fig. 1 - Piazza Mazzini
Ogni anno, immancabile, è previsto nel folto calendario delle mie visite guidate, un affascinante percorso nel ventre di Napoli, alla scoperta di chiese chiuse e palazzi nobiliari in rovina, condomini di bassi e panorami mozzafiato, giardini pubblici ben curati ed ex penitenziari minorili abbandonati ed occupati da gruppi extra parlamentari, per chiudere in bellezza con la visita della chiesa di Montesanto. L'appuntamento per gli amici e gli amici degli amici è fissato in piazza Mazzini (fig.1), approfittando della presenza di alcune panchine, vetuste ma efficienti, poscia, prima di cominciare la discesa lungo la Salita Pontecorvo, si visita la limitrofa quanto interessante chiesa della Cesarea, dove ha celebrato messa Padre Pio (fig.2) e dove si possono ammirare interessanti quadri del Seicento e del Settecento napoletano.
Con gli occhi carichi di meraviglie si imbocca via Cotugno e si costeggia l'antico edificio che per anni ha costituito una succursale del 1° policlinico, con la sede dell'Istituto che si interessava di malattie tropicali e sub tropicali, da tempo passate di moda e poiché oggi impera la droga e la società cerca invano di porre un argine alla sua diffusione è stato creato un Sert, che si occupa del recupero dei tossicodipendenti.
Al n.5 di via Cotugno si trova una elegante palazzina, dotata di un rigoglioso giardino, dove per alcuni decenni ha vissuto il celebre avvocato Elio Rocco Fusco, compagno di scuola di mio fratello Carlo ed al quale, quando avevo 5 anni, fittavo per 5 lire cadauno i fascicoli di Topolino. Da tempo il principe del foro, accortosi della decadenza del quartiere, ha trasferito il suo eletto domicilio in una elegante dimora posta nei pressi delle rampe Brancaccio, dopo aver lasciato la condizione di signorino impalmando la coltissima preside Amina Lucantonio, la quale per anni ha frequentato assiduamente le mie visite guidate ed il salotto culturale di mia moglie, prima di scomparire nel nulla senza alcun motivo plausibile.
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2018/04/le-memorabili-visite-guidate-ed-il.html
Pochi passi e ci imbattiamo nella prima delle chiese chiuse che incontreremo nel corso della nostra visita: quella di Gesù e Maria (fig.3), non accessibile a fedeli e visitatori da oltre 50 anni, a tal punto che all'ingresso non troviamo i soliti cespugli, ma addirittura degli alberi alti alcuni metri. Per chi volesse visitare l'interno si può usufruire di un pertugio laterale, praticato in passato dai ladri e rimasto a disposizione di eventuali curiosi, che volessero rendersi conto di come si può cancellare un passato glorioso ed entrare in un presente senza futuro.
La chiesa, intitolata a Gesù e Maria, è una pregevole opera di Domenico Fontana; è composta da una vasta navata con cupola e transetto irregolare.
La facciata mostra due campanili ai lati. Il portale è sormontato da un timpano arcuato spezzato al cui centro insiste un busto seicentesco della Madonna col Bambino.
All'interno erano custodite molte importanti opere, la maggior parte delle quali sono scampate alla razzia dei predatori d'arte, tra cui pitture come Adorazione dei Pastori (fig.4) di Fabrizio Santafede, trasferita al Museo nazionale di Capodimonte. Tuttavia sono ancora presenti, anche se in precarie condizioni, decorazioni di Giovanni Bernardino Azzolino, che dipinse in particolare gli affreschi della cappella di San Raimondo sul lato sinistro e della cappella con cupola del transetto destro.
Di Belisario Corenzio invece sono gli affreschi della cappella del transetto sinistro, non speculare a quella destra in quanto sorge a fianco dell'abside.
