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domenica 18 marzo 2012

Carlo Coppola

31/1/2007


Pittore ancora poco conosciuto nell’ampio panorama figurativo napoletano attivo intorno alla metà del secolo XVII, Carlo Coppola fa parte della variegata bottega di Aniello Falcone, nella quale occupava certamente una posizione di rilievo ed era benvoluto da tutti, come si evince dalle parole del De Dominici, che dell’artista ci tramanda poche notizie a margine delle pagine dedicate al celebre maestro. 
Oltre che notevole battaglista, egli fu abile anche nelle scene di martirio ed in quadri storici e di vedute. Impregnato della cultura tardo manierista di Belisario Corenzio, ebbe due sfere di attrazione: il Falcone ed il Gargiulo. Dal primo prende ispirazione per i quadri di battaglia e gli esempi del suo maestro sono utilizzati come repertorio di immagini stereotipate, rese con toni caldi e colori scuri, mentre nei martiri e nei quadri storici le soluzioni di maggiore libertà pittorica e chiaroscurale, prelevate da Micco, sono molto marcate.
Altri debiti culturali sono contratti con Callot, con il Tempesta, con Scipione Compagno e con Andrea Di Lione.
Egli fu attivo per oltre venti anni, dal 1640 al 1665 ed il suo catalogo, interessante perché testimonianza di un particolare momento storico e dei gusti della committenza privata, è ancora da definire, anche se molti suoi lavori sono siglati.
Nessun dato biografico, se non la certezza che l’allievo sopravvisse al maestro, morto, come sappiamo, nel 1656. “Colui passeggiando tutto il dì da gentiluomo cinto di spada e pugnale, dipingeva poi la notte, con gran lume, il perché a capo a qualche tempo divenne cieco, onde non potendo più dipingere, ricorreva dal suo maestro, che lo sovveniva per nutricare la sua famiglia, e dopo la morte di quello, da Micco Spadaro, che molto lo compativa, e si erano amati infin dalla loro gioventù essendo condiscepoli”. Un aneddoto sicuramente verosimile e che giustificherebbe la diversa qualità dei dipinti assegnati dalla critica con certezza all’artista perché siglati. Probabilmente un’affezione progressiva limitò la possibilità di dipingere del Coppola, che si sarà servito, più che dell’aiuto dei due validi colleghi, di qualche mestierante della bottega, che sotto la sua guida eseguiva le composizioni alle quali lui si limitava ad aggiungere la caratteristica sigla CC. 
I documenti di pagamento dei suoi dipinti oscillano dal 1653, quando ritocca 118 quadri di proprietà del duca di Monteleone, al 1665, quando riceve un acconto per un quadro raffigurante un martirio di Santo Stefano di palmi 5 e 4. La lettera informativa sullo stato delle arti a Napoli, fatta conoscere dal Ceci, che Pietro Andreini inviò al cardinale Leopoldo De Medici segnala brevemente l’attività del Coppola, che viene così descritto: “Chiaro non meno nella pittura che per la bravura, lavorò con molto spirito le battaglie ed i paesi. Morì 15 anni sono.
Il Ceci non conosceva con esattezza quando tale nota fosse stata inviata, ma ora noi sappiamo, grazie alle ricerche del Ruotolo (1982), la data esatta: 20 settembre 1675. E’ evidente che documenti di pagamento e quanto riferito dal biografo non collimano per cui la data di morte dell’artista rimane avvolta nel mistero ed a nulla varrebbero ricerche negli archivi parrocchiali napoletani per le difficoltà dovute alla grande diffusione sia del nome che del cognome.
Per inciso segnaliamo che la Consigli, in un suo volume, nelle biografie dei battaglisti, indica il 1672 come data di morte del pittore, ma ignoriamo in base a quale fonte. Altri biografi accennano all’artista, lo Zani lo descrive ancora all’opera nel 1660, il Lanzi ed il Ticozzi, lo fanno vivente nel 1665 e quest’ultimo lo dice nato intorno al 1620. Tra gli antichi, Dalbono ricorda due sue opere siglate, mentre di lui parlano anche il Rolfs ed il Ceci, che compila la sua scheda per il Thieme-Becker. Il De Rinaldis, in un inventario del 1911, rammenta una sua Marcia di soldati, siglata, conservata nella pinacoteca napoletana e poi ceduta in deposito ad altro istituto. 
Ritorniamo alle parole del De Dominici: “ Fece assai bene di battaglie, e tanto che molte volte le opere sue si cambiano con quelle dello stesso Maestro, ma tanto i soldati, quanto i cavalli del Coppola hanno una certa pienezza più di quelli del Falcone, e massimamente le groppe de’ cavalli sono assai rotonde, il che a cavalli da guerra non molto conviene”.
Come sempre il celebre biografo riesce acutamente a definire lo stile di un autore ed a mettere in risalto un aspetto importante della sua attività, che ha contribuito a confondere parte della sua produzione migliore con l’opera del maestro. Infatti, nonostante l’abitudine di siglare le sue opere, la disonestà dei mercanti, abili col raschietto, ha spesso, non solo ai tempi del De Dominici, fatto passare per Falcone battaglie del Nostro, mentre più di una scena di paese, viene assegnata dalla critica al Gargiulo, compagno di bottega, che negli ultimi anni ha incontrato, grazie ad un’esaustiva monografia e ad una mostra molto curata, un cospicuo successo commerciale. 
Un modo per riconoscere il pennello del Coppola nei dipinti non firmati è quello di osservare attentamente le terga e la coda dei suoi cavalli, presenti non solo nelle battaglie, ma anche nelle scene di martirio. Le prime sono sempre imponenti, poderose e di evidenza scultorea, mentre la coda è costantemente vaporosa e ricchissima di crini, che arrivano fino a terra. Un dettaglio che, per la sua originalità, costituisce una sorta di sigla nascosta e che possiamo osservare nel Martirio di Sant’Andrea, di collezione romana, nella Lapidazione di Santo Stefano, passata nel 1994 sul mercato antiquariale, nella Crocefissione di San Pietro, in asta presso Semenzato, Milano 1991, nei Cavalieri con armatura a cavallo, passato come De Lione in un’asta Semenzato del 2003 ed in opere forse di bottega, come la Scena di Battaglia, della raccolta de Bellis di Roma (fig. 1-2-3-4-5).I suoi cavalieri indossano elmi piumati ed i destrieri si stagliano imponenti in primo piano, mentre sullo sfondo la scena del combattimento è dominata da castelli turriti e paesaggi collinari.




