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venerdì 16 marzo 2012

Il seno nell’arte moderna

2/7/2006

Fino ad ora abbiamo documentato l’interpretazione del seno data attraverso i secoli da pittori e scultori, ma negli ultimi tempi hanno acquisito sempre più importanza altre forme di rappresentazione, quali: il cinema, la fotografia ed il fumetto. Trattarne esaustivamente farebbe debordare pericolosamente il numero delle pagine del libro, per cui ci limiteremo a citare pochi esempi tra i più significativi. 
Nel campo del cinema partiremo dal seno di Clara Calamai (fig. 1), attrice popolarissima tra la fine degli anni’30 e l’inizio degli anni ’50, che fece enorme scalpore quando comparse in topless nella trasposizione cinematografica del dramma di Sam Benelli la Cena delle beffe, diretta da Alessandro Blasetti nel 1941.

Altri ruoli che la legano indissolubilmente alla storia del cinema sono senz’altro quelli da lei sostenuti in Ossessione (1942) di Luchino Visconti, dove sostituì all’ultimo minuto Anna Magnani, in l’Adultera di Duilio Coletti (1946), quando vinse un Nastro d’argento ed infine in Profondo rosso (1975) diretto da Dario Argento. Insuperabile nei panni di donna fatale, complice un erotismo ed una sensualita che bucavano letteralmente lo schermo, seppe interpretare con disinvoltura amanti, adultere e nobildonne di facili costumi, ma bastarono pochi fotogrammi a farla entrare prepotentemente nella storia e nella leggenda del cinema italiano: il primo seno nudo che sciocca gli spettatori ed alimenta dicerie, maldicenze e proteste, che cessarono solo per un diretto intervento del duce, indiscusso esperto di fascino femminile. Clara Calamai divenne l’oggetto del desiderio e fece sognare a lungo gli italiani divenendo un prepotente simbolo dell’erotismo. Per girare la scena incriminata il regista Blasetti sistemò in alto le cineprese e fece sgomberare tutti i membri della troupe. Amedeo Nazzari entrò all’improvviso sulla scena e strappò la camicetta all’attrice distesa sul letto, permettendo al suo seno, alquanto modesto per la verità, di diventare un’icona del sesso ed il simbolo stesso della trasgressione.Tra le polemiche suscitate dall’episodio la più accesa fu quella sollevata da Doris Duranti, la celebre diva dei telefoni bianchi, ben più soda e dotata della Calamai, la quale apparve l’anno successivo anche lei a torace scoperto su una pellicola, ma tenne a sottolineare “che il suo fu il primo seno ripreso all’impiedi ed appariva eretto, come di natura, orgoglioso e senza trucchi, mentre la rivale si era fatta riprendere sdraiata, che non è una differenza da poco”. Ad incrementare la querelle abbiamo reperito la notizia, senza poterla controllare, perchè la pellicola è andata perduta, di un altro seno scoperto prima di quello esibito dalla Calamai, sarebbero le poppe di proprietà di Vittoria Carpi, che pare le abbia esibite nella Corona di ferro, diretto da Blasetti nel 1940. 
Sul versante internazionale una menzione speciale spetta al seno nero (fig. 2) di Josephine Baker, il primo a rompere fragorosamente ogni argine di razzismo, assurdo quando riferito alle più perfette forme mai create. Cantante e ballerina statunitense, naturalizzata francese, coperta unicamente da un gonnellino di banane, mentre balla pazzamente uno scatenato charleston, è una delle immagini più celebri degli anni Venti. 