Anche l'altare maggiore risulta depredato, come del resto anche la balaustra in marmi rossi. Ai suoi lati sorgono ancora due monumenti funebri: a destra di chi entra il sepolcro di Isabella Guevara (fig.5), opera di Dionisio Lazzari in marmi commessi e con statua della nobildonna genuflessa. Alla sinistra invece il sepolcro di Emilia Carafa.
In fondo, è ancora presente lo scheletro degli stalli del coro ligneo.
Proseguendo l'itinerario dopo circa 200 metri, sulla destra si trova la chiesa delle Pereclitanti, chiusa ed inaccessibile da tempo infinito, mentre il contiguo monastero è stato parzialmente destinato ad ospitare una scuola.
Sulla sinistra compare maestoso l'ingresso alla chiesa delle Cappuccinelle (fig.6) con annesso monastero che fu eretta nel XVI secolo dalla vedova del Duca di Scarpato, Eleonora, in seguito ad un ex voto, allo scopo di potervi ospitare le ragazze madri. L'edificio era gestito dalla suore appartenenti all'ordine francescano.
Il complesso, nel 1712, fu completamente rifatto in forma barocca da Giovan Battista Nauclerio e tra il 1756 e il 1760 furono operate ristrutturazioni ad opera dell'architetto Nicola Tagliacozzi Canale che comportarono trasformazioni in stucco e in marmo di molti ambienti, della facciata della chiesa e del portale d'ingresso al convento.
La chiesa è a croce latina commissa, nel secondo dopoguerra fu privata della cupola, abbattuta perché pericolante. Tuttavia elemento caratterizzante il complesso restano gli archetti che coronano il braccio sud-occidentale del chiostro.
Nel 1621 l'istituto fu riconosciuto da papa Gregorio XV e soggetto alla regola cappuccina.
Nel 1809 per ordine di Gioacchino Murat si decise la soppressione del monastero e la sua conversione in riformatorio minorile prendendo il nome dal celebre giuslavorista partenopeo Gaetano Filangieri, modificato ulteriormente in “Istituto di osservazione minorile” durante il fascismo.
Nel dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta tornò ad essere un “Istituto di rieducazione” fino ad una prima ristrutturazione nel 1985, su richiesta di Eduardo De Filippo, all'epoca senatore a vita, alla quale ne seguì una seconda nel 1999 mutando la denominazione in “Centro polifunzionale diurno.
Abbandonato a se stesso l'enorme complesso, formato da centinaia di stanze inutilizzate e da giganteschi terrazzi da cui si può ammirare uno splendido panorama è stato occupato abusivamente da alcuni gruppi extra parlamentari (fig.7), che sono diventati i padroni della struttura.
Di recente, in una puntata dell'Uovo di Virgilio, Vittorio Del Tufo magistralmente descrive la vita che si svolgeva nel carcere minorile Filangieri ed il triste destino attuale della gigantesca struttura (fig.8), che potrebbe essere trasformata in ricovero per anziani e barboni, in grado di ospitare migliaia di persone.
Ma vorrei accennare ad un dettaglio scandaloso di cui quasi nessuno è a conoscenza: la contigua chiesa delle Cappuccinelle, il cui monastero è divenuto poi il Filangieri, era ricca di opere d'arte, in particolare una grande pala d'altare (fig.9) di Solimena ed alcune laterali di Andrea D'Aste, uno dei principali allievi del Giordano ed è stata sottoposta dagli attuali occupanti della struttura ad un saccheggio sistematico, asportando non solo dipinti ed acquasantiere, ma anche tutte le mattonelle del pavimento. Ma non contenti, coadiuvati da abili writers, essi hanno sostituito le immagini sacre con degli imponenti ritratti di Lenin, Fidel Castro e Che Guevara ed utilizzano la enorme sala per riunioni politiche con accesi dibattiti.
Con gli occhi carichi di meraviglie si imbocca via Cotugno e si costeggia l'antico edificio che per anni ha costituito una succursale del 1° policlinico, con la sede dell'Istituto che si interessava di malattie tropicali e sub tropicali, da tempo passate di moda e poiché oggi impera la droga e la società cerca invano di porre un argine alla sua diffusione è stato creato un Sert, che si occupa del recupero dei tossicodipendenti.
