Pagine

mercoledì 21 marzo 2012

La raccolta differenziata tra realtà e fantasia

4/2/2008


Per riciclaggio si intende l’insieme di tutte le strategie volte a recuperare i rifiuti per riutilizzarli, evitando o riducendone lo smaltimento. Non essendo possibile, se non in via teorica, recuperare ogni componente, il riciclaggio non esclude completamente l’utilizzo delle discariche o dei termovalorizzatori. 
In un sacchetto di spazzatura reperiamo mediamente: 29% di materiale organico decomponibile, 28% di carta, 16% di materiale plastico, 11% di polveri e ceneri, 8% di vetro, 4% di metalli, 4% di stracci e legno.
Di questi materiali quasi il 90% sono riutilizzabili con guadagno economico diretto, a parte il considerevole risparmio di risorse per la diminuzione della massa di rifiuti da smaltire.
La raccolta differenziata può essere effettuata direttamente dai cittadini, attraverso un sistema di raccolta porta a porta, oppure sfruttando sistemi di separazione in appositi impianti di smistamento. L’ideale è utilizzare tutte e tre le modalità per raggiungere una percentuale molto alta di separazione. Attraverso il riciclaggio si apre un nuovo mercato, in cui piccole e medie imprese possono trovare facilmente spazio per un’attività produttiva con impiego di numerosa manodopera e grande sollievo per la disoccupazione.
In molte nazioni, oltre a massicce campagne di propaganda, si cerca di imporre il riciclaggio attraverso delle leggi, come in Germania, ove un recente decreto impone ai rivenditori di ritirare gli imballaggi dei prodotti venduti. In Italia con il decreto Ronchi del 1997 si prevedeva di raggiungere il 35% di raccolta differenziata entro il 2003, obiettivo purtroppo non raggiunto. Anche nelle direttive europee si raccomanda vivamente di adoperarsi per la riduzione dei rifiuti ed un’ottima risposta si è avuta da parte delle nazioni del nord, dove moltissimi prodotti sono venduti alla spina, dal dentifricio ai detersivi, con drastica riduzione dei contenitori a perdere ed un sensibile risparmio sul prezzo, che per molte merci è un decimo di quello confezionato.
Per rendersi conto dell’importanza di recuperare quanti più componenti tra i rifiuti bastano pochi dati:
Ogni tonnellata di carta riciclata consente di risparmiare 14 alberi di alto fusto, 300 -400 tonnellate di acqua e  800 kilowatt di elettricità corrispondenti a 200 - 300 litri di petrolio. Bisogna sempre avere in mente che nel mondo, ogni anno, 40.000 ettari di foresta (una superficie equivalente a 3 -4 grandi regioni italiane) vengono sacrificati per produrre giornali, libri, manifesti, imballaggi che, una volta adoperati in gran parte vengono distrutti, mentre potrebbero essere tranquillamente recuperati.
La plastica merita un discorso a parte perché, più che per il recupero della materia prima, abbastanza economica, è importante recuperarla per il risparmio di petrolio e di energia e per il considerevole volume occupato nella spazzatura ed inoltre per il pericolo che, bruciata in maniera non corretta, liberi nell’aria gas molto dannosi.
Esistono vari tipi di plastica e tra questi solo la Pet è biodegradabile. In futuro bisognerà per legge obbligare le industrie ad utilizzare per i contenitori soltanto questo tipo o meglio ancora la bioplastica, un nuovo materiale di origine vegetale che ha il vantaggio di produrre una combustione meno inquinante, se incenerita e di essere degradabile, (attaccata dagli agenti naturali) se rilasciata nell’ambiente o in una discarica.
Attualmente una busta di plastica viene adoperata per 20 – 30 minuti, per portare merce dal negozio a casa, mentre la natura per disintegrarla impiega circa 1000 anni! 
Per produrre plastiche biologiche si utilizza il mais, coltivabile nei nostri campi e non il petrolio che viene da lontano ed incide pesantemente nella bilancia dei pagamenti.
Ogni anno adoperiamo 200.000 tonnellate di gasolio per produrre le 300.000 tonnellate di plastica che consumiamo, vomitiamo nell’atmosfera 400.000 tonnellate di anidride carbonica, dando un nefasto contributo all’effetto serra ed al disastro ambientale. A parte il riciclo nel caso della plastica è facile l’uso ripetuto e se ogni italiano riutilizzasse due volte una busta di plastica, in un anno si risparmierebbero 200.000 tonnellate di oro nero.