Bella da morire, con la sua pelle ebano e quelle gambe che hanno turbato il sonno a milioni di uomini, la Venere creola del varietà francese era originaria del Missouri, nel profondo sud degli States, dove i negri erano all’epoca visti col fumo negli occhi. Diverrà un’icona della bellezza universale, ironica e conturbante, travolgente e trasgressiva. Iniziò la carriera nei piccoli teatri di Sant Louis, prima di debuttare a Broadway a sedici anni e poi spiccare il volo per l’Europa, attrazione della compagnia Black Review. Al teatro degli Champs Elisees la sua conturbante bellezza e la sua bravura mandarono in delirio Parigi. Osava ballare in maniera selvaggia e cantare con voce suadente, avvolta in una nuvola di piume e di perle e stupiva il pubblico per la nonchalance con cui esponeva all’ammirazione ed alla venerazione generale i suoi seni acuminati da affilato felino, in grado di colpire a morte il cuore a chicchessia. Seppe miscelare sapientemente il gusto piccante del varietà francese al caldo folklore della musica africana. Fu passionale sul palcoscenico, mentre cadde in un esotismo di maniera quando fece incursione anche sullo schermo. La sua carriera fu lunghissima e negli ultimi anni, nonostante la salute precaria, continuò a girare i teatri di tutto il mondo, ammaliando il pubblico con i suoi indimenticabili refrains, pur di raccogliere fondi per la sua famiglia multicolore di dodici orfanelli adottati. Non si stancava di ripetere: ”Certamente verrà un giorno in cui il colore non sarà che una tonalità della pelle e la religione semplicemente un modo di parlare all’anima”. Fu un corpo da favola, con un cervello pensante ed uno spirito nobile, tre qualità che raramente coesistono nella stessa persona. Tutti vollero applaudirla fino alla fine e tra i tanti riconoscimenti internazionali alla sua filantropica attività giunse anche l’ ambitissima Legion d’Onore. 
Marilyn Monroe è stata la più famosa attrice nella storia del cinema. Il suo mito, indipendente dal suo talento artistico, pur notevole, è legato alla sua vita avventurosa, alla sua bellezza solare ed alla sua tragica morte; esso è cresciuto sempre più negli anni, fino a divenire il sogno proibito per milioni di uomini. Ma è soprattutto legato ad una spettacolare fotografia (fig. 3) che studenti e camionisti, voyeur e signori in doppiopetto hanno tenuto per decenni attaccata alle pareti della loro camera o, quando non potevano, impressa tenacemente nella mente. Lo scatto era stato eseguito nel 1949 e pagato 50 dollari, in seguito l’immagine fu comprata da Hugh Hefner per il primo numero della rivista Playboy e conquistò una fama planetaria. Marilyn, con le sue curve atomiche maliziosamente esposte e nello stesso tempo parzialmente celate, rappresenterà da allora la bandiera orgogliosa delle donne ed il desiderio represso degli uomini. Su tanto ben di Dio svetta imperiosamente il prodigioso seno dai rosei capezzoli, del quale non è difficile intuire la consistenza, che, come confermò il regista Billy Wilder, che evidentemente lo conosceva bene, era duro più del granito. 


La leggenda di Marilyn si è basata inoltre sull’appeal che emanava dal grande schermo e e sulla carta patinata delle più diffuse riviste del tempo (solo nel 1945 comparve su 33 copertine). La sua apparente fragilità e la sua vita tumultuosa, culminata in una morte misteriosa, che ancora fa discutere, ne hanno fatto un sex symbol fuori dal tempo ed un’icona della cultura pop. Ebbe una voce calda che affascinava l’ascoltatore, quando nei suoi film si esibiva come cantante, ma il suo intervento canoro più memorabile fu alla festa di compleanno del presidente Kennedy, di cui si vociferava che fosse l’amante, quando intonò con fare malizioso ed ammiccante Happy birthday, mister president. Ebbe numerosi mariti, alcuni famosi, come il campione di baseball Joe di Maggio, che sposò due volte ed il commediografo Arthur Miller. I suoi film più famosi: Giungla d’asfalto, Eva contro Eva, Niagara e Gli uomini preferiscono le bionde, una interpretazione memorabile, nonostante lei fosse bruna, bionda solo perchè ossigenata. La morte la ghermì ad appena 36 anni, ma il suo corpo statuario vivrà per sempre, conservato gelosamente nella mente e nel cuore di chi la ha ammirata. 
Nella cinematografia mondiale il seno prorompente per antonomasia è senza ombra di dubbio quello di Sofia Loren, in fondo la sua notorietà internazionale parte da quella spavalda passeggiata da pizzaiola nell’Oro di Napoli, con la camicetta che a stento tratteneva il suo giovane corpo esplosivo ed esuberante. E da allora è stata lei l’icona della meridionalità più schietta, anche se a tette nude (fig. 4) apparve solo nel film Due notti con Cleopatra e per di più nella versione destinata al pubblico straniero, per cui francesi e tedeschi potettero godere della visione celestiale di quelle invalicabili montagne solcate da una valle ubertosa, mentre gli italiani dovevano accontentarsi di vederla vestita e la differenza non è di poco conto. Da cinquanta anni il seno della Loren, più immaginato che realmente scrutato, ha popolato i sogni di generazioni di aficionados, disposti ad incredibili pazzie. 