Al momento nessuna battaglia è databile con precisione, anche se è possibile identificare quelle eseguite nella seconda metà del Seicento, di più bassa qualità, che accolgono, anche se parzialmente, le montanti istanze barocche. Vi è poi una serie di quadri, eseguiti certamente in collaborazione della bottega, nei quali la tensione dinamica scema a livello descrittivo e questi dipinti si confondono in quel mare magnum che sul mercato passa generalmente come opera di Ciccio Graziani e della sua cerchia.
L’Ortolani ritenne di sciogliere la sigla presente nella celebre Battaglia tra Turchi e crociati (fig. 6) di Aniello Falcone, conservata al Louvre, come iniziali di Carlo Coppola ed attribuì al Nostro il dipinto, il quale oggi è unanimemente considerato autografo del maestro.


Opera giovanile è considerata dalla critica l’Assedio di Napoli (fig. 7), siglata, già in collezione Menotti Bianchi a Napoli e passata sul mercato antiquariale negli anni Settanta. Essa è costituita da un prelievo di invenzioni da vari specialisti e da strette attinenze ai modi pittorici di Aniello Falcone.


A questa tela si può accostare il potente Giosuè che ferma il sole (fig. 8), di una raccolta privata romana, pregno di tangibili rimandi al tardo manierismo.
Nel tondo raffigurante un Cavaliere rampante su sfondo di battaglia (fig. 9), siglato, esitato nel 1993 alla Finarte di Milano, dotato di una scattante resa esecutiva con il guerriero che emerge in controluce e nello Scontro di cavalieri (fig. 10), anche esso contrassegnato dall’inconfondibile ”CC” intrecciato, di collezione privata romana, possiamo avvertire stringenti assonanze con tele di Scipione Compagno e di Filippo Napoletano, la cui produzione come battaglista è ancora da scandagliare in profondità e la cui eco possiamo apprezzare anche nelle due figure poste sulla destra nella Crocefissione di Sant’Andrea.


