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venerdì 16 marzo 2012

Guantanamo e Poggioreale

21/7/2006


Giorni fa il ministro D’Alema, in visita negli Stati Uniti, ha severamente ripreso la signora Condoleeza Rice, invitando il Presidente Bush a chiudere lo scandaloso campo di concentramento di Guantanamo, dove vengono torturati i prigionieri e violati i più elementari diritti umani. Ma perché il nostro uomo politico non si reca in visita nel carcere di Poggioreale, dove, quotidianamente, pervicacemente, ostinatamente vengono praticate agli ospiti… ben più gravi violenze, ben più subdole torture, in termini di affollamento ed annientamento della dignità umana. 
Attorno al “Pianeta carcere “ da sempre vige un silenzio assordante dei mass media e delle istituzioni. Inoltre, ed è l’aspetto più triste della vicenda, da parte dell’opinione pubblica vi è non solo disinteresse, ma la volontà di non interessarsi, di non sporcarsi le mani ed il cervello al contatto di problematiche che riguardano chi ha sbagliato ed ha contratto un debito verso la società. In tal modo si commette il grave errore di dimenticare una drammatica verità, costituita dal fatto che i 2/3 dei detenuti sono in attesa di giudizio - per cui, secondo la nostra Costituzione, innocenti - e, di questi, oltre il 60% sarà assolto alla fine del giudizio, naturalmente dopo essere stati distrutti, moralmente e fisicamente e con loro, i loro familiari. 
La vita dei carcerati è una realtà scottante, ma alla pari dell’eutanasia, dell’omosessualità, della follia, della droga, dell’aborto non interessa, in maniera trasversale, l’intera classe politica, perché non solo non procura voti, bensì fa perdere consensi non appena si accenna all’argomento. 
Il livello di civiltà e di democrazia di un Paese si valuta a seconda del modo in cui vengono trattati i più deboli e non esiste categoria più abbandonata e negletta della popolazione carceraria, privata non solo del bene più prezioso per un individuo: la libertà, ma costretta, per il disumano sovraffollamento delle nostre infernali “caienne”, a subire una infinità di pene accessorie più varie, dalle violenze sessuali alla sporcizia obbligatoria, stipati come bestie in gabbia, fino a limiti allucinanti di 16 persone in una cella di 4 metri per 4, più una squallida ed angusta latrina per i bisogni corporali, per lavarsi e per lavare le stoviglie dopo i pasti. 
Napoli, come sempre, quando si tratta di record negativi è in testa alla classifica con il sovraffollamento da quarto mondo dei suoi penitenziari, al cui confronto i gironi infernali danteschi impallidiscono miseramente. Il carcere di Poggioreale, come riferito ufficialmente all’inaugurazione dell’anno giudiziario, può contenere al massimo 1276 detenuti, ma ne ha avuti in media 2199. Quest’anno, pur rimanendo invariata la capienza, abbiamo appreso che si è raggiunto il record di 2386 detenuti. Eureka!! 
In queste disperate condizioni, prive di qualsiasi dignità, naturalmente qualsiasi tentativo di recupero è mera utopia: diritto allo studio, al lavoro, ad un minimo spazio vitale rappresentano chimere irraggiungibili. 
E così ogni giorno si calpesta e si ignora sfacciatamente il terzo comma dell’articolo 27 della nostra Costituzione, il quale recita solennemente: ”… le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. 
Inoltre, alle disperate condizioni di vita nei penitenziari si associano ulteriori disfunzioni, quali la esasperante lentezza con cui i giudici di sorveglianza esaminano le posizioni dei detenuti, che avrebbero diritto ad uscire dal carcere ed usufruire del regime di semilibertà. Anche tutti gli altri istituti di pena campani soffrono di condizioni di sovraffollamento più o meno gravi e di condizioni di vivibilità ai limiti dell’incubo. Un discorso a parte merita il famigerato “41bis”, un regime di ulteriore grave restrizione delle libertà personali in aggiunta a tutte le limitazioni della carcerazione. Una normativa ignota negli altri Stati europei, che, applicata con severità, può sconfinare in un trattamento che nel diritto internazionale ha un nome ben preciso : tortura, anche se solo psicologica. 
Alla fine di questo angoscioso tunnel non si riesce ad intravedere che una luce fioca, la cui esiguità sembrerebbe togliere ogni speranza ai detenuti ed ogni desiderio di proseguire la lotta ai pochi uomini di buona volontà, che da tempo combattono, ad armi impari, contro inique ingiustizie. 
Ed i benpensanti si scandalizzano appena si accenna ad un qualsiasi provvedimento di grazia, evidentemente il Papa che l’aveva invocata davanti al Parlamento era un povero pazzo, illuso e visionario. Una sola proposta che possa suonare da minaccia: cosa aspettiamo a portare lo Stato italiano davanti alle Corti di giustizia internazionali!?

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