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sabato 15 giugno 2024

Presentazione del capolavoro di Achille della Ragione


Venerdì 5 luglio alle ore 21:30, nei saloni dell'Hotel Villa Angela, a Forio d'Ischia (località Panza). Ci sarà la presentazione dell'opera di Achille della Ragione: "Il secolo d'oro della pittura napoletana"

Saranno presenti due televisioni ed i redattori dei quotidiani dell'isola. Seguirà un rinfresco.

Per chi volesse leggere il testo completo dei 10 tomi del libro deve digitare il link

http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo39/articolo.htm

Nel frattempo proponiamo ai lettori un articolo sull'argomento da me scritto e che anni fa, fu pubblicato sulla rivista Napoli nobilissima.


LA PITTURA DEL SECOLO D'ORO

La pittura napoletana del Seicento è giustamente ricordata come il “Secolo d’oro” per i numerosi artisti che si espressero con punte di livello europeo, come il Caravaggio, che soggiornò due volte nel primo decennio e con i suoi quadri: Le sette opere di misericordia, La Madonna del Rosario e la Flagellazione, rivoluzionò la scuola locale ancorata ad una parlata provinciale e a moduli tardo cinquecenteschi di matrice raffaellesca, manierista e fiamminga.

1-Caravaggio: La flagellazione di Cristo,
Capodimonte Napoli


2-Battistello Caraccciolo: La fuga in Egitto,
Capodimonte Napoli

Tra i suoi più importanti seguaci citiamo Giovan Battista Caracciolo, detto il Battistello, il primo ad assimilare il nuovo verbo caravaggesco inteso soprattutto nei suoi valori luministici. Egli utilizzò l’effetto luce per definire le forme con un vivace contrasto nel chiaroscuro dai toni bronzei ed un disegno netto ed accurato, come possiamo apprezzare nella Madonna nella fuga in Egitto, conservata a Capodimonte. Una interpretazione di grande efficacia con un’attenta cura del dettaglio naturalistico, vedi la Salomè degli Uffizi. Fu in seguito ad un suo viaggio a Roma influenzato anche dalla lezione carraccesca, ben evidente nelle sue magniloquenti opere successive al 1620 come gli affreschi nella chiesa del Gesù Nuovo ed i dipinti per la certosa di San Martino.

Jusepe Ribera, spagnolo naturalizzato, portò il luminismo caravaggesco a forme esasperate con un nudo realismo, che dava risalto ai particolari più realistici, spesso macabri ed un compiacimento nell’indulgere nella descrizione del disfacimento fisico con corpi straziati dal martirio o vecchi macilenti, con pennellate dense, cariche di colore ed un sapiente dosaggio di effetti luministici, come possiamo apprezzare nel Martirio di San Bartolomeo del 1630, conservato al Prado. Nel quarto decennio, per influsso del classicismo bolognese, il suo stile subì una variazione nella tavolozza con colori chiari, un modellato più morbido e composizioni pacate, che volgono al patetico, come nel San Sebastiano di Capodimonte. Altre opere di grande livello da ricordare sono L’apollo e Marsia ed i Profeti e la Comunione degli apostoli nella certosa di San Martino.

Un altro pittore che esercitò una grande influenza nell’ambiente napoletano, con una vera e propria scuola fu Massimo Stanzione, il cui percorso stilistico parte da una formazione tardo manierista, evidente nella Presentazione al Tempio, del 1618, in una chiesa di Giugliano, per toccare un momento caravaggesco, nelle Storie di Cristo morto della Galleria Corsini a Roma, per sfociare poi, con il tangibile influsso del Reni verso forme più delicate e monumentali, come si evince nella Madonna del Rosario della chiesa di San Lorenzo o nei tardi dipinti per la certosa di San Martino.

3-Ribera: Martirio di San Filippo,
El Prado Madrid

4-Bernardo Cavallino: Santa Cecilia,
Capodimonte Napoli

Uno spazio a sé occupa Bernardo Cavallino, autore di dipinti, prevalentemente di piccolo formato a soggetto biblico, mitologico o cavalleresco, interpretati con sottile lirismo e contorni di racconto fiabesco. La ricostruzione del suo percorso artistico, che conosce anche un fugace momento caravaggesco, si basa su un solo dipinto, firmato e datato 1645, un Santa Cecilia, caratterizzata da uno stile originale e su accordi di colore delicati e privi di forti contrasti. Altre opere sue famose sono la Cantatrice, a Capodimonte, realizzati con un disegno elegante ed una grazia po’ languida, già di sapore settecentesco.

Lunghi soggiorni napoletani hanno anche pittori bolognesi: Domenichino, Reni e Lanfranco, responsabili di un tangibile influsso sull’ambiente figurativo locale in senso classicista.