Al n.5 di via Cotugno si trova una elegante palazzina, dotata di un rigoglioso giardino, dove per alcuni decenni ha vissuto il celebre avvocato Elio Rocco Fusco, compagno di scuola di mio fratello Carlo ed al quale, quando avevo 5 anni, fittavo per 5 lire cadauno i fascicoli di Topolino. Da tempo il principe del foro, accortosi della decadenza del quartiere, ha trasferito il suo eletto domicilio in una elegante dimora posta nei pressi delle rampe Brancaccio, dopo aver lasciato la condizione di signorino impalmando la coltissima preside Amina Lucantonio, la quale per anni ha frequentato assiduamente le mie visite guidate ed il salotto culturale di mia moglie, prima di scomparire nel nulla senza alcun motivo plausibile.
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2018/04/le-memorabili-visite-guidate-ed-il.html
Pochi passi e ci imbattiamo nella prima delle chiese chiuse che incontreremo nel corso della nostra visita: quella di Gesù e Maria (fig.3), non accessibile a fedeli e visitatori da oltre 50 anni, a tal punto che all'ingresso non troviamo i soliti cespugli, ma addirittura degli alberi alti alcuni metri. Per chi volesse visitare l'interno si può usufruire di un pertugio laterale, praticato in passato dai ladri e rimasto a disposizione di eventuali curiosi, che volessero rendersi conto di come si può cancellare un passato glorioso ed entrare in un presente senza futuro.
La chiesa, intitolata a Gesù e Maria, è una pregevole opera di Domenico Fontana; è composta da una vasta navata con cupola e transetto irregolare.
La facciata mostra due campanili ai lati. Il portale è sormontato da un timpano arcuato spezzato al cui centro insiste un busto seicentesco della Madonna col Bambino.
All'interno erano custodite molte importanti opere, la maggior parte delle quali sono scampate alla razzia dei predatori d'arte, tra cui pitture come Adorazione dei Pastori (fig.4) di Fabrizio Santafede, trasferita al Museo nazionale di Capodimonte. Tuttavia sono ancora presenti, anche se in precarie condizioni, decorazioni di Giovanni Bernardino Azzolino, che dipinse in particolare gli affreschi della cappella di San Raimondo sul lato sinistro e della cappella con cupola del transetto destro.
Di Belisario Corenzio invece sono gli affreschi della cappella del transetto sinistro, non speculare a quella destra in quanto sorge a fianco dell'abside.
Anche l'altare maggiore risulta depredato, come del resto anche la balaustra in marmi rossi. Ai suoi lati sorgono ancora due monumenti funebri: a destra di chi entra il sepolcro di Isabella Guevara (fig.5), opera di Dionisio Lazzari in marmi commessi e con statua della nobildonna genuflessa. Alla sinistra invece il sepolcro di Emilia Carafa.
In fondo, è ancora presente lo scheletro degli stalli del coro ligneo.
Proseguendo l'itinerario dopo circa 200 metri, sulla destra si trova la chiesa delle Pereclitanti, chiusa ed inaccessibile da tempo infinito, mentre il contiguo monastero è stato parzialmente destinato ad ospitare una scuola.
Sulla sinistra compare maestoso l'ingresso alla chiesa delle Cappuccinelle (fig.6) con annesso monastero che fu eretta nel XVI secolo dalla vedova del Duca di Scarpato, Eleonora, in seguito ad un ex voto, allo scopo di potervi ospitare le ragazze madri. L'edificio era gestito dalla suore appartenenti all'ordine francescano.
Il complesso, nel 1712, fu completamente rifatto in forma barocca da Giovan Battista Nauclerio e tra il 1756 e il 1760 furono operate ristrutturazioni ad opera dell'architetto Nicola Tagliacozzi Canale che comportarono trasformazioni in stucco e in marmo di molti ambienti, della facciata della chiesa e del portale d'ingresso al convento.
