I Sarnelli costituiscono la famiglia più numerosa di pittori napoletani attiva nel Settecento, essendo composta da ben quattro fratelli: Antonio e Giovanni, i più noti e poi Francesco e Gennaro; senza tenere conto che le fonti parlano anche di un Gaetano e di un Giuseppe, che attendono pazientemente di essere identificati.
Un fratello maggiore, Ferdinando, razionale e segretario del Banco di San Giacomo, nato il 28 novembre 1697, è viceversa l’unico che non lavorava col pennello.
Il padre della nidiata era Onofrio, re d’armi di sua Maestà, la mamma Angela Viola.
Cominceremo la trattazione da Francesco, una nostra scoperta, grazie alla fortuita scoperta della sua firma (fig. 1) sulla battita di un quadro raffigurante la Madonna col Bambino (fig. 2) dal 1997 in collezione della Ragione.
Il primo a parlarci dei Sarnelli è il De Dominici, che scrive le sue famose “Vite” contemporaneamente all’operare dei vari fratelli nelle chiese di Napoli e della provincia. Egli ci parla di Gennaro” il quale studiò molto nella scuola di Paolo (De Matteis) ed avrebbe fatto gran profitto, mediante la sua naturale, e continua applicazione, ma per questa medesima divenne tisico nel più bel fiore degli anni suoi e se ne passò all’altro mondo”. Quindi ci ricorda i due fratelli Antonio e Giovanni, “che vivono oggidì e fanno onore al maestro ed a loro medesimi, nelle opere che dipingono con studio e con amore”.
Nei resoconti dei biografi antichi compaiono poi i nomi di altri misteriosi fratelli: un Giuseppe, che il Ceci, sotto lo pseudonimo di don Ferrante, cita parlando di Santa Chiara, un Gioacchino e poi il misterioso Francesco, del quale discuteremo più avanti diffusamente, che il Galante nella sua Guida Sacra cita come l’autore nella cappella d’Avalos della chiesa di Monteoliveto dei quattro Evangelisti nei peducci della piccola cupola e dell’Annunciazione (fig. 3) e della Fuga in Egitto (fig. 4) nelle arcate.
L’informazione al Galante della paternità degli affreschi probabilmente viene dalla consultazione del Celano, che nella sua famosa opera Notizie sul bello…etc, corredata di nuove note dal Chiarini nel 1858, parla di Francesco Sarnelli come autore degli affreschi. In particolare se si consulta l’indice dei nomi degli artisti Francesco Sarnelli viene ricordato come pittore della seconda metà del secolo XVIII.
Queste notizie sono in contrasto con ciò che riferiscono altri autori, quali il Sigismondo e il Catalani, che attribuiscono gli affreschi ad Antonio.
Nel 1985 a cura di Spinosa la Guida Sacra del Galante è stata rivisitata da un gruppo di specialisti ed in particolare la Di Maggio ha redatto il capitolo sulla chiesa di Monteoliveto. La studiosa asserisce nelle note che il nome Francesco è un refuso ed infatti se ci si reca nella cappella D’Avalos e si osservano gli affreschi in esame si nota subito una grossa firma Ant Sarnelli 1772 in stampatello, che però risalta come se fosse stata apposta in epoca successiva.
Il rinvenimento del documento di pagamento potrà chiarire definitivamente la questione, ma le mie ricerche, eseguite all’epoca presso l’Archivio di Stato e l’Archivio Storico del Banco di Napoli non diedero alcun risultato, mentre non mi fu possibile accedere presso quello privato della famiglia D’Avalos.
La tela fu da me acquistata presso una bottega d’arte di Sorrento, dove ebbi la fortuna di acquistare altri quadri di una certa importanza. Essa porta sul retro della cornice una scritta incisa indicante il soggetto come una S. Paola, una sorta di expertise poco leggibile con una data dei primi anni del Novecento.
Tale affermazione è probabilmente inesatta, perché tale santa è eccezionalmente rappresentata e mai in Campania (reperii con difficoltà una litografia ottocentesca di scuola ligure); ma principalmente perché S. Paola, i cui caratteri distintivi sono la verga, la culla e la disciplina (o il manto canonico) era di origine patrizia, per cui difficilmente può essere rappresentata in abiti modesti come la figura in esame, chiaramente una Madonna col Bambino. In ogni caso il soggetto ha ben poca importanza, mentre interessante è la firma che reca il dipinto in basso a destra: un F. Sarnelli, scritto in stampatello, chiaramente leggibile.