L’alluminio è adoperato moltissimo come contenitore e può essere riadoperato all’infinito senza perdere le sue qualità originali. Quaranta lattine permettono di recuperare un chilogrammo di metallo, per la cui fabbricazione si adopera un processo altamente inquinante, oltre al consumo di bauxite, un minerale in esaurimento e di una quantità di energia corrispondente ad un peso cinque volte superiore di petrolio.
Il vetro deve essere preferito sempre ai contenitori di plastica, perché non altera il sapore né l’odore dei cibi e può essere facilmente riutilizzato o riciclato. Per fabbricarlo occorrono un elevato consumo sia di energia che di materie prime, oltre alla distruzione di boschi e monti per aprire nuove cave. Esso rappresenta una quota significativa (8%) dell’immondizia e se disperso nell’ambiente impiega 4000 anni per decomporsi. Attualmente in Italia il 70% del vetro finisce nelle discariche o viene incenerito, distruggendo in tal modo una considerevole ricchezza.
L’ideale è scegliere bottiglie e barattoli con vuoto a rendere, in maniera tale che i contenitori possano essere utilizzati all’infinito, oppure, in ogni caso, riciclare bottiglie frantumate.
Il legno viene prevalentemente adoperato a livello industriale, per cui difficilmente il cittadino troverà un contenitore apposito per la raccolta di rifiuti legnosi e dovrà rivolgersi alla ditta incaricata al prelievo nella propria cittadina. In ogni caso riciclare il legno significa risparmiare una cosa molto preziosa: gli alberi.
Le cassette adoperate per contenere frutta ed ortaggi possono e devono essere utilizzate più volte, restituendole al rivenditore, fino a quando, divenute inservibili per l’usura vengono inviate ai centri di raccolta.
I rifiuti organici costituiscono una quota considerevole del sacchetto (29%) che può essere interamente recuperata. Essi sono costituiti da tutte le sostanze di origine vegetale o animale: residui di cucina, scarti di potatura, ecc. Se vengono smaltiti nelle discariche producono grandi quantità di percolato, che abbiamo visto crea grossi problemi, se bruciati richiedono costi elevati e se rimangono a fermentare nell’ambiente danno luogo a cattivi odori. Di conseguenza, è quanto mai opportuno trasformarli in una sostanza utile attraverso il compostaggio, un processo biologico attuato da microrganismi che, nutrendosi della sostanza organica, ne causano la decomposizione, producendo una sostanza simile all’humus. Il prodotto ottenuto, detto compost, può essere utilizzato validamente per sostituire i normali concimi chimici, in quanto ricco di minerali e sostanza organica. In agricoltura questa tecnica viene adoperata per restituire al terreno i componenti che sono andati via con il raccolto ed assume un’enorme valore, perché evita il ricorso ai fertilizzanti, sfruttando il meccanismo naturale di riciclo delle sostanze organiche.
Ciò che avviene in natura è un esempio mirabile di come non esistano sostanze che possano essere definite rifiuti: le piante dall’aria e dalla terra, attraverso le radici, assorbono una serie di sostanze inorganiche, quali acqua, anidride carbonica, nitrati e fosfati e grazie alla luce solare le trasformano in sostanze organiche come zuccheri, grassi e proteine, indispensabili alla crescita degli esseri viventi. Una volta morti, animali e vegetali vengono attaccati da parte di batteri e funghi,  che danno luogo a energia e materie prime, tra cui di nuovo le sostanze inorganiche necessarie alle piante, chiudendo un percorso circolare.
Per via naturale il compostaggio richiede circa 8 – 12 mesi, ma con alcuni artifici è possibile accelerare il processo a 15 – 45 giorni, ottenendo da un chilogrammo di spazzatura 300 grammi di compost.