Tra i dipinti tradizionalmente assegnati al Coppola figura il Tribunale della Vicaria (fig. 11), conservato al museo di San Martino e proveniente da un dono del Banco di Napoli. Il quadro raffigura l’abituale confusione nel largo prospiciente l’ex fortezza di Castelcapuano, all’epoca già sede dei Tribunali napoletani con una variopinta folla di postulanti e mercanti, mentre giudici ed avvocati escono da eleganti carrozze. In primo piano, oltre al saponaro che espone la sua mercanzia, è possibile osservare una singolare consuetudine di quei tempi riservata ai debitori insolventi: il cedo bonis, una vergognosa esposizione al pubblico ludibrio per esternare ai creditori la propria insolvenza, sottoponendosi alla tortura della corda. Ancora oggi nel museo è conservata la colonna alla quale veniva strettamente legato lo sfortunato debitore, a ricordo di tempi tumultuosi, quando non imperavano impuniti gli assegni a vuoto ed i creditori godevano di un minimo di garanzia.


I più famosi quadri di storia del Coppola sono i due conservati al museo di San Martino: Scena della peste del 1656 e Resa della città di Napoli a Don Giovanni D’Austria (fig. 12 - 13).
Il primo è siglato sulla portantina a sinistra CCO e, prima dell’identificazione delle iniziali, era stato correttamente attribuito dall’Ortolani, il quale sottolineava l’influsso del Corenzio e lo collocava al periodo giovanile dell’artista. La visuale è impostata su di uno schema spaziale elementare in sintonia con le opere della cerchia del Tassi eseguite a Roma entro il quarto decennio del secolo. Le figurine viceversa richiamano a viva voce il pennello del Gargiulo, anche se la sua fluida libertà espressiva decade in scarsa cura delle definizioni e dei particolari topografici. Piazza Mercato, allungata a dismisura, sembra chiudersi alle pendici del Vesuvio, mentre in alto troneggia una scritta didascalica a carattere devozionale, con la Madonna e San Gennaro che, circondati dagli angeli, chiedono a Gesù di far cessare la peste. La scritta trasforma il quadro, prezioso documento di un fatto storico, in un gigantesco ex voto, a testimoniare una moda che, cessato il morbo, influenzò vistosamente la committenza napoletana.
La seconda tela, pendant della precedente, anche essa siglata, rammenta un importante episodio della storia napoletana avvenuto nel 1648, come ammonisce la scritta sul nastro svolazzante posto nella parte alta della composizione, che recita severo “La resa della città di Napoli a Sua Altezza serenissima Don Giovanni D’Austria”.
La narrazione, nonostante gli eventi serrati e drammatici descritti, come la fila di teste mozzate in bella mostra, si risolve tutta in un ampio primo piano con i cortei di cavalieri rigidamente impostati. Le ombre dominano lunghe ed opprimenti e fanno contrasto con le pennellate rosse ed azzurre che vivacizzano la scena. 
Sempre al museo di San Martino si conserva un altro quadro di storia del Coppola, databile al 1647, raffigurante una Veduta di Palazzo Reale con il cardinale Filomarino che visita il viceré. Sono inoltre presenti una Veduta di un porto ed una Battaglia. Nella pinacoteca di Capodimonte era presente una Marcia di soldati, siglata, citata nell’inventario del De Rinaldis, che fu ceduta in deposito ad altro istituto e non siamo riusciti a rintracciarla. 
I dipinti di martiri del Coppola sono superiori di numero alle stesse battaglie, per le quali l’artista era famoso e fanno di lui, assieme a Domenico Gargiulo, a Niccolò De Simone ed a Scipione Compagno, uno dei maggiori specialisti del genere, che riscosse grande successo tra i collezionisti napoletani nel quarto decennio del XVII secolo. Questi quadri consolidano la considerazione di un artista abile nelle storie a figure piccole, non assimilabili alle bambocciate.
Nella Decollazione di San Gennaro (fig. 14), di collezione privata londinese, presentato alla mostra sulla Civiltà del Seicento ed assegnato all’artista dal Causa la scena si presenta come una quinta teatrale, con l’episodio principale in primo piano, mentre sullo sfondo, circondato da brulle colline si staglia la lumeggiante Solfatara. Alcuni dei personaggi raffigurati sembrano prelevati dall’Elemosina di Santa Lucia del Falcone, a dimostrazione dell’influsso del maestro, al quale il Coppola unisce una forte suggestione dalle incisioni del Callot, oltre ad una profonda conoscenza delle opere di Filippo Napoletano.