In un primo tempo si poteva anche pensare che la F. stesse ad indicare un fecit, anche se in genere il verbo segue quasi sempre il nome dell’autore; ma in seguito togliendo la tela dalla cornice per uno studio più approfondito, sotto la firma, anche se in parte cancellato dal tempo, è comparso un fecit, che ha tolto ogni dubbio.
La quasi certezza di trovarci di fronte ad un pittore inedito l’abbiamo avuta quando Enzo De Pasquale, ci ha riferito della presenza di un altro dipinto in collezione privata firmato per esteso Francesco Sarnelli. Tale dipinto per il quale egli aveva negli anni scorso predisposto un expertise, su richiesta dei proprietari, pare che in precedenza si trovasse in una non ben identificata chiesa napoletana della zona di Materdei.
Il De Pasquale che aveva studiato a fondo la questione ed aveva identificato in alcune chiese calabresi dipinti inediti di Antonio Sarnelli, riferì di essere giunto alla conclusione che il quadro da lui esaminato potesse essere attribuito ad uno dei due fratelli, Antonio o Giovanni, di cui è nota la produzione e che il nome Francesco era un secondo nome del pittore.
Una conclusione che mi lasciò alquanto perplesso, perché nelle mie ricerche ero riuscito a rintracciare di Antonio Sarnelli una originale dichiarazione in cui, in data 21 gennaio 1770 egli si firma D. Antonio Sarnelli. Tale documento si trova presso l’Archivio di Stato di Napoli, tra i fasci dei monasteri soppressi nel volume 3584. Inoltre Spinosa, che visionò la foto del mio dipinto, non riscontrò alcuna affinità con la produzione nota dei due fratelli, nelle cui opere è tangibile il discepolato presso il De Matteis.
La recente scoperta da parte del Di Furia di documenti anagrafici completi dei vari membri della famiglia ha poi escluso definitivamente l’ipotesi di un nome doppio.
Il fratello Gennaro di cui parla il De Dominici è stato studiato a fondo dal Di Furia, il quale è l’autore di un esaustivo articolo saggio sulle pagine di Napoli nobilissima.
Grazie alle sue ricerche oggi è possibile attribuire a Gennaro tre dipinti firmati e datati, oltre ad altri su base stilistica, partendo da un quadro dei depositi di Capodimonte, una Sacra Famiglia (fig. 5), attribuita all’artista dal Salazar (forse sulla base di una firma sul retro non più visibile) ed a lungo segnalata negli inventari dal Fiorelli (1873) fino al Migliozzi Monaco del 1899, per scomparire dal De Rinaldis in poi, divenendo “scuola napoletana del XVII secolo (tardo).
Il primo dipinto in esame è un’Immacolata Concezione (fig. 6), un piccolo rame (46 – 34), conservato nel museo de la Iglesia di Oviedo, firmata Januarius Sarnelli pinx(it) 1727. La data è la più antica in assoluto e precede la prima di Antonio, 1731, e di Giovanni, 1738.
La seconda opera è una pala d’altare di cospicue dimensioni (255 – 215), raffigurante Madonna con Bambino e Santi (fig. 7), posta nella chiesa dell’Assunta di Grotteria, vicino Reggio Calabria, firmata Ianu.us Sarnelli 1730. La tela ripete un motivo compositivo di tipo piramidale che ebbe ampia diffusione nella pittura devozionale settecentesca e venne ripresa anche dal fratello Antonio, dal De Matteis e da Paolo de Majo.
Il terzo dipinto si trova nella collegiata di San Martino a Cerreto Sannita, raffigura un’Addolorata (fig. 8) ed è firmata e datata come la precedente. Essa ripete pedissequamente un originale del Solimena, conservato a Baranello, vicino Campobasso, nella parrocchiale di San Michele. Come nelle altre occasioni sono presenti piccole varianti, per cui l’artista si ispira a colleghi più quotati, senza mai scadere al ruolo di copista o di falsario.