Chi di noi non rinuncierebbe a qualsiasi cosa pur di trasformarsi per un mese nel reggiseno di Sofia? La rara immagine che abbiamo mostrato non compare in nessuna biografia dell’attrice ed invano navighereste tra le diecine di migliaia di siti dedicati a lei sul web per trovare questo o altri scatti proibiti. Di recente la società editoriale che gestisce Playboy ha annunciato di essere in possesso di una inedita foto della diva, non si sa quando scattata, mentre nuota nuda in piscina e conta quanto prima di metterla all’asta, con la certezza di raggiungere una cifra record. Agli antipodi del seno debordante ed opulento di cui abbiamo tessuto le lodi, negli ultimi anni è comparso all’orizzonte, sia nel cinema e nella moda che nella vita di ogni giorno, il seno grissino, interpretato da una modella magrissima simbolo di una sessualità cattiva, schiava delle diete ed in preda alla più esaltante anoressia. Una donna sottile e scattante come una pantera dai lunghi artigli dorati e dai seni minuscoli in grado, come si predicava in passato, di essere accolti in una coppa di champagne. Per raggiungere questi nefasti obbiettivi bisogna sottoporsi ad una di quelle diete feroci che gli americani chiamano fasting, fatte di tisane e succhi di pompelmo, con inevitabile corollario di digiuni e depressioni. Anche senza arrivare agli eccessi della mastoplastica riduttiva praticata con dissennata assiduità da schiere sempre più numerose di adolescenti ed attempate signore, desiderose di ridurre fino a superare i limiti della decenza le proprie misure. Il prototipo di questa femminilità diafana e microscopica è stato interpretato da Kate Moss, top model inglese, a lungo testimonial di Calvin Klein, uno sguardo algido rivolto altrove senza traccia di emozioni e con il petto ridotto ai minimi termini, come ben si evince nella foto (fig. 5) dove esili fili di collana sono sufficienti a coprire l’esile seno. 


E sulla stessa falsariga depotenziata di Kate è sintonizzato il seno sfuggente di Erica Creer, che troneggia (fig. 6) sulle pagine del calendario Pirelli, antesignano di una moda per guardoni eccellenti che è cresciuta a dismisura nel tempo, fino a giungere ad un numero incalcolabile di calendari pubblicati ogni anno. Per tutti i gusti e per tutte le tasche, costituiscono un termometro attendibile dei gusti anatomici di un pubblico internazionale, il quale tende ad apprezzare in egual misura forme opulente o striminzite, purchè in armonia con il corpo, che deve essere sempre agile e scattante. 


Nel campo della fotografia mi sia concesso presentare uno scatto personale della mia amica Irina (fig. 7), incantatrice in egual misura di uomini e di serpenti, in grado di sedurre e di domare anche il più perfido e scivoloso degli esseri viventi. Se la nostra progenitrice Eva avesse avuto anche un briciolo della sua arte, avrebbe saputo resistere alle insidie del perfido animale e l’umanità non sarebbe precipitata dal Paradiso terrestre alla faticosa ed improba vita di ogni giorno. L’uomo non sarebbe stato condannato a guadagnarsi il pane col sudore della fronte, mentre la donna avrebbe partorito senza dolore. La storia come sappiamo è andata diversamente e la maledizione biblica ha avuto il suo corso ineluttabile. Allo stesso tempo fallo e utero, pene e vulva, il serpente è senza dubbio uno dei più antichi archetipi dell’ambivalenza sessuale. Ed è anche l’indiscusso archetipo dell’ambiguità del bene e del male, da quando, nella Genesi, esso appare come il più furbo e perfido tra tutti gli animali, il tentatore di Eva, alla quale riuscì a far credere che il frutto dell’albero della morte le avrebbe fornito la più ampia conoscenza. Sul corpo di Irina si muove con circospezione; si annoda senza stringere attorno al collo, percorre silenzioso ed audace la valle del seno, delimitata da due monumenti alla procace bellezza e si avvia speditamente, attirato da un afrore irresistibile verso l’origine della vita, deciso a penetrarla dolcemente, come dolcemente accarezza, più che cento mani simultanee, l’epidermide vellutata della fanciulla, che osserva divertita i suoi lubrici e serpentini… movimenti. 
Autore dell’illustrazione (fig. 8) Donnine nude, comparsa sulle pagine di Playboy, è Pater Sato, disegnatore giapponese, che per anni ha collaborato ad importanti riviste in Giappone, Europa e Stati Uniti. Le sue creazioni, fascinose ed originali, hanno dato luogo alcune volte a trasposizioni teatrali o cinematografiche, come nell’esempio in esame che ispirò il film di grande successo le Streghe di Eastwick, interpretato da Susan Saradon, Michelle Pfeiffer e Cher. Queste allegre donnine, raffigurate nell’illustrazione, dedite al bere smodato ed ai piaceri della gola, profonda naturalmente, danzano con malcelata noia e costituiscono una miscellanea di mammelle di varie fogge e dimensioni: dal seno a mela, piatto ed esuberante, segno inequivocabile di animo aperto e cordiale, a quello poco più che punteiforme della ragazza di destra, in grado di entrare agevolmente più che in una aristocratica coppa di champagne in un semplice bicchierino di rosolio, a quello a pera, anche se ancora acerba, della fanciulla di spalle. Una varietà per tutti i gusti e per tutte le occasioni, ispidi e disordinati, casti e verecondi, piccoli ed opulenti, alla disperata ricerca di una poco probabile quadratura dei seni, una dittatura alla quale è follia pensare di potersi sottrarre. 

