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sabato 17 marzo 2012

L’erede di Paganini

4/12/2006

Quando in un napoletano alla fantasia si accoppia la disciplina ci troviamo di fronte ad una delle meraviglie del creato, come nel caso di Salvatore Accardo in cui sono presenti tutte le caratteristiche positive partenopee, quali la solare irrazionalità, la fantasia creativa, l’amore per il bello, il culto della famiglia, lo spirito di adattamento, ed il vizio della pastasciutta; coniugati però ad una grande passione per la tecnica, per la perfezione stilistica e per lo studio accurato; cioè tutti quegli ingredienti che sono indispensabili al grande musicista. Questa miscela di qualità fa sì che personaggi come il nostro Salvatore siano quanto di meglio possa offrire il genere umano.

Il padre di Salvatore, Vincenzo, aveva un amore maniacale per la musica e si dilettava a suonare il violino.
Egli come lavoro incideva cammei e li faceva così belli che il re d’Italia in persona gli regalò in premio una crociera sul transatlantico «Italia» per la incisione dedicata ai principi di Piemonte. A bordo don Vincenzo rimase folgorato dall’incontro con Casella, Serato e Bonucci, i tre grandi violinisti del trio «Italia», per i quali egli stravedeva. Egli giurò a se stesso che, se avesse avuto un figlio, avrebbe dovuto essere un violinista ed il destino volle che Salvatore fosse concepito proprio durante quella piacevole crociera nel Mediterraneo.

Dopo nove mesi, il 27 settembre 1941, la nascita di Salvatore avviene per combinazione a Torino, perché la guerra da poco scoppiata, aveva portato don Vincenzo in Germania e mamma Ines, rimasta sola, aveva raggiunto, per stare in compagnia, una sua sorella che risiedeva al nord.
Da bambino Salvatore si divertiva a costruire strumenti musicali ed a trasformare con la sua fervida fantasia piccoli pezzi di legno in meravigliosi violini con ingenui elastici tesi al posto delle corde. Tutto ciò senza trascurare gli incontri con i coetanei, le partite al pallone e gli altri naturali divertimenti che l’età comporta.
Salvatore che per le vie misteriose della trasmissione ereditaria ha preso dal padre la passione per il violino ha soltanto sei anni quando riceve in regalo il suo «quartino» e subito, senza che nessuno glielo avesse insegnato riesce a ripetere le arie d’opera e le canzoni napoletane ascoltate dal genitore.

In breve il bambino fa progressi incredibili tanto che a otto anni corregge il padre che gli sta insegnando un pezzo difficile «Papà hai sbagliato un sol». Don Vincenzo capisce che il ragazzo ha bisogno di un vero insegnante e porta il ragazzo dal maestro Luigi D’Ambrosio a Napoli.
L’appuntamento con il maestro era fissato per le 10 del mattino nella sua casa di viale delle Acacie al Vomero alto. Fiduciosi, i coniugi Accardo con Salvatore ed una valigetta zeppa di spartiti musicali, bussano alla porta, ma la cameriera comunicò che il maestro era assente e che non sarebbe tornato prima dell’ora di pranzo. Al suo arrivo, si capì dallo sguardo che si era dimenticato dell’appuntamento e che era contrariato per la presenza in casa di scocciatori all’ora di pranzo. Distrattamente ingiunse al piccolo Salvatore di prendere il violino, di accordarlo e di suonare soltanto una scala. Dopo uno o due minuti di audizione il maestro esclamò «Va bene ti accetto, piccirì tu farai grandi cose».

Don Vincenzo più emozionato che contento riuscì a stento a balbettare: «Sapesse maestro quante cose sa suonare, anche se lei non ha ascoltato che poche note».
Per Accardo fu una grande fortuna l’incontro con un grande maestro come D’Ambrosio, caposcuola della tradizione napoletana del violino, che intuì nel ragazzo la naturale qualità ed il talento e che gli trasmise i segreti della tecnica. Egli fu inoltre la sua guida per tutta la sua vita ed anche quanto Salvatore divenne un violinista affermato, non si lasciò mai prendere dall'entusiasmo, perché riteneva che ciò potesse essere dannoso per la sua costruzione di uomo ed artista. Prima di morire gli confidò che doveva fare ogni sforzo per tenere a freno il suo temperamento eccessivamente focoso, perché in un violinista vero è più importante il rigore che il talento.