Su base stilistica il Di Furia assegna poi a Gennaro alcune altre tele, in particolare una Madonna con Bambino tra San Gennaro e San Tommaso d’Aquino (fig. 9) posta sull’altare della terza cappella sinistra nella chiesa di S. Maria del Monte dei Morti a Cerreto Sannita. Palpabile è la somiglianza con la pala di Grotteria ”la schiumosa corposità delle nubi che accolgono la Vergine e le livide tonalità di colore sullo sfondo dove, a coppie, fanno capolino teste di cherubini, sembrano davvero sottintendere la presenza del medesimo artista”(Di Furia).
Simile alla pala calabrese è anche una Madonna con Bambino tra San Pietro Martire e San Giacinto (fig. 10) conservata nella chiesa madre di Corigliano d’Otranto, vicino Lecce, firmata Sarnelli 1730, somigliante ai modi di Gennaro, che potrebbe far ipotizzare una partecipazione a tre, prima del 1734, quando il solo cognome intende un’opera di bottega fatta a quattro mani.
Un’altra opera attribuibile a Gennaro può essere una Trinità (fig. 11) del Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila, proveniente dalla locale chiesa di San Domenico, pubblicata dal Moretti, curatore del catalogo, nel 1967, come di Gaetano Sarnelli, un nuovo nome che compare nella famiglia.
Gennaro morirà giovane all’età di 27 anni e viene seppellito il 3 febbraio 1731 nella chiesa di Santa Croce di Palazzo a Napoli.
Infine un cenno alle 12 piccole tele conservate nel museo di Taverna, luogo natio del Preti in provincia di Catanzaro e provenienti dalla locale chiesa di San Domenico, di questi una Santa Barbara (fig. 12) è firmata Sarnelli, mentre un San Gennaro vescovo è firmato e datato 1734, per cui si esclude che possa aver collaborato anche Gennaro, come ipotizzato dal Valentino nel catalogo pubblicato nel 2003.
Mostriamo inoltre le foto di una Madonna col Bambino benedicente (fig. 13), di un Redentore infante (fig. 14) e un San Domenico che riceve l’ordine di predicare dai Santi Pietro e Paolo (fig. 15).
Questa firma di famiglia comincia a comparire nel 1734, quando i due artisti lavorano in coppia, essa comparirà assieme alle firme isolate fino al 1781, a margine della Madonna con Bambino ed i santi Vincenzo e Giacinto nella chiesa di San Francesco a Matera.
Il più famoso dei fratelli, Antonio, nato a Napoli il 17 gennaio del 1712, si ispira nella seconda metà del secolo XVIII, oltre che al De Matteis, di cui è a bottega, agli esempi del Giordano e del Solimena, lavorando nelle chiese di Napoli e provincia e molto anche fuori della regione in Calabria e Puglia.
Il suo stile è facilmente riconoscibile e si esprime in una prosa meno alata dei grandi artisti che dominano la scena, ma soddisfacendo una vasta committenza esclusivamente ecclesiastica.
Egli cerca di recuperare, se non l’inimitabile seduzione cromatica dei modelli di riferimento, almeno la freschezza dell’intonazione devozionale e la sapidità del racconto.
Frequentemente dei suoi quadri transitano nelle aste, anche internazionali, come nel caso di un originale San Palladio (fig. 16), vescovo di Embrun, firmato e datato 1768, esitato nel maggio del 2000 in un’asta presso l’Alcalà Subastas a Madrid o di una coppia, un Gesù e San Giovanni Battista (fig. 17) ed un Tobiolo e l’angelo (fig. 18), anche essa firmata, venduta da Christie’s a Roma nel dicembre del 2004.
Di grande qualità i due dipinti passati sul mercato italiano di recente: una Santa Genoveffa (fig. 19), almeno così identificata dal curatore della scheda del catalogo, che richiama a viva voce la Beata pastora (fig. 20) della chiesa di Santa Caterina a Chiaia ed un’Annunciazione (fig. 21), esitata presso la Finarte di Roma nel febbraio del 2008 e risultata poi rubata dalla quadreria dell’ospedale degli Incurabili (fortunatamente recuperata dai carabinieri e restituita al legittimo proprietario).
