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sabato 31 marzo 2012

Requiem per la giustizia

24/2/2010

Magistrati intoccabili, processi interminabili, manette disinvolte

In genere quando si parla dello sfascio della giustizia, gli animi si riscaldano perché si accenna esclusivamente al penale, dimenticando le cause civili che durano decenni, costituendo anche uno dei motivi principali della nostra crisi economica, della nostra decadenza civile e del prevalere della disonestà come regola di vita.
Emettere assegni a vuoto è divenuto una bazzecola, occupare senza fine una casa, pur essendo morosi, una quisquiglia, non rispettare alcun obbligo contrattuale una pinzillacchera, evadere contributi previdenziali un’evanescente amenità.
Fammi causa è la minaccia dei prepotenti a chi vorrebbe riconosciuti i suoi diritti, senza speranza alcuna di poter usufruire della legge, appesantita da un volume di contenzioso sbalorditivo, che tende ad aumentare sempre più. Una vergogna senza eguali in Europa, che ci ha più volte condannati e definito un Paese nel quale la giustizia semplicemente non esiste.
Ma torniamo al penale, per la gravità del contendere, che incide sulla libertà e sulla tranquillità dei cittadini, stanchi di una magistratura onnipotente, autoreferenziale ed oramai sfuggita ad ogni controllo di garanzia, stravolti completamente gli equilibri tra i poteri da quando le procure hanno deciso, non più di applicare la legge, ma di governare il Paese.
Lo strapotere dell’accusa sulla difesa nel nostro procedimento fece dichiarare in tempi non sospetti a Carnelutti, celebre principe del foro: “ Se fossi accusato di aver rubato la luna, penserei prima a scappare e poi a difendermi!”.
La mutazione genetica della magistratura comincia negli anni Settanta, quando, davanti al cancro del terrorismo ed all’impotenza della politica, la giustizia rimase coraggiosamente in prima linea, resistendo eroicamente alle intimidazioni e creando un invincibile baluardo sul quale si infranse la tempesta degli anni di piombo.
Negli anni Ottanta la battaglia contro la mafia fu portata avanti quasi esclusivamente attraverso le condanne ed i maxi processi, mentre governo ed amministrazioni locali erano latitanti o colluse.
Venne poi, negli anni Novanta, la stagione di Mani pulite, con le procure impegnate nella “missione” di porre un argine alla corruzione dilagante, divenuta sistema di potere.
I procuratori delle grandi città si trasformarono in sacerdoti della legalità, acquistando un immenso prestigio, capitalizzato nella nascita di una casta intoccabile con la sua nomenklatura  alla difesa di privilegi incompatibili in uno Stato gestito da un precario equilibrio garantito dal dettato costituzionale.
Mentre si incrinava il rapporto tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, la classe politica rimase inerte, democristiani e socialisti perché travolti dagli scandali, i comunisti tranquillizzati da indagini svolte a senso unico.
La discesa in campo di Berlusconi, con il suo imponente carico di pendenze vere o presunte ha fatto precipitare la situazione, dando luogo ad un’ala giustizialista nella magistratura, contro la quale negli anni  sono stati approntati infiniti e goffi tentativi legislativi per neutralizzazione la sua azione.
Alcune questioni fondamentali a furia di rinvii si sono incancrenite e la situazione è divenuta oramai insostenibile.
Urge prendere una decisione su una divisione di ruoli e di carriera, che renda più eguali accusa e difesa davanti ad un giudice realmente terzo.
Bisogna accorgersi che la millantata obbligatorietà dell’azione penale è divenuta il comodo paravanto dietro il quale si esercita un ingiustificato potere discrezionale.
La lungaggine esasperata dei processi e la scure della prescrizione rende la certezza della pena l’equivalente delle grida manzoniane.
L’uso indiscriminato delle intercettazioni e la sfacciata violazione del segreto istruttorio creano un clima da Grande fratello, nel quale tutti sono spiati e diventano ricattabili, ad eccezione dei malavitosi, che hanno da tempo imparato a comunicare con Skype(non intercettabile) ben prima che lo consigliasse ai suoi protetti il giudice Toro.
Adeguare l’irrogazione delle pene, includendo misure alternative, più utili alla società ed al recupero di chi ha infranto la legge, allo scopo di decongestionare le patrie galere, dove da tempo le condizioni di vita sono divenute intollerabili per un paese civile.
Ed infine non illudersi che per combattere le mafie e la delinquenza sia sufficiente una riforma del codice penale.

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