A quindici anni Accardo ottenne il primo diploma, quindi l’anno successivo vinse il concorso di Ginevra, ove ottenne la soddisfazione di essere invitato dalla regina Maria Josè di Savoia a Merlinge per un duetto che alla fine venne ricompensato da un prezioso portasigarette con dentro mille franchi. L’anno dopo vinse, unico italiano ad aver ottenuto tale riconoscimento, il premio Paganini, e dopo di allora non si separò più dall’etichetta di virtuoso, che lui ha sempre ritenuta sbagliata, perché considera Paganini un grande musicista ed il suonare la sua musica non è soltanto il pretesto per un’esibizione. Comincia la vita errante di Salvatore Accardo, che gira il mondo con il suo violino per suonare nei più prestigiosi teatri.

Egli prepara le sue esecuzioni a casa con lunghe ore di lavoro paziente, di ricerca accurata, di costanti rifiniture, tutto in previsione della grande esecuzione, che vede la luce soltanto in concerto, quando si viene a creare quella ideale scintilla emotiva, quella tensione elettrica, quel transfert con il pubblico che si percepisce nell’aria. Per Accardo fare della musica è una missione e non è semplicemente suonare uno strumento per quanto al massimo livello, significa togliere le note da pagine scritte, fredde ed inanimate per restituire loro la vita. Farle ascoltare alla gente come lui le sente, assaporarle, gustarle, sognarle. Occhi chiusi, dita che corrono, l’archetto sospeso a mezz’aria, Salvatore suonando si trasfigura e nel silenzio assoluto della sala il canto acuto del suo violino si alza, rimbalza sorride alle orecchie. Per il pubblico è impossibile staccarsi dall’armonia che sgorga naturale da quel legno abbracciato con tanto amore. La melodia diventa calamita, afferra l’uditorio e lo fonde intorno al violinista. Il respiro si interrompe nell’aria densa e immobile. Poi il suono tace e finalmente mille mani riprendono vigore e si scatenano in un applauso scrosciante, quasi ad allentare il peso magico dell’incontro con la musica.

Accardo per eseguire le sue fantastiche musiche possiede oltre ad una quindicina di violini di media importanza, di fattura italiana, anche alcuni preziosissimi strumenti antichi: un «Guarnieri del Gesù» del 1733 identico a quello su cui suonava Paganini, uno «Stradivari» del 1741, un «Domenico Montagna» del 1717 ed un «Muletto» del 1936. Il tutto per un valore commerciale complessivo di alcuni miliardi. Salvatore porta sempre con se questi preziosi violini in giro per il mondo, perché il suono che si riesce ad ottenere con essi è inarrivabile, anche se diverso, infatti egli sul Guarnieri esegue il concerto di Brahms, mentre con lo Stradivari riesce ottimamente Beethoven. Il portarsi dietro più di un violino è per Accardo una necessità, come può essere per un normale turista portarsi in valigia un ricambio di biancheria; ma dovendosi attraversare tante frontiere, alcune alquanto ostiche, numerosi sono gli aneddoti capitati ad Accardo e che egli racconta volentieri.

Alcuni anni fa all’aeroporto di Santiago del Cile il doganiere ispezionando minuziosamente tutto il bagaglio aprì anche l’astuccio dello Stradivari, sul quale pensava di poter applicare un dazio per l’acquisto di un oggetto nuovo e chiese minaccioso in quale negozio fosse stato acquistato. Grande fu la meraviglia quando dai documenti esibiti scoprì che il violino aveva più di duecento anni.
Ancora più gustoso l’episodio capitato ad Accardo la prima volta che si è recato negli Stati Uniti per suonare tanti anni fa. Premesso che, soprattutto a Chicago negli anni ’30, sono vissuti parecchi famosi gangster di nome Accardo, tra cui Tony, il luogotenente di Lucki Luciano, il poliziotto dopo aver letto il suo nome sul passaporto cominciò a fare mille domande tra cui cosa conteneva quell’astuccio? Che mestiere fai? Accardo rispose di essere un musicista, ma davanti all’incredulità del doganiere dovette abbracciare il violino e suonare un pezzo di Bach.