La chiesa è a croce latina commissa, nel secondo dopoguerra fu privata della cupola, abbattuta perché pericolante. Tuttavia elemento caratterizzante il complesso restano gli archetti che coronano il braccio sud-occidentale del chiostro.
Nel 1621 l'istituto fu riconosciuto da papa Gregorio XV e soggetto alla regola cappuccina.
Nel 1809 per ordine di Gioacchino Murat si decise la soppressione del monastero e la sua conversione in riformatorio minorile prendendo il nome dal celebre giuslavorista partenopeo Gaetano Filangieri, modificato ulteriormente in “Istituto di osservazione minorile” durante il fascismo.
Nel dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta tornò ad essere un “Istituto di rieducazione” fino ad una prima ristrutturazione nel 1985, su richiesta di Eduardo De Filippo, all'epoca senatore a vita, alla quale ne seguì una seconda nel 1999 mutando la denominazione in “Centro polifunzionale diurno.
Abbandonato a se stesso l'enorme complesso, formato da centinaia di stanze inutilizzate e da giganteschi terrazzi da cui si può ammirare uno splendido panorama è stato occupato abusivamente da alcuni gruppi extra parlamentari (fig.7), che sono diventati i padroni della struttura.
Di recente, in una puntata dell'Uovo di Virgilio, Vittorio Del Tufo magistralmente descrive la vita che si svolgeva nel carcere minorile Filangieri ed il triste destino attuale della gigantesca struttura (fig.8), che potrebbe essere trasformata in ricovero per anziani e barboni, in grado di ospitare migliaia di persone.
Ma vorrei accennare ad un dettaglio scandaloso di cui quasi nessuno è a conoscenza: la contigua chiesa delle Cappuccinelle, il cui monastero è divenuto poi il Filangieri, era ricca di opere d'arte, in particolare una grande pala d'altare (fig.9) di Solimena ed alcune laterali di Andrea D'Aste, uno dei principali allievi del Giordano ed è stata sottoposta dagli attuali occupanti della struttura ad un saccheggio sistematico, asportando non solo dipinti ed acquasantiere, ma anche tutte le mattonelle del pavimento. Ma non contenti, coadiuvati da abili writers, essi hanno sostituito le immagini sacre con degli imponenti ritratti di Lenin, Fidel Castro e Che Guevara ed utilizzano la enorme sala per riunioni politiche con accesi dibattiti.
fig. 2 - Padre Pio
fig. 3 - Chiesa Gesù e Maria (facciata)
fig. 4 - Fabrizio Santafede - Adorazione dei pastori - Napoli museo di Capodimonte
fig. 5 - Dioniso Lazzari - Monumento funebre di Isabella Guevara
fig. 6 - Chiesa Cappuccinelle, ingresso
fig. 7 - Gruppi extra parlamentari occupanti la sede
fig. 8 - Cortile della struttura
fig. 9 - Francesco Solimena - Madonna e santi
Pochi passi in discesa e voltando sulla destra possiamo scoprire una inaspettata oasi di verde e di serenità : Il parco dei Ventaglieri (fig.10), che si trova a ridosso del popolare quartiere di Montesanto, a sua volta a ridosso di piazza Dante e dunque in posizione centralissima. Un luogo di relax e svago curato dai cittadini della zona facilmente raggiungibile a piedi e ben servito dai mezzi di trasporto, metropolitana linee 1 e 2 e funicolare di Montesanto. Il parco nasce nel novembre 2005, grazie al lavoro di gruppi, associazioni e singoli cittadini desiderosi di uno spazio sociale, in cui costruire nuovi legami di amicizia e di vita. Il Parco Ventaglieri ospita periodicamente assemblee pubbliche aperte a tutta la cittadinanza, in modo da favorire il confronto e la discussione su concrete problematiche, dal tema rifiuti, al disservizio fino a temi più sensibili come la violenza sulle donne. E non solo: dibattiti su sostenibilità e sviluppo urbano di qualità, ma anche attività disimpegnate come feste e spettacoli teatrali, mostre e mercatini, grazie alle potenzialità del luogo, che si nasconde nel cuore della città.
