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mercoledì 28 marzo 2012

Post colonialismo di rapina

27/7/2009

L’unica via per arginare la diaspora dell’immigrazione dall’Africa verso l’Europa è basata sul miglioramento delle condizioni di vita di un miliardo di disperati in fuga da terre desertificate, rese inabitabili dai cambiamenti climatici e dal dissennato utilizzo delle risorse naturali.
Urge un piano Marshall organizzato dai paesi ricchi del vecchio continente, che debbono dedicare una quota del loro reddito per inviare ingegneri, medici, volontari e personale specializzato, ma soprattutto tecnologia per rendere di nuovo fertili i campi e sono improcrastinabili gigantesche opere di idraulica per imbrigliare le acque e condurle dove ve ne è urgente necessità, al limite recuperandola dal mare e desalinizzandola.
Sono necessari cospicui capitali, ma basterebbe dedicare qualche punto percentuale del reddito per salvare milioni di uomini e per frenare un esodo, che avrebbe effetti devastanti per tutti.
Si tratta di una scelta obbligata in sintonia con quanto preconizzato dal pontefice nella sua ultima enciclica, ma questi investimenti debbono avere l’ottica di aiutare gli africani e non di continuare a sfruttarli come in una sorta di post colonialismo di rapina si apprestano a fare alcune multinazionali onnipotenti ed alcuni stati, in primis Cina ed India, che stanno acquistando pezzi di territorio, estensioni enormi, alcune più grandi delle più grandi regioni italiane, per organizzare culture intensive basate prevalentemente sull’utilizzo degli ogm, al solo scopo di produrre reddito e prodotti da esportare, lasciando agli indigeni, utilizzati con ritmi di lavoro da schiavi, la miseria di un tozzo di pane. Naturalmente senza investimenti che migliorino la produttività e scegliendo i pochi terreni ad alta redditività, possibilmente in paesi politicamente tranquilli come il Madagascar o il Senegal.
Naturalmente si tratta di una scelta dettata dal più bieco capitalismo, agli antipodi degli interventi urgenti dei quali abbiamo accennato  prima e che aggrava ulteriormente le condizioni di vita delle popolazioni locali.

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