La prima tela (170 – 117), firmata e datata 1748, offre un’immagine idilliaca della santa, di pieno gusto rococò, sia nell’impostazione arcadica della scena che nella scelta di una gamma di colori tenui, in cui prevalgono i rosa e gli azzurri. Vestita da pastorella, con la verga ricurva ed un cappello a larghe tese sul capo, circonfuso da un’aureola di luce, Genoveffa (442c – 500c), santa patrona di Parigi, la cui storicità è peraltro discussa, specie per quanto concerne l’infanzia, accompagnata da un angioletto, sorveglia affettuosamente il suo gregge, accarezzando l’agnello che le si è avvicinato. Dal cielo, altri angioletti assistono alla scena, mentre sullo sfondo un altro angelo, recante il cero acceso, caratteristico attributo della santa, scende precipite dal cielo.
L’Annunciazione (177 – 200) firmata Ant.us Sarnelli e datata 1773, si ispira ed una opera dello spesso soggetto, eseguita dall’artista negli stessi anni e posta a sinistra della controfacciata nella chiesa di San Giuseppe a Chiaia.
Il pittore si rifà ad alcuni modelli del Giordano, quali quello del Metropolitan, di collezione Castro Del Rio ad Espero e Molinari Pradelli a Marano di Castenaso, dei quali cerca di recepire la lucentezza dei colori e la genuinità della carica devozionale.
Lo Strazzullo nel 1962 segnalava la presenza del dipinto nella chiesa di Santa Maria del Popolo agli Incurabili, dichiarando che era disperso da tempo e citava la vecchia scheda inventariale della sovrintendenza compilata dal D’Irpi nel 1932.
La tela era già transitata presso Finarte a Roma il 20 maggio del 1985 (lotto 411) senza destare sospetti, cambiando proprietà.
Numerose sono le opere chiesastiche di Antonio e sarebbe inutile enumerarle tutte.
Una grande concentrazione di tele da lui firmate o documentate è situata nelle chiese di Chiaia. Per un elenco minuzioso di quelle napoletane rinviamo alle pagine della Napoli Sacra rivisitata nel 1985 dagli studiosi della sovrintendenza sotto la direzione di Spinosa.
La sua prima opera documentata è un Madonnina nella chiesa di Sant’Arcangelo a Baiano, citata dallo Strazzullo ed oggi dispersa ed una Madonna con Bambino in collezione privata, entrambe del 1731.
Napoli
San Gregorio Armeno - Madonna coi Santi Antonio da Padova e Pantaleone (1775, f. e d.)
San Pietro ad Aram - Immacolata (1767, f. e d.)
San Giuseppe a Chiaia - Annunciazione; Sogno di San Giuseppe
Santa Lucia al Monte - San Giovanni Giuseppe della Croce (con bozzetto in rame in c. privata)
Sant’Anastasia (NA)
Santuario della Madonna dell’Arco - varie tele (1774-1777)
San Salvatore Telesino (BN)
Parrocchiale dell’Assunta - San Leucio; Ultima Cena
Capua (CE)
Annunziata - Madonna di Costantinopoli (1754)
Maddaloni (CE)
Sant’Agnello - Cristo e la Vergine con i Santi Francesco e Chiara
Grottaminarda (AV)
Santa Maria Maggiore - Immacolata (1766); San Tommaso e San Rocco adorano il SS. Sacramento (1766)
Aliano (MT)
San Luigi - Assunta; Affreschi
Matera
San Domenico - Madonna col Bambino e San Domenico (1751)
Tramutola (PZ)
Chiesa Madre - Incoronazione della Vergine
Morano Calabro (CS)
Collegiata della Maddalena - Miracolo di San Francesco Saverio (1747); Madonna del Rosario; Annunciazione tra i Santi Girolamo e Nicola di Bari (1747)
Mormanno (CS)
Santa Maria del Colle - Incoronazione della Vergine
Soriano Calabro (VV)
San Domenico - Il Crocifisso e la Vergine parlano a San Tommaso d’Aquino
Taverna (CZ)
Museo Civico - varie tele databili al 1734
Tra il 1748 ed il 1751 Antonio e Giovanni eseguirono una serie di affreschi in palazzo Partanna, dei quali esistono poche tracce nell’attuale sede dell’Unione industriali di Napoli. Meno copiosa la produzione di Giovanni, il quale nasce a Napoli il 23 giugno 1714 ed ivi morirà nel 1793.
La sua tela più antica è del 1738: una Vergine in collezione privata spagnola a Cartagena citata da Urrea Fernandez.