Il nome di Accardo è legato indissolubilmente al mito di Paganini, il fantastico musicista italiano del Settecento sul cui conto nei secoli si sono create tante leggende come quella che, suonando egli infinitamente meglio degli altri, lo potesse fare unicamente perché aveva venduto l’anima al diavolo o che Paganini suonava meravigliosamente solo a contatto di un vasto pubblico che lo esaltasse, ricavando da questa situazione  una tensione erotica spinta a volte fino all’orgasmo.
Accardo ha inciso per Deutsche Grammophon, Philips ed Emi tutte le più belle opere di Paganini, soprattutto i 24 Capricci ed inoltre le suonate a quattro di Rossini, il doppio concerto di Brahms e le sue Humoresques di Sibelius.

Di recente è stato dedicato al mito di Paganini un film che ha avuto un grande successo, nel quale il musicista genovese era impersonato dall’attore Klaus Kinski, mentre le musiche da lui suonate erano opera di Salvatore Accardo.
Durante i suoi numerosi viaggi all’estero Salvatore porta sempre con se nell’astuccio del suo violino alcuni oggetti a cui è particolarmente affezionato e che gli ricordano la sua famiglia, come una fotografia del padre morto nel 1970 ed un suo lavoro di incisione di cammei, inoltre la prima dedica che gli fece il maestro D’Ambrosio su una riproduzione di Paganini, qualche regalo della moglie ecc.

Da molti anni Accardo è andato via da Napoli e vive a Roma, pur dichiarandosi napoletano al 100%, tranne nel tifo che è per la Juventus. Egli ha scelto di vivere nella capitale sia perché è la città della moglie Rosy e sia perché la presenza di un aeroporto internazionale a due passi da casa gli permette di ridurre di molto i tempi durante le sue trasferte all’estero. Vive in un splendido attico ai Parioli, in un elegante palazzina con i pavimenti di legno e stanze molto grandi. Il salotto è arredato con molto gusto con 2 divanetti, alcune poltroncine di color turchese ed un tavolino dell’ottocento inglese, mentre negli angoli capeggiano due enormi altoparlanti neri di un fantastico impianto stereo da vero professionista.
Oltre ai coniugi la famiglia è composta anche da tre cagnolini Lyuba, Gessica e Gal, che, molto educati fanno sempre grandi feste agli ospiti.
Salvatore ama molto stare in casa, ove gradisce ricevere gli amici senza mai uscire, tanto da essere stato affettuosamente soprannominato culo di pietra.

Per lui la musica rappresenta il lavoro ed una grande passione, ma non è tutto nella vita e ciò ebbe modo di valutarlo alcuni anni fa, quando a seguito di un incidente dovette sospendere la sua attività per molti mesi. Un tamponamento in auto gli aveva leso un nervo che va dal collo al braccio destro. Il non poter suonare creò in Salvatore all’inizio uno stato di depressione, ma poi con l’aiuto della moglie e di pochi veri amici riuscì a superare la crisi a guarire ed a fortificarsi nel carattere, tanto da stare ora meglio di prima.

Napoli sta sempre nei pensieri di Salvatore, egli ci ritorna appena glielo consentono i suoi numerosi impegni intorno al mondo e proprio nella sua città egli ha contribuito a creare, divenendone l’anima, le «Settimane di musica di insieme», che rappresentano il suo fiore all’occhiello di musicista, con un dialogo diretto col pubblico negli incontri quotidiani che avvengono nell’incanto di Villa Pignatelli, ove si crea una simbiosi ideale tra chi costruisce lentamente il suo linguaggio d’arte e colui che di questo linguaggio è il destinatario naturale. Le prime 2 settimane musicali ebbero un pubblico di 40-50 spettatori, ma dal terzo anno il successo fu tale che non si sapeva dove mettere la gente. Una prerogativa di queste settimane musicali è quella di ammettere il pubblico anche alle prove a Villa Pignatelli, sede della manifestazione, che ha così tante sale che gli appassionati possono spostarsi da una all’altra prova.