Ritagli di raffinatissima carne che si dondolano beatamente, si rimpiccioliscono o crescono a dismisura sull’onda della voluttà e del I primi sembrano intonati con gli occhi bruni ed a mandorla della proprietaria, i secondi pendono come fichi freschi dall’albero, ben maturati dal solleone ferragostano, gli ultimi, due gemellini, piccoli ma seducenti, invitano a succhiare, come se empi di un dolce e dissetante nettare che, ingurgitato, sia in grado di infondere coraggio ed energia. 
Il seno a striscie concentriche (fig. 9) rappresenta un paradosso ottico di irresistibile fascino e riflette l’esuberanza di un decennio di emancipazione femminile, culminato nel 1968, data di realizzazione dell’originale collage, in parte foto ed in parte creazione artistica, intervento attivo di un ignoto pittore dalla fantasia scatenata, il quale, dopo aver trasformato la superba fanciulla in tiro a bersaglio dei nostri più inconfessabili desideri, ha regalato alla modella il suo pennello ed ella, orgogliosa, lo propone in primo piano, introducendone la punta nella bocca socchiusa.


 Espressione della op art, uno dei tanti movimenti nati negli Stati Uniti negli ultimi decenni del secolo scorso, questo seno, che irradia la sua energia in tutte le direzioni, diventa nello stesso tempo un tiro a bersaglio in grado di calamitare sguardi e desideri. Le linee sinuose creano un vortice che innalza il seno fino al delirio, facendolo ruotare vorticosamente e la donna che lo possiede diventa preda di colui che sia in grado di leggere nel labirinto di questo coacervo di arabeschi. Esiste una sperduta regione dell’India dove il tempo si è fermato e dove le fanciulle, quando raggiungono la pubertà, vengono dipinte vivacemente con i seni a striscie rosse rigate di giallo e, completamente nude, vengono incitate a percorrere di corsa i campi, offrendosi al primo uomo che venga attirato da questa inebriante rigatura concentrica multicromatica. Ed una volta conquistati questi seni posseggono un fascino ammaliante che strega per sempre l’uomo che per primo li ha toccati, trasformano il prode guerriero che ha bevuto alla fonte dei suoi capezzoli in un docile schiavo ed ingenerano una danza impazzita con i circoli concentrici che si intrecciano reciprocamente all’infinito. 

Il testo è un estratto dal mio libro Il seno nell’arte dall’antichità ai nostri giorni, illustrato da 200 foto a colori, consultabile sul web www.guidecampania.com/seno

2 commenti:

  1. Però manca i leggendario seno di Raquel Welch e forse di Jane Mansfield
    Giancarlo Righi

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  2. Grazie Achille per questa bella disanima delle più bei seni di celluloide, che segue quella altrettanto godibile dei seni su tela e di quelli su marmo o pietra che ci aveva allietati in un precedente tuo intervento. Un excursus che parte dalla Calamai e dalla Doris Durante sino a toccare i vertici estatici ed inarrivabili della Maryleen e della Loren e alle brutture riduzionistiche di tante modelle malate d'anoressia. Grazie per averci mostrato le varie declinazioni anatomomorfologche e tattili di uno dei più ricercati oggetti del desiderio del pianeta maschile.
    Come direbbe la Goggi...Chapeau
    Antonio Giordano

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