E’ una tecnica che chiunque possieda un giardino o dello spazio può mettere in pratica, contribuendo vistosamente a risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti ed avendo la soddisfazione di  produrre ricchezza, perchè il compost sostituisce i concimi e può trovare utilizzo anche come materiale inerte utile per impieghi geologici di vario genere.
Si possono utilizzare gusci d’uovo, fondi di caffé o tè, scarti di frutta e verdura, ceneri di legna, alimenti deteriorati, ossa di animali, lische di pesce, foglie, fiori appassiti, piccoli rami ecc. Tutto questo materiale può essere raccolto in un apposito contenitore, oppure in giardino si può formare un cumulo, o sistemare il materiale in una buca nel terreno. Ogni tanto con un forcone è opportuno rivoltare almeno la parte superficiale per favorire il ricambio d’aria ed alla fine la soddisfazione di aver creato, seguendo l’esempio della natura, qualcosa di utile dai rifiuti è molto gratificante.
Un progetto virtuoso
Fino ad ora abbiamo descritto la teoria e le buone intenzioni, ma passare dalla fantasia alla realtà, soprattutto a Napoli, è impresa ardua ai limiti della disperazione.
Il primo ostacolo, apparentemente insormontabile è l’assenza in Campania di un impianto di compostaggio necessario per lo smaltimento della quota umida, che, come abbiamo visto, rappresenta un terzo dei rifiuti.
Alcuni comuni virtuosi come quello di Grumo Nevano, che differenziano oltre  il 60% della spazzatura sono costretti, come ci conferma il sindaco Angelo Di Lorenzo, a spedire l’umido in Sicilia con costi iperbolici, mentre i terreni campani stanno diventando sempre più aridi e sterili per mancanza di concime.
A Napoli, nel Parco dei Camaldoli, vi è un progetto per allestire un terreno in grado di ricevere l’umido di tutta la città. Basterebbe una spesa modesta e potrebbe entrare in funzione in meno di tre mesi. La notizia circola tra gli ambientalisti da tempo, senza riuscire a raggiungere i giornali che contano. Non siamo riusciti a parlare con il presidente, architetto Agostino Di Lorenzo, nonostante tentativi telefonici e telematici, evidentemente è impegnato a raggiungere l’obiettivo, ma non dobbiamo lasciarlo solo ed appoggiarlo presso l’opinione pubblica e le istituzioni.
Senza un luogo ove portare la frazione umida qualunque tentativo di raccolta differenziata è destinato a fallire.
Abbiamo preparato un progetto per il quartiere Vomero attuabile in pochi mesi, raccogliendo l’interesse di numerose associazioni tra le quali il WWF campano, presieduto dalla dinamica Ornella Capezzuto e la gloriosa Napoli Novantanove, che vede di nuovo l’indomita baronessa Mirella Barracco in prima fila per risollevare le sorti dell’amata città.
L’iniziativa prevede una raccolta porta a porta dei materiali da riciclare con gruppi di volontari e cooperative di disoccupati, muniti di furgoncini per portare il raccolto… in un luogo dove quotidianamente camion di ditte specializzate provvedono poi ad asportarlo.
Un’azione dimostrativa di lunga durata, di stimolo alle istituzioni, che dovrebbe cessare solo quando le stesse, attualmente assolutamente latitanti, si dimostrino in grado di fare ciò che si fa in tutto il mondo civile.
Abbiamo contattato decine di amministratori di condominio, commercianti ed associazioni di categoria. Tutti sono pronti a partire per restituire dignità alla città e decoro alle strade.
Naturalmente  bisognerà nel tempo mutare abitudini e rivoluzionare il nostro modo di vivere.
Cambiare freneticamente vestito, automobile, arredamento è un’abitudine schizoide che da anni ha preso il sopravvento nel mondo occidentale ed anche nei paesi emergenti, come la Cina, sta divenendo la regola. Martellati dalla pubblicità, aizzata da un sistema industriale che necessita di vendere continuamente gli oggetti che costruisce, acquistiamo senza sosta prodotti ai quali non ci affezioniamo, come capitava una volta, quando i mobili, ma anche un maglione o le suppellettili della cucina, ci accompagnavano lungo il percorso della vita.
Se non torniamo alle sane abitudini dei nostri nonni siamo perduti e con noi è perduto il pianeta Terra del cui triste destino siamo tutti noi responsabili.

Nessun commento:

Posta un commento