Un’altra redazione del Martirio di San Gennaro(fig. 15), proveniente dal mercato americano è stata di recente presentata a Napoli alla mostra sui Campi Flegrei. La tela, anch’essa di grandi dimensioni, è siglata sul cavallo bianco a sinistra, il quale, stranamente, presenta la coda legata, inconsueta nel Coppola. La serrata composizione delle figure ci conduce al periodo d’oro dell’artista, intorno alla metà del secolo. L’iconografia del martirio è pienamente rispettata, con il governatore che assiste alla scena, la bandiera rossa sventolante e guerrieri a cavallo che tengono a bada la folla. Gennaro in abiti vescovili attende bendato il fendente fatale, sorte comune ai suoi compagni. La composizione è affollata di personaggi minori, che si accalcano per assistere al macabro spettacolo, mentre sullo sfondo il desolato panorama della Solfatara e bianchi destrieri al trotto.
La Lapidazione di Santo Stefano comparve nel 1994 sul mercato antiquariale romano e rappresenta, fuori dalle mura di Gerusalemme, il martirio del santo, che fu il primo a versare il suo sangue in testimonianza della fede per Cristo. Infatti, secondo gli Atti degli Apostoli(6, 7), egli, mentre svolgeva il suo compito di diacono con grande successo, fu ingiustamente accusato di aver bestemmiato dio; giudicato colpevole fu lapidato nel 37 d.C. a furor di popolo.
Il dipinto dai colori vivaci è da collocare al quinto decennio del secolo e presenta al centro della scena il martire dal collo e dalla testa allungati, che ricorda da vicino le figure dello Schoenfeld, l’artista svevo allora presente a Napoli con reciproci scambi culturali con gli artisti della cerchia falconiana, principalmente col Gargiulo, mentre le due guardie in corazza sulla sinistra riprese di spalle, con il cavallo bianco dalle terga poderose e dalla lunga coda, si ritrovano in molte altre opere del Coppola. 
Il Martirio di San Lorenzo (fig. 16), passato in un’asta Sotheby’s a Londra, siglato, di dimensioni maggiori delle consuete, proviene dalla collezione del marchese di San Leucio, Filippo Pisacane, ove si trovava assieme ad altre opere del Nostro, come veniamo a conoscenza da un inventario stilato nel 1702(Archivio di Stato di Napoli, scheda 508, prot. 63, F. 512).

