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venerdì 23 marzo 2012

Picasso, l’Arlecchino dell’arte

18/11/2008


Il complesso del Vittoriano  a Roma rende un importante omaggio a Picasso, il più celebre artista del Novecento, con una rassegna che esplora, con 180 opere tra oli, disegni e sculture, la produzione degli anni 1917 – ’37. Si tratta della prima vera rassegna che si tiene in Italia dopo la grande retrospettiva curata dallo stesso artista nel 1953 presso la Galleria Nazionale di Arte moderna di Roma.
Le opere d’arte partorite in quasi 80 anni di attività dal grande genio catalano sono innumerevoli, nell’ordine di alcune decine di migliaia di esemplari e qualunque mostra, anche la più esaustiva, può offrirci della sua frenetica ed ecclettica vis espressiva solo uno spicchio di realtà, per cui non dobbiamo apprestarci a visitare questa splendida rassegna con l’idea di riuscire a comprendere nella sua totalità uno degli spiriti piu’ inquieti del XX secolo.
Se sfogliamo un libro su Picasso, ad esempio la monografia in due volumi pubblicata dalla Rizzoli negli anni Settanta, che rimane una pietra miliare per apprezzare la sua arte, vedremo le foto di oltre cento dipinti, di questi ben pochi sono visibili a Roma; ma nessuna delusione, il periodo esaminato dalla rassegna è scrupolosmente documentato e ci permette di confrontarci con il suo stile caleidoscopico:cubismo, postcubismo, surrealismo, neoclassicismo, astrattismo, da cui il titolo dell’esposizione: l’Arlecchino dell’arte, una metafora per sottolineare la molteplicità dei suoi stilemi espressivi.
La carrellata ha inizio con il 1917, anno del suo viaggio in Italia, a Roma, ma anche a Napoli, dove visitò la Cappella Pontano e la chiesa di San Giovanni a Carbonara, rimanendo attirato dalla cromia smagliante dei pavimenti quattrocenteschi e dalle variopinte bizzarre figure di uccelli, che il suo acuto spirito di osservazione divorò letteralmente per restituire quelle antiche immagini, opportunamente metabolizzate, negli squillanti colori delle sue tele.
Egli soggiorna alcuni mesi nella città eterna perchè impegnato, su incarico di Jean Cocteau, nella realizzazione della scenografia e nei costumi di uno spettacolo di balletti russi di Sergei Diaghilev.
Il grande sipario (Parade)(fig. 01), del quale è esposto un bozzetto, rappresenta una gioiosa festa di arlecchini e personaggi del circo, a rimembrare i saltinbanchi del periodo rosa e precubista, mentre una ballerina è in piedi su di una grande cavalla alata, che lecca amorevolmente il suo puledrino, il tutto dominato da una tonalità di rosso e di verde simile a quella che potè apprezzare nelle sue visite agli affreschi di Pompei.


Durante il suo lavoro il pittore conosce Olga Kokolova, un amore folgorante, che l’anno successivo sfocerà nel matrimonio.
L’Italienne(fig. 02), dipinta nel 1917 nell’atelier dello spagnolo di via Margutta, ritorna per la prima volta in patria grazie al prestito della fondazione Buhrle di Basilea e ci fa provare la gioia della visione di una dinamica scomposizione cubista di una fanciulla in costume tradizionale con il profilo del celbre cupolone.
L’Arlecchino è documentato in quattro diverse versioni: la prima (fig. 03), del 1917, nella quale è ritratto l’amico Leonide Massine, fa da logo alla mostra e prende ispirazione dai pittori manieristi italiani, quali Bronzino e Pontormo, dei quali apprezzò la resa degli abiti preziosi ed eleganti ed i ritratti di giovani pensosi e seducenti immersi nei loro pensieri ieratici e meditabondi. Seguono il cubista Arlecchino suonatore (fig. 04) del 1924, quello astrattista del 1927 e la coeva Testa, dai colori vividi e luccicanti.



Seguono poi alcune opere del periodo neoclassico, come la misteriosa Donna che legge(fig. 05) e la Natura morta con busto antico, entrambe provenienti dal Centro Georges Pompidou di Parigi. In seguito Picasso si lega, oltre al neoclassicismo anche al surrealismo, senza mai partecipare al movimento; quindi sposa le tematiche dell’astrattismo, come testimonia il suo capolavoro Due donne davanti ad  una finestra(fig. 06) proveniente dal Museum of Fine arts di Houston, eseguito nel 1927.



Negli anni Trenta l’artista riprende quel dialogo a distanza con Matisse e la tradizione neoclassica, fonte inspirativa delle cento incisioni visibili in mostra, note come Suite Vollard, dal nome dell’editore e provenienti dal Museè des Beaux Arts du Canada di Ottawa. La serie di acqueforti è dominata dalla figura mitologica del Minotauro(fig. 07), raffigurata nella sua ambiguità di semidio e di animale umano, forte della sua potenza  e dei muscoli, ma dallo sguardo profondamente malinconico.
Ritorna anche ad interessarsi al ritratto interpretato attraverso il filtro del suo occhio libero di vedere il modello ogni volta in maniera diversa. Un esempio di questo genere è la Donna che piange con fazzoletto (fig.08) della Fondazione Beyeler di Basilea. Altre tele interessanti sono lo Studio per un monumento (fig.09) del museo di Baltimora, la Donna sdraiata sulla spiaggia(fig.010) di una raccolta privata svizzera e la sensuale Donna su poltrona rossa(fig.011) della Menil collection di Houston.



Picasso vive intensamente anche la contemporaneità ed i rivolgimenti politici che agitano popoli e coscienze. Gli avvenimenti precipitano nella sua Spagna che si avvia rovinosamente verso Guernica..., mentre il mondo assiste impassibile l’ascesa al potere di Hitler in Germania e di Stalin in Russia.
Il capolavoro assoluto di Picasso era stato preceduto da tanti quadri impregnati di cruda violenza, come sanguinose corride immortalate nelle tele del Philadelfia Museum of Art e della University of Michigan(fig.012) e donne in lacrime, come nelle struggenti tele di Basilea e del Reina Sofia di Madrid.


Un sipario erotico tra tanto dramma e pathos è costituito dal Pittore e la modella (fig. 013), una iconografia cara a Picasso, che la ripeterà all’infinito in tutte le fasi della sua frenetica attività.
Ritornando a Guernica possiamo sottolineare un passaggio dal cubismo all’astrazione con un uso sapiente del binco e del nero; un’icona della modernità sconvolgente pronta ad essere diffusa attraverso manifesti e gadget ideologici, come la candida colomba della pace.



Visitando la rassegna approntata al Vittoriano si prova l’intensa emozione di confrontarsi con un gigante dell’arte, il quale, mentre gli altri artisti a lui contemporanei, da Braque a Matisse, da Boccioni a Duchamp, da Dalì a Mondrian e Mirò sceglievano un modo per esprimersi: cubismo, espressionismo, futurismo, dadaismo, astrattismo e rimanevano succubi del loro stile, Picasso instancabilmente assorbiva stimoli visivi e culturali di ogni genere, li fagocitava e li rielaborava, passando dal figurativismo dell’adolescenza all’esplosiva magia di colori tizianesca degli ultimi anni. 
Egli ha demolito ogni differenza tra passato, presente e futuro, anticipando new dada, pop art, arte povera e transavanguardia.
Un titano al quale doverosamente tutti noi rendiamo omaggio.

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