In provincia ricordiamo, pubblicata dalla Buricco, una Consacrazione della Vergine tra Sant’Anna, San Gioacchino e San Francesco (fig. 35), datata 1766 e conservata nella chiesa di Sant’Anna a Sesso Aurunca, nella quale “la figura di Sant’Anna trova corrispondenza con la santa che il fratello Antonio aveva dipinto nel 1754 per la chiesa dell’Ave Gratia Plena di Capua. Alla sua giovane figura si contrappone l’anziano Gioacchino, davanti al quale è posto San Francesco in relazione alla circostanza che alla chiesa era annesso un monastero di terziarie francescane. La scena si conclude con l’Eterno Padre verso il quale è innalzata la piccola Maria, il cui volto sembra essere preso puntualmente dal volto della Vergine Assunta che sei anni prima Antonio aveva dipinto nella chiesa dell’Annunziata. Una folla di angeli e cherubini corona la composizione”(Buricco).
Le sue opere più importanti sono conservate nella chiesa di Santa Maria del Carmine e sono state eseguite in date diverse: gli episodi della vita del beato Franco (fig. 36 – 37) sono del 1751, mentre un San Gennaro e Sant’Irene (fig. 38) ed un San Gregorio che celebra la messa (fig. 39) vengono realizzati nel 1774.
Incerta è l’attribuzione del San Domenico (fig. 40) della chiesa della Santissima Maria di Caravaggio a Barra.
Le ultime opere firmate e datate da Giovanni, che morirà come abbiamo visto nel 1793, sono la Conversione di San Paolo (fig. 41), nella chiesa dei Padri della Missione ai Vergini e un San Giuseppe con Bambino nei locali dell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei nudi, entrambe del 1787.
Sulla mensa dell’altar maggiore dell’Abbazia di Montecassino, riprodotta infinite volte in figurine devozionali e proveniente dal monastero di San Biagio d’Aversa, è collocata una Mater purissima (fig. 22), copia con minime varianti da un originale del De Matteis, distrutto dai bombardamenti, firmata sul retro Sarnelli 1737, una sigla che caratterizzerà a lungo prodotti frutto della collaborazione tra Antonio e Giovanni.
Nell’archivio di Ferdinando Bologna vi è un Cristo e l’adultera (fig. 23), di collezione privata napoletana, firmato Ant. us Sarnelli 1748, di elevata qualità, per il quale esiste una polizza di pagamento per venti ducati estinta il 9 gennaio 1749.
In provincia a Forio di Ischia, nella chiesa di Santa Maria di Loreto vi è un San Giuseppe (fig. 24), firmato Sarnelli, da me pubblicato nel volume Ischia Sacra.
A Sessa Aurunca, pubblicati dalla Buricco, vi sono, nella chiesa dell’Annunziata, firmate e datate 1760, due grosse pale d’altare raffiguranti un’Assunzione della Vergine (fig. 25) ed un San Leone in gloria (fig. 26).
Nel Museo del Sannio, a Benevento vi è poi uno splendido dipinto, dai colori vivacissimi, un’Incoronazione della Vergine (fig. 27), datata 1771, un anno particolarmente felice della sua produzione.
Tra i dipinti nelle chiese napoletane segnaliamo: un’Adorazione dei pastori in San Francesco degli Scarioni (fig. 28), un originale quanto esplicativo Ecce Homo (fig. 29) ed uno Sposalizio mistico (fig. 30) in Santa Caterina a Chiaia, un’Immacolata e santi (fig. 31) ed un San Pietro d’Alcantara (fig. 32) in San Pasquale a Chiaia, un Transito di San Giuseppe (fig. 33) in Sant’Antoniello a Portalba ed infine, molto importante, una Sacra Famiglia (fig. 34), firmata Ant. Sarnelli 1769 e nella quale compaiono i ritratti dei primi due allievi cinesi del Collegio, Giovanni In e Lucio Vu.
Antonio muore nel 1800 e le sue ultime opere risultano le due tele Vergine con Bambino e Gesù in gloria e santi provenienti dalla Sacra Famiglia ai Cinesi.
Ricordiamo infine alcune opere che non abbiamo citato nella discussione situate a Napoli, ma anche in Campania e fuori regione.
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