L’idea di Accardo ha avuto molto successo ed i musicisti che partecipano una volta vogliono tornare sempre anche l’anno successivo, per il piacere di passare alcuni giorni a Napoli, che nel mese di novembre è molto affascinante e per poter trasmettere la propria esperienza musicale ad altri colleghi spesso più giovani.
Per il suo impegno nell’organizzazione delle settimane musicali Accardo ha avuto numerosi riconoscimenti tra cui il più prestigioso: il premio Leonetti, attribuito a coloro che maggiormente hanno contribuito alla valorizzazione dell’immagine di Napoli nel contesto internazionale e Salvatore è un artista che ha proiettato la sua fama su Napoli, facendo della propria città il centro dei suoi interessi.

Negli ultimi anni Accardo oltre che a scrivere un’importante opera in due volumi sull’“arte del violino” ha voluto provare più di una volta l’esperienza di direttore di orchestra, per rompere la monotonia del violino, nonostante il suo repertorio sia vastissimo e vada da Vivaldi a Penderecki. Accardo dirige non per esibizione, ma unicamente per operare un completamento della sua personalità artistica ed inoltre si dedica alla musica da camera ed a suonare la viola.
Negli ultimi anni Accardo è più volte intervenuto sulla questione dell’insegnamento della musica nella scuola ed ha avuto spesso parole pesanti sulla conduzione dei conservatori in Italia.

Egli ritiene che nonostante molti allievi si dedichino allo studio del violino, soltanto pochi riescono a sfondare, perché mancano dei maestri validi e quindi manca un insegnamento di qualità. Egli non crede che possano esistere dei maestri che non suonino bene, ma che sappiano insegnare, perché per insegnare bisogna saper suonare. Nel violino ad esempio se non si sanno fare certi colpi d’arco, il picchettato, o il saltellato,  gli armonici non si possono assolutamente insegnare.
Inoltre un’altra grossa sciagura per i conservatori è la politica che ha invaso anche il mondo della musica. I partiti si sono impossessati di teatri, orchestre, scuole di musica e di ballo; per cui se un direttore artistico appartiene ad un partito, il sovrintendente o il direttore d’orchestra deve appartenere, per equilibrio, ad un altro partito e naturalmente le scelte spesso non cadono sulle persone che valgono.

Nel 1982 ebbi un privilegio di eccezione: poter ascoltare Salvatore Accardo, che eseguiva nella Carnagie Hall, la famosa sala di concerti di New York, i 24 Capricci di Paganini sul «Guarnieri di Gesù» che fu proprietà dell’autore e che oggi è gelosamente custodito dal comune di Genova.
Il teatro, pur abituato ai grandi avvenimenti artistici, avendo visto maestri come Toscanini o Stokowski, era pervaso da una atmosfera particolarmente elettrizzante, che esplose alla fine del concerto in un’ovazione della durata di molti minuti.
L’avvenimento artistico fu seguito in un silenzio religioso ed i 24 Capricci furono eseguiti da Accardo tutti di un fiato, cosa che avviene eccezionalmente.

Uscendo dal teatro con mia moglie ebbi netta la sensazione di aver ascoltato qualcosa di eccezionale. La stessa profonda emozione che mi aveva procurato veder lavorare al teatro Totò o Eduardo, oppure ammirare allo stadio S. Paolo i dribbling irresistibili dell’impareggiabile Maradona.
Immagino che un’eguale emozione la possano aver provato nei secoli scorsi soltanto coloro che hanno avuto la fortuna di ascoltare un’esibizione di Mozart bambino o recitare gli attori della compagnia di Shakespear, o nei tempi moderni gli spettatori dei Beatles o più semplicemente il ginecologo di Claudia Schiffer.

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