Sul percorso incontriamo poi una vera originalità, che solo a Napoli può esistere: un condominio di bassi (fig.11), ben 57, tutti ben tenuti, con le vaiasse che giocano a carte parlando a voce alta, mentre i bambini alternano il gioco del pallone a brevi percorsi in monopattino.
Pochi passi ancora e possiamo usufruire di uno spettacolare terrazzo panoramico (fig.12), di fianco al museo Nitsch (fig.13), dal quale possiamo riconoscere la gran parte delle chiese del centro storico, dalla configurazione delle cupole (fig.14) ed arrivare con lo sguardo fino al Vesuvio ed alla costiera sorrentina. Si rimane incantati ed è difficile decidere di continuare nell'itinerario prefissato, troppo grande è la sensazione di essere arrivati in Paradiso e di sostare per sempre.
Continuiamo il percorso e si rimane sconcertati alla vista di uno dei palazzi più belli d’Europa, del principe Spinelli di Tarsia (fig.15) ridotto ad un oscuro condominio ed immenso parcheggio abusivo
Il palazzo (fig.16) fu eretto, anche se solo parzialmente, su commissione di Ferdinando Vincenzo Spinelli, principe di Tarsia: la costruzione prevedeva il rifacimento di un precedente fabbricato, documentato da Carlo Celano, e il progetto fu affidato a uno dei più noti architetti napoletani del Settecento, Domenico Antonio Vaccaro. L'edificio, in origine, occupava una vasta zona alle spalle della chiesa di San Domenico Soriano. Nella struttura, secondo un disegno assonometrico redatto dallo stesso Vaccaro, si nota un fastoso ingresso che dà accesso a due scenografiche rampe a tenaglia per le carrozze con al centro una scalinata, dopo le quali ci si trovava davanti al primo corpo di fabbrica, che racchiude tre archi a sesto ribassato in legno intarsiato. Da questo si passa all'ampio cortile rettangolare, dove prospetta il maestoso palazzo elevato, a due piani con pianterreno (fig.17). La grande area verde del palazzo intendeva rifarsi ai giardini pensili di Babilonia, ma essa è oggi quasi del tutto scomparsa. L'intera struttura, dall'Unità d'Italia a oggi, non è mai stata al centro di un accurato piano di restauro e di salvaguardia, teso alla sua rivalorizzazione. Attualmente l'intero comprensorio è in profondo degrado, con un parcheggio auto abusivo (fig.18).
Voltiamo lo sguardo a sinistra ed osserviamo un vero sfacelo, la splendida facciata (fig.19) della chiesa di S. Giuseppe a Pontecorvo, opera di Cosimo Fanzago, che sta cadendo a pezzi.
L'edificio fu costruito nel 1619 occupando un’area di palazzo Spinelli a Pontecorvo ed ebbe un importante rifacimento tra il 1643 e il 1660 ad opera di Cosimo Fanzago. La chiesa appartenne prima alle monache Teresiane e successivamente vi ebbero i loro offici i padri barnabiti.
Il terremoto del 1980 fece crollare il tetto a capriate trascinando con sé il controsoffitto affrescato, i cui frammenti residui si persero col passare del tempo a causa dell'assenza di una copertura che impedisse l'entrata di pioggia e il deterioramento dell'interno. Negli anni Novanta fu costruito l'attuale tetto a capriate in legno. Tuttavia la chiesa fu depredata di molti arredi sacri e decorazioni, come marmi e balaustre. L'ipogeo è stato profanato.