Un altro artista trasferitosi all’ombra del Vesuvio come Ribera è Artemisia Gentileschi, la quale muta la sua tavolozza virando verso colori scuri. Rimarrà a Napoli per oltre 20 anni, salvo una breve interruzione, nel 1638, per recarsi in Inghilterra ad assistere il padre Orazio, anche lui grande pittore, gravemente malato.

I suoi soggetti drammatici e violenti, come le tante Cleopatre o le varie versioni di Giuditta e Oloferne, sono realizzate con un forte effetto di luce. Maestra del dettaglio raffinato, ebbe uno stretto rapporto alla pari di dare ed avere con i colleghi napoletani.

5-Artemisia Gentileschi: Giuditta ed Oloferne,
Capodimonte Napoli

6-Mattia Preti: Convito di Baldassarre,
Capodimonte Napoli

Il primo grande interprete della pittura barocca, che viene ad interrompere il corso del naturalismo napoletano fu Mattia Preti, detto il Cavaliere Calabrese, la cui permanenza a Napoli, di circa 8 anni, fu fondamentale sullo sviluppo delle arti figurativa locali. Egli seppe trasfondere nel Barocco i principi formali del caravaggismo. Egli si avvalse di una luce radente che utilizzava in funzione dinamica nelle sue composizioni affollate di personaggi in continuo movimento su fondali di cielo tempestoso o di scenografie architettoniche, in un ricchissimo repertorio di variazioni luministiche.

Egli rendeva i suoi personaggi con colori lividi, cianotici, ai limiti dell’anossia, come possiamo evincere nello spettacolare Convito di Baldassarre del museo di Capodimonte. Nel 1656 realizzò una serie di giganteschi ex voto sulle porte della città, tutti perduti ad eccezione di quello di porta San Gennaro, purtroppo coperto da una coltre di sudiciume: Per fortuna si sono salvati 2 bozzetti, conservati nella sala Preti a Capodimonte, uno dei quali raffigura la Peste.

Nel 1661, non riuscendo psicologicamente a reggere il confronto con l’astro Giordano, si ritirò a Malta, dove, oltre alla spettacolare Gloria dell’ordine, realizzata nella Co-Cattedrale di La Valletta, continuò per 40 anni a produrre, inviando tele in tutta Europa, sempre più aiutato da una valida bottega.

Antagonista del Preti fu Luca Giordano, il più fecondo pittore del Seicento napoletano. La sua prima fase risente dell’influsso del Ribera, le cui opere copiò, imitò ed a volte falsificò. Quindi numerosi viaggi di studio e di lavoro, che lo portano a contatto delle opere di Pietro da Cortona e dei Carracci. Ritorna a Napoli nel 1658 per una serie di importanti commissioni chiesastiche, da San Gregorio Armeno a Santa Brigida.

Un artista poliedrico e velocissimo, denominato per questa sua qualità: “Luca fa presto”. Ebbe la straordinaria capacità nell’assimilare ogni influsso di altri artisti, fonderlo e rielaborarlo in una cifra personale, caratterizzata da un cromatismo luminoso e da una pennellata fluida e sciolta. Ed a proposito di pennello si diceva maliziosamente che ne avesse uno d’oro, uno d’argento e uno di rame a secondo di quanto venisse pagato. Fu abile in egual misura nel cavalletto e nelle grandi imprese decorative come quelle eseguite nella galleria di Palazzo Medici-Riccardi di Firenze o negli appartamenti reali spagnoli, durante il decennio che trascorse nella penisola iberica, chiamato dal re Carlo II per decorare i vasti ambienti dell’Escorial e del Palazzo Reale di Madrid.

La sua produzione fu debordante e tra le tante opere ricordiamo il Gesù tra i dottori, conservato nella Galleria d’arte antica di Roma, espressione della sua maniera dorata.

7-Luca Giordano: L'apoteosi dei Medici,
 Palazzo Medici-Riccardi Firenze


8-Salvator Rosa: Apparizione di Astrea,
Kunsthistorisches Museum Vienna

Salvator Rosa fu una singolare figura di pittore, poeta satirico, attore ed organizzatore di spettacoli. Si dedicò alla pittura di paesaggio e di battaglia, memore del suo maestro Aniello Falcone. Si stabilì prima a Roma e poi a Firenze, dove iniziò a dipingere paesaggi di gusto classicista, abbandonando poi il genere per una visione della natura più spettacolare nelle sue manifestazioni geologiche ed atmosferiche, immersa in una luce irreale, come nella sua famosa “Marina”, conservata al Pitti a Firenze. Altri paesaggi rappresentano dirupi, alberi contorti, cieli tempestosi, espressioni di una sensibilità inquieta e fantasiosa che anticipa il Romanticismo. In questo spirito rientrano anche i quadri di “Stregonerie” celebre Le tentazioni di S. Antonio a Palazzo Pitti eseguito poco prima del rientro a Roma nel 1649 e l’inizio del periodo di riflessione filosofica, con dipinti di soggetto biblico con intenti moraleggianti. Fino al termine si dedicò alla pittura di paesaggio ed all’incisione dedicando la sua attenzione a boschi e coste della Campania, ripresi da numerosi seguaci anche nei secoli successivi.


