggravò e si spense dopo una notte di guaiti disperati. Ora riposa lì, lontano da Lady, con un ibiscus che gli fa compagnia. Rimasto solo Porthos, che era stato sempre di una vivacità devastante, divenne triste e melanconico. Passava gran parte della giornata al mio fianco, mentre lavoravo al computer e per ore gli carezzavo amorevolmente la testa. Non aveva alcun disturbo, per cui quando una mattina di un giorno che vorrei non fosse mai scoccato lo trovai disteso immobile vicino all’ingresso di casa, credevo dormisse beato. Invece la morte lo aveva ghermito nel sonno all’improvviso e se lo era portato via.

L’unico conforto quello di riposare per sempre al fianco della mamma tra i fiori del mio giardino. Per tante notti sentendo l’abbaiare di un cane lontano mi svegliavo di soprassalto, sperando che fosse il mio. Non riesco ragionevolmente a credere che di questi miei amici sia rimasto solo il ricordo che porterò per sempre nel mio cuore, mentre i loro corpi hanno subito il triste destino di tutti i viventi: il disfacimento. Tra i credenti gli induisti si dimostrano meno orgogliosi dei cristiani, che nella loro smisurata superbia immaginano un mondo ultraterreno soltanto per gli uomini, mentre i loro fratelli orientali riconoscono, attraverso la reincarnazione, un percorso di purificazione per tutti i viventi senza esclusione alcuna, inclusi animali e piante. Si tratta senza dubbio di una visione più rassicurante dettata da un’antica saggezza e nello stesso tempo di sconvolgente attualità, come hanno confermato le moderne ricerche della chimica e della fisica. Mi piace immaginare che anche ai più fedeli amici dell’uomo sia concesso di vivere in eterno e non solo nella memoria dei loro padroni. Certamente Lady vivrà per sempre nel mio cuore, Athos, un vero amico, non sarà mai da me dimenticato, soprattutto ora che, scomparso Porthos, sono veramente solo”.



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