Attualmente la chiesa mostra i danni causati dalle intemperie e necessita di una ristrutturazione complessiva, in particolare della facciata. Tuttavia la stabilità dell'edificio permette ad alcune associazioni di tenere aperta la chiesa (che dal terremoto non è mai stata sconsacrata) e sfruttare gli ambienti del complesso per attività ludiche e ricreative. Le modifiche che il Fanzago apportò all'apparato architettonico-scenografico, adottando la doppia facciata, crearono uno spazio antistante al sagrato caratterizzato da un'angusta salita che si contrappose allo spazio sacro interno alla facciata, come se il prospetto fosse una membrana permeabile tra sacro e profano. La facciata è composta da tre registri: il primo dove è locato l'ingresso e fiancheggiato da aperture regolari, tra il primo e il secondo c'è una fascia marcapiano che s'interrompe in corrispondenza delle mensole che fungono da basi alle lesene; il secondo ordine è tripartito da lesene si aprono tre aperture a mo' di serliana per l'esigenza di illuminare lo spazio interno e tra le aperture ci sono le statue del santo titolare al centro e di San Pietro d'Alcantara e di Santa Teresa nelle aperture laterali, mentre al di sopra di queste ultime sono esposti due busti che sporgono dal riquadro; l'ultimo registro è quello occupato dalla cantoria, nel quale si aprono tre finestre di cui quella centrale di forma mistilinea irrompe nel timpano che riprende in scala maggiore quello del portale in cima si apre un fastigio in tufo.
Oltrepassata la facciata si accede all'atrio rialzato, poiché sotto si trovano ambienti voltati con scopo di cimitero dei religiosi del convento.
La scala è a due rampe con balaustra finemente scolpita; la volta è a crociera nella parte centrale, mentre le rampe sono costituite da volte a botte e l'imposta d'accesso alla chiesa è all'altezza del secondo registro della facciata. L'interno, a croce greca con quattro cappelle angolari, rappresenta uno studio sulle progettazioni della pianta centrale a Napoli: l'intera planimetria è circoscritta da un rombo che ha l'asse maggiore che prosegue con andamento ingresso-abside, mentre il minore è l'andamento trasversale del transetto; analogamente i due estremi, cioè ingresso e abside, hanno stessa configurazione planimetrica.
Sul percorso incontriamo poi una vera originalità, che solo a Napoli può esistere: un condominio di bassi (fig.11), ben 57, tutti ben tenuti, con le vaiasse che giocano a carte parlando a voce alta, mentre i bambini alternano il gioco del pallone a brevi percorsi in monopattino.
Pochi passi ancora e possiamo usufruire di uno spettacolare terrazzo panoramico (fig.12), di fianco al museo Nitsch (fig.13), dal quale possiamo riconoscere la gran parte delle chiese del centro storico, dalla configurazione delle cupole (fig.14) ed arrivare con lo sguardo fino al Vesuvio ed alla costiera sorrentina. Si rimane incantati ed è difficile decidere di continuare nell'itinerario prefissato, troppo grande è la sensazione di essere arrivati in Paradiso e di sostare per sempre.
Continuiamo il percorso e si rimane sconcertati alla vista di uno dei palazzi più belli d’Europa, del principe Spinelli di Tarsia (fig.15) ridotto ad un oscuro condominio ed immenso parcheggio abusivo
Il palazzo (fig.16) fu eretto, anche se solo parzialmente, su commissione di Ferdinando Vincenzo Spinelli, principe di Tarsia: la costruzione prevedeva il rifacimento di un precedente fabbricato, documentato da Carlo Celano, e il progetto fu affidato a uno dei più noti architetti napoletani del Settecento, Domenico Antonio Vaccaro. L'edificio, in origine, occupava una vasta zona alle spalle della chiesa di San Domenico Soriano. Nella struttura, secondo un disegno assonometrico redatto dallo stesso Vaccaro, si nota un fastoso ingresso che dà accesso a due scenografiche rampe a tenaglia per le carrozze con al centro una scalinata, dopo le quali ci si trovava davanti al primo corpo di fabbrica, che racchiude tre archi a sesto ribassato in legno intarsiato. Da questo si passa all'ampio cortile rettangolare, dove prospetta il maestoso palazzo elevato, a due piani con pianterreno (fig.17). La grande area verde del palazzo intendeva rifarsi ai giardini pensili di Babilonia, ma essa è oggi quasi del tutto scomparsa. L'intera struttura, dall'Unità d'Italia a oggi, non è mai stata al centro di un accurato piano di restauro e di salvaguardia, teso alla sua rivalorizzazione. Attualmente l'intero comprensorio è in profondo degrado, con un parcheggio auto abusivo (fig.18).