9-Solimena: Trionfo della fede sull'eresia,
 San Domenico Maggiore Napoli

L’ultimo grande gigante fu Francesco Solimena, detto l’abate Ciccio, che visse 90 anni, protrudendo nel Settecento con una schiera folta di allievi di prima, seconda e terza battuta, interessando più generazioni. Non si mosse mai da Napoli e fu lo stesso ammirato anche all’estero, dove arrivavano i suoi dipinti. Più del Giordano egli, dopo aver appreso l’arte nella bottega paterna, guardò agli esempi del Lanfranco, da cui desunse il modellato saldo delle figure e di Mattia Preti, al quale si ispirò nella ricerca di contrastanti effetti luministici, come nella Rebecca al Pozzo, nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Con il Giordano si confrontò nelle grandi imprese decorative, come nella sagrestia di San Paolo Maggiore, rilevando tutto il suo talento di organizzatore di grandi scenografie. Fu anche architetto e nel Settecento mutò il suo stile in senso classicista, consolidato in questa direzione, come si apprezza nella Cacciata di Eliodoro del Gesù Nuovo e negli affreschi della cappella di San Filippo Neri ai Gerolomini.

La natura morta ebbe grande sviluppo, acquisendo una valenza inferiore solo alla coeva fiamminga. In quella napoletana vi è una sorta di trasposizione del dato reale in chiave barocca, con un graduale passaggio dall’ammirazione per la fedeltà oggettiva della rappresentazione allo stupore e la meraviglia per la fantasia dell’invenzione compositiva. I migliori specialisti furono talmente bravi da renderci l’odore dei fiori ed il sapore dei dolciumi raffigurati

 


10-Luca Forte:
Albero di pesche con tulipani e pappagalli,
 Collezione privata Napoli


11-Giuseppe Recco:
Natura morta di pesci con gatto,
Collezione privata Napoli

Tra i primi generisti ricordiamo Luca Forte, ancora legato alle esperienze del caravaggismo romano, splendido il suo Vaso con tulipani di una celebre raccolta napoletana e Paolo Porpora, che dipinse ortaggi, fiori e frutta, per passare poi, trasferitosi a Roma, anche ad insetti e rettili dai colori vivaci. Di gusto pienamente barocco sono le opere di Giovan Battista Ruoppolo e del figlio Giuseppe, mentre i pesci furono la specialità della famiglia Recco, che ebbe in Giuseppe il principale esponente, in grado di fissare nei suoi trionfi marini il delicato momento di trapasso tra la vita e la morte. Lo scorfano fu il suo pesce preferito, seguito dall’anguilla. Vedi ad esempio lo splendido scatto felino nel dipinto di collezione napoletana.

Non possiamo chiudere la nostra carrellata senza accennare ad alcuni “Minori”, come Andrea vaccaro, artefice di splendide fanciulle in estasi, dallo sguardo proteso al cielo ed il seno procace generosamente offerto all’osservatore. Domenico Gargiulo, più noto come Micco Spataro, illustratore di cronaca cittadina, come nella famosa Peste del museo di San Martino o cruenti supplizi come nel Martirio di San Gennaro in collezione privata napoletana.

Concludiamo con Aniello Falcone, conosciuto come l’Oracolo delle battaglie, leader indiscusso nel suo genere con dipinti anche al Louvre, che “firmava” criptaticamente le sue tele con un patognonimico polverone sullo sfondo ed un caduto nel combattimento in prima fila.

 

12-Domenico Gargiulo (detto Micco Spataro):
Decapitazione di San Gennaro,
 Collezione privata Napoli
 
  
13-Aniello Falcone: Scontro di fanti e cavalieri,
Pinacoteca Tosio-martinengo Brescia




Pubblichiamo una foto ed un video dell'evento, gentilmente forniti da Luigi Gastaldi. 
 





lunedì 10 giugno 2024

Una lavanda dei piedi di Francesco Fracanzano


fig.1 - Francesco Fracanzano
- Lavanda dei piedi (50x75cm) -
Napoli collezione privata 

Il dipinto che presentiamo ai nostri lettori, appartenente ad una celebre collezione napoletana, raffigura una Lavanda dei piedi (fig.1) ed abbiamo incontrato una certa difficoltà a stabilire l'autore, poi un esame accurato di alcuni dettagli (fig.3) presenti in altri quadri certi del pittore ci ha tolto ogni dubbio: Francesco Fracanzano.

