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lunedì 19 marzo 2012

Il fascino irresistibile della Maddalena

13/8/2007


Intorno al 1515 possiamo collocare l’esecuzione dell’intrigante e misteriosa Maddalena, di collezione privata svizzera, che Carlo Pedretti, massimo esperto di Leonardo, attribuisce alla mano del sommo maestro, aiutato in parte da un suo allievo, il Giampietrino.
Senza entrare nel merito dell’autografia, bisogna tenere conto dello straordinario paesaggio prealpino che si apre alle spalle della figura in primo piano, con la linea dell’orizzonte che passa a livello degli occhi, esattamente in linea con la prospettiva pittorica postulata dallo stesso Leonardo.
La nostra attenzione cade sul seno, magistralmente esposto, la grande meraviglia del pentimento di Maria Maddalena, più commovente delle sue lacrime, la grande offerta della sua contrizione. La veste, rosso fuoco, si scosta come un sipario e la delicata tulle viene tenuta sapientemente lontana, che nulla celi, ed ecco i fiori della realtà, la più pura e sacra delle forme mai creata, affiorano allo sguardo, coperti semplicemente da una timida collanina con un medaglione che, beato tra le beatitudini, si posiziona nel baricentro della voluttà. 
Non vi è alcun dubbio che in essi l’universo intero si è voluto rappresentare; essi sono a un tempo eterei e materiali e come materia sono la più nobile che possa esistere. Ammirandoli incantati siamo indotti a credere a quei vangeli apocrifi e blasfemi, che vogliono narrarci che lo stesso Gesù non seppe resistere alla tentazione e volle concludere a fianco della Maddalena il suo percorso terreno.


Più o meno coeva è la Leda ed il cigno del museo di Filadelfia, copia da Leonardo di un originale perduto, eseguita da un ignoto allievo di buon livello, il quale rivisita il mito di Leda, figlia di re Testio  e moglie del re di Sparta Tindaro, un sovrano così scettico sulla fedeltà delle donne da far legare nel suo palazzo i piedi della statua di Venere. Leda non seppe resistere alle profferte amorose di un cigno dal lungo quanto turgido collo, sotto le cui spoglie si celava Giove in persona, il quale, mentre la giovinetta  giocava innocentemente sulla riva del fiume Eurota,  si avventò su di lei e la possedette più volte, dando luogo ad un progenie plurigemellare; nacquero infatti da quella poderosa coniuxio Castore e Polluce, oltre ad  Elena e Clitennestra.
Il mito di Leda ed il cigno assurge a simbolo della penetrazione del divino nell’umano, a favola accattivante della bella e della bestia, ad esaltazione del potere di seduzione dell’animalità, che crea non repulsione, ma attrazione.
Il bianco pennuto, dopo averla lusingata con la sua bellezza e con il suo collo flessuoso, che si intrufolava dappertutto provocando brividi di inconsueto godimento, accompagnati da grida di paura e sospiri di delizia, vinse il timore reverenziale della fanciulla ad un accoppiamento innaturale e poté godere delle sue grazie.
Il dipinto focalizza il contatto ravvicinato tra l’opulenta fanciulla ansiosa di attirare verso il suo seno lo sfrontato animale, mentre due amorini osservano sconcertati il temerario reciproco corteggiamento. Sullo sfondo un serafico panorama che si distende placidamente, quasi a stemperare la palpitante sensualità della scena intrisa di un erotismo piccante.
Leda è di una bellezza perfetta ma fredda ed è distante anni luce dalle rappresentazioni cariche di sensualità che infonderanno al corpo femminile i pittori veneziani.  La fanciulla si fa baluardo dei suoi seni fieri e granitici, voluminosi e tondi, che sfidano senza timore l’assalto animalesco con la grazia di una preziosa corazza cesellata dal più nobile degli artefici, come protetta da uno scudo da regina di tutte le donne ammaliate dal desiderio e sicure del proprio petto, che sembra, nell’inconsueto incontro, giungere quasi all’ebollizione, evento che si verifica unicamente nelle solitudini ardenti delle donne.

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