L’episodio ritratto descrive il martirio del santo, diacono della chiesa romana in Spagna nel terzo secolo, il quale si rifiutò di consegnare al prefetto il tesoro della comunità, per cui nel 258 subì il supplizio di essere arso vivo sulla graticola. Il quadro, dotato di cromatismo vivacissimo è da collocare nell’attività matura del nostro artista, perché, nonostante l’adozione di un formato di dimensioni superiori alla media spenga in parte la potenza espressiva, il suo solido impianto naturalistico ed il suo rude pittoricismo, di mediazione stanzionesca, gli permette ugualmente di raggiungere una notevole qualità.
Alcuni elementi, ad esempio la grande figura a torso nudo presa di spalle sulla sinistra, sono una costante dello stile del Coppola ed anche altri personaggi, come la donna che allatta il bambino in primo piano ed alcuni vecchi con barba e turbante, presentano delle caratteristiche fisionomiche così ripetitive che ci permettono di attribuire al pennello del Nostro altri dipinti, come la Crocefissione di San Pietro, passata ad un’asta Semenzato nel 1991 con un’errata attribuzione a Niccolò De Simone.
Questo dipinto, di non grande qualità, si inserisce nella tradizione dei martiri e raffigura San Pietro, il quale, come è noto, fu crocifisso a testa in giù in segno di umiltà nei confronti di Cristo, durante la persecuzione ordinata dall’imperatore Nerone. L’attribuzione è resa facile dallo studio della fisionomia di vari personaggi presenti in altri lavori dell’artista siglati: dalla donna vestita di rosso sulla destra con lo stesso volto ovale della madre che allatta in primo piano nel Martirio di San Lorenzo, da far pensare all’uso della stessa modella, all’uomo a torso nudo, ripreso di spalle in primo piano, una costante di quasi tutti i lavori del Coppola. Ed inoltre i volti ed i turbanti dei vecchi barbuti identici a quelli del Martirio di Sant’Andrea, siglato ed i due guerrieri con corazza ripresi di spalle con il patognomonico cavallo dalla coda vaporosa, tanto caratteristica da costituire una sorta di firma nascosta.
Per finire descriviamo la Crocefissione di Sant’Andrea, di collezione privata romana, siglata sulla coscia del destriero a sinistra, nella quale il Santo è sottoposto al supplizio utilizzando una croce di forma originale a sviluppo diagonale, che prenderà in seguito nome dal martire. Il solito vecchio barbuto, col caratteristico turbante sulla sinistra si contrappone a due armigeri sulla destra, che richiamano la lezione di Filippo Napoletano ed in primo piano l’elegante cavallo bianco con la fluente coda che arriva fino a terra. 
L’inventiva è piuttosto elementare con la posizione centrale del santo, da cui si diverge la diagonale compositiva di destra, dominata da un paesaggio di chiara ispirazione spadariana.
Altri dipinti, certi perché siglati, trattano temi diversi dalla battaglia o dalle scene di storia napoletana, come Ruben al pozzo (fig. 17) conservato al museo Diocesano di Salerno e più conosciuto, semplicisticamente, come Giuseppe e i fratelli. Il poco noto personaggio biblico, figlio primogenito di Giacobbe e capostipite della tribù omonima, ebbe parte attiva nella resistenza dei fratelli contro Giuseppe ed il Coppola lo ritrae mentre sta scoperchiando il suo pozzo per abbeverare le bestie. 

Nella tela, oltre all’influsso del Gargiulo, l’artista sembra risentire, non solo nel paesaggio, della lezione di Andrea Di Lione. I chiaroscuri sono accentuati alla Falcone, mentre traspare evidente la conoscenza delle coeve incisioni di Jacques Callot, fonte ispirativa anche per la Crocefissione di Cristo (fig. 18) del museo Puskin di Mosca, in passato assegnata al Gargiulo e che, viceversa, richiama a gran voce il pennello del Nostro.

Nel Paesaggio marino(fig. 19), siglato, della collezione di Ciro Paone, osserviamo numerosi elementi classici del paesaggismo napoletano, dall’imponente scoglio in primo piano alle guizzanti figurine dei pescatori.
Un altro dipinto dall’originale iconografia è San Pietro ed il pesce (fig. 20), già a L’Aja nella collezione di Vitale Bloch ed attualmente in collezione privata a Parigi. reso noto dal Causa nel 1972, quando il Coppola era quasi sconosciuto. Una composizione a figure grandi nella quale risalta la lucentezza metallica degli elmi dei soldati, un dettaglio presente in molti quadri di battaglia. Sullo sfondo uno scorcio di paesaggio tra Spadaro e Di Lione. L’episodio descritto è collegabile alla pesca miracolosa narrata da Giovanni (21, 1- 19) ed è alquanto raro in pittura.


Gennaro Aspreno Galante nella sua Napoli sacra segnala un’attività del Coppola come affrescatore nella chiesa di San Domenico Soriano:” nella cappella a manca, sacra primamente a San Nicola, i fatti del Santo a fresco nella volta sono di Carlo Coppola o Coipler, quelli nel sottarco e nei laterali portano la cifra G.A.P.”
Oggi purtroppo nella chiesa restano solo gli affreschi nei sottarchi.
In passato al Coppola sono stati assegnati quadri di natura morta, sia dal D’Elia che dal Bologna, frutto di una confusione nella lettura della sigla (G.C. invece di C.C.) come già dal 1972 ebbe a sottolineare il Causa. Una confusione cominciata nel 1938 quando l’Ortolani, in occasione della grande mostra di Napoli su tre secoli di arte partenopea, attribuì al Nostro, esponendolo nella IX sala, un’Adorazione dei Magi, proveniente dagli Uffizi, di mano del pittore pugliese Giovanni Andrea Coppola, un artista chiaramente di scuola romano emiliana. 

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