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domenica 18 marzo 2012

Il Caravaggio della regina

3/1/2007

Così è stato chiamato la Vocazione dei santi Pietro ed Andrea, il dipinto delle collezioni reali inglesi, adoperato per secoli come sovrapporta vicino ai devastanti fumi di un camino, prima che Maurizio Marini, tra i massimi conoscitori del pittore, lo facesse restaurare e lo attribuisse perentoriamente al Caravaggio.
Fino alla fine di gennaio il quadro è in mostra a Roma, accanto a quattro colleghi, anche essi ritenuti autografi del grande artista lombardo.
Cerchiamo di approfondire la rassegna, adoperando molta cautela nei giudizi, per evitare la figuraccia alla quale si è esposto in questi giorni il nuovo cardinale di Napoli, annunciando la scoperta di un nuovo Caravaggio sotto una tela antica, scoprendo poi di aver avuto unicamente un’allucinazione.
Le allucinazioni non sono privilegio dei principi della chiesa, infatti nella mostra romana, allestita in alcuni locali della stazione Termini, a fare compagnia al celebre quadro inglese, vi sono altri dipinti ritenuti autentici da fior di studiosi, quali il Cavadenti, proveniente dalla Galleria palatina di Palazzo Pitti a  Firenze, una scoperta di Mina Gregori, un’autorità indiscussa, che, in questa attribuzione è stata vittima della sindrome di Caravaggio, uno strano morbo che colpisce unicamente gli storici dell’arte. Si tratta del desiderio inconscio di scoprire un Caravaggio. Senza questa malattia non si spiegherebbe l’incauta attribuzione che negli anni non è stata accolta dagli altri esperti dell’autore. 
Vi è poi un San Giovannino che si abbevera alla fonte, che fu già presentato come proposta attributiva alla grande mostra che si tenne due anni fa a Capodimonte sugli ultimi anni di attività dell’artista e che già all’epoca sollevò più dubbi che certezze.


Ed infine un Sacrificio di Isacco di una collezione americana, una tela interessante, potente, piena di luce abbagliante, con quel tizzone ardente per accendere le fascine, ma sulla quale si dovrà ancora studiare prima di accoglierla definitivamente nel catalogo ufficiale.
Ma passiamo alla star, al dipinto della regina, che costituisce senza dubbio un’opera estremamente interessante, anche se molto rovinata e ben poco hanno potuto fare i restauratori inglesi  dove si era persa materia pittorica o dove le successive ridipinture si sono legate indissolubilmente ai pigmenti originari.
Il quadro è stato realizzato a Roma ad inizio secolo ed è entrato come autografo nelle collezioni inglesi già nel 1637, quando consulente della regina era Orazio Gentileschi, un esperto in grado di distinguere il grano dall’oglio.
Presenta numerosi pentimenti, rivelati dagli esami radiografici, per cui non si tratta di una copia come a lungo si è creduto ed il taglio compositivo è certamente caravaggesco, ma ricorda molto lo stile anche di alcuni seguaci di grande livello, come Bartolomeo Manfredi o alcuni caravaggisti francesi attivi a Roma in quegli anni, come Valentin de Boulogne o Nicolas Tournier.
Un’altra incertezza è sollevata dai colori così simili a quelli adoperati dai pittori emiliani contemporanei del Caravaggio ed attivi a Roma. Difficilmente, in brani sicuramente autografi, si riscontrano quelle originali tonalità di verde e giallo, di carminio ed ultramarino. 
Il volto di Gesù è quello di un giovane imberbe, in stridente contrasto con gli apostoli barbuti, una licenza iconografica in linea con la pittura rivoluzionaria amata dal maestro lombardo.
Una visita ad un quadro così discusso e che continuerà a far discutere si impone per studiosi ed appassionati. Un salto a Roma ed ognuno sarà libero di giudicare con i propri occhi, senza dimenticare la sindrome di Stendhal, resa celebre dal film di Dario Argento, che pare colpisca unicamente i soggetti predisposti, in contemplazione davanti ad un Caravaggio.


E chi vorrà confrontarsi col sottoscritto, lo potrà fare sabato 20 gennaio alle ore 12,30, in occasione della nona tappa delle visite degli Amici delle chiese napoletane.

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