La Chiesa vede nel gesto della lavanda dei piedi un simbolo dell'amore di Dio. Il gesto riassume tutta la vita di Gesù, il quale "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la Propria vita in riscatto per molti". Lavarsi i piedi gli uni con gli altri significa per i cristiani fare memoria dell'amore che Gesù ha avuto per i suoi discepoli. La Chiesa cattolica rivive il gesto della lavanda dei piedi durante la liturgia del Giovedì santo, nella Messa in Cena Domini. Nel gesto della lavanda dei piedi Cristo si mostra Servus servorum Dei, vale a dire "servitore fra i servitori di Dio". A Giovanni Battista, che Gesù avrebbe poi definito il più grande fra i nati di donna (Matteo 11:11), ma che non era chiamato da Cristo a far parte dei Dodici per battezzare in acqua e Spirito Santo, fu riservato il privilegio del Battesimo di Gesù in sola acqua. Se il più grande uomo mai vissuto ritenne di non essere degno di legare i lacci dei sandali di Cristo, Dio stesso invece ritenne di dover fare ancora di più del gesto del Battista, lavando i piedi dei Dodici, a partire proprio da Cefa che di lì a poco lo avrebbe rinnegato per tre volte. Servitore dei servitori di Dio è appunto un titolo che spetta ai successori di Pietro, l'apostolo al quale Gesù rese per primo testimonianza.

Il dipinto è impregnato da un potente naturalismo nella descrizione dei tratti somatici, indagati con severità nei solchi delle rughe, in linea con la lezione del Ribera, anche se il volto, intenso e vigoroso, dei personaggi raffigurati comincia a rivelare i nuovi valori cromatici, sconosciuti nella produzione giovanile del pittore, per cui la collocazione cronologica dell’opera va posta nel corso del quinto decennio del secolo, quando il rigore naturalistico comincia a cedere alle lusinghe di una tavolozza tenera e raffinata.

Il De Dominici accenna all’attività del Fracanzano nella bottega del Ribera: "il maestro molto lo adoperava nelle molte richieste di sue pitture... mezze figure di santi e di filosofi". Nessuno di questi quadri, attribuibili con un buon margine di certezza alla sua mano, è firmato o datato, probabilmente perché spesso dovevano passare per autografi del maestro e ad avvalorare questa ipotesi ci soccorrono di nuovo le parole del biografo "il Maestro molto lo adoperava nelle molte richieste di sue pitture e massimamente per quelle che dovevano essere mandate altrove, ed in paesi stranieri... egli è così simile all’opera del Ribera che bisogna sia molto pratico di lor maniera chi vuol conoscerlo... nell’esprimere la languidezza delle membra, nella decrepità dei suo vecchi". Forniamo ora dei cenni della biografia del pittore, invitando chi volesse approfondire l’argomento e visionare circa 150 foto a colori dell’artista a consultare la mia monografia (fig.2) "Francesco Fracanzano opera completa", digitando il link  

http://www.guidecampania.com/dellaragione/articolo82/articolo.htm

fig.2 - Copertina della monografia

Figlio del pittore Alessandro e fratello di Cesare, Francesco Fracanzano, nel 1622, si trasferisce a Napoli per entrare nella bottega del Ribera. Fu successivamente maestro di Salvator Rosa, quest'ultimo fratello di Giovanna, nonché sua moglie.        

Per un certo periodo le sue attività sono state condivise con il cognato Salvator Rosa e con Aniello Falcone, specializzato in scene di battaglia. Di stampo caravaggista, la sua pittura fu inizialmente accostata alla scuola dello Spagnoletto e più in particolare a quella del Maestro dell'Annuncio ai pastori. Col tempo poi, la sua arte si è allontanata dall'influenza tenebrista per assumere stili più luminosi e chiari. I capolavori del Fracanzano sono riconosciuti su tutti nelle due tele con Storie della vita di San Gregorio Armeno del 1635 nella chiesa di San Gregorio Armeno a Napoli. Il figlio, Michelangelo, fu anch'egli pittore; tuttavia non riuscì mai ad eguagliare il successo del padre.

Achille della Ragione  

fig.3 - Francesco Fracanzano -
Lavanda dei piedi (dettaglio)
Napoli collezione privata