Voltiamo lo sguardo a sinistra ed osserviamo un vero sfacelo, la splendida facciata (fig.19) della chiesa di S. Giuseppe a Pontecorvo, opera di Cosimo Fanzago, che sta cadendo a pezzi.
L'edificio fu costruito nel 1619 occupando un’area di palazzo Spinelli a Pontecorvo ed ebbe un importante rifacimento tra il 1643 e il 1660 ad opera di Cosimo Fanzago. La chiesa appartenne prima alle monache Teresiane e successivamente vi ebbero i loro offici i padri barnabiti.
Il terremoto del 1980 fece crollare il tetto a capriate trascinando con sé il controsoffitto affrescato, i cui frammenti residui si persero col passare del tempo a causa dell'assenza di una copertura che impedisse l'entrata di pioggia e il deterioramento dell'interno. Negli anni Novanta fu costruito l'attuale tetto a capriate in legno. Tuttavia la chiesa fu depredata di molti arredi sacri e decorazioni, come marmi e balaustre. L'ipogeo è stato profanato.
Attualmente la chiesa mostra i danni causati dalle intemperie e necessita di una ristrutturazione complessiva, in particolare della facciata. Tuttavia la stabilità dell'edificio permette ad alcune associazioni di tenere aperta la chiesa (che dal terremoto non è mai stata sconsacrata) e sfruttare gli ambienti del complesso per attività ludiche e ricreative. Le modifiche che il Fanzago apportò all'apparato architettonico-scenografico, adottando la doppia facciata, crearono uno spazio antistante al sagrato caratterizzato da un'angusta salita che si contrappose allo spazio sacro interno alla facciata, come se il prospetto fosse una membrana permeabile tra sacro e profano. La facciata è composta da tre registri: il primo dove è locato l'ingresso e fiancheggiato da aperture regolari, tra il primo e il secondo c'è una fascia marcapiano che s'interrompe in corrispondenza delle mensole che fungono da basi alle lesene; il secondo ordine è tripartito da lesene si aprono tre aperture a mo' di serliana per l'esigenza di illuminare lo spazio interno e tra le aperture ci sono le statue del santo titolare al centro e di San Pietro d'Alcantara e di Santa Teresa nelle aperture laterali, mentre al di sopra di queste ultime sono esposti due busti che sporgono dal riquadro; l'ultimo registro è quello occupato dalla cantoria, nel quale si aprono tre finestre di cui quella centrale di forma mistilinea irrompe nel timpano che riprende in scala maggiore quello del portale in cima si apre un fastigio in tufo.
Oltrepassata la facciata si accede all'atrio rialzato, poiché sotto si trovano ambienti voltati con scopo di cimitero dei religiosi del convento.
La scala è a due rampe con balaustra finemente scolpita; la volta è a crociera nella parte centrale, mentre le rampe sono costituite da volte a botte e l'imposta d'accesso alla chiesa è all'altezza del secondo registro della facciata. L'interno, a croce greca con quattro cappelle angolari, rappresenta uno studio sulle progettazioni della pianta centrale a Napoli: l'intera planimetria è circoscritta da un rombo che ha l'asse maggiore che prosegue con andamento ingresso-abside, mentre il minore è l'andamento trasversale del transetto; analogamente i due estremi, cioè ingresso e abside, hanno stessa configurazione planimetrica.
Fig. 10 - Parco dei Ventaglieri
fig. 11 - Condominio di bassi
fig.12 -Museo-Hermann Nitsch |
fig. 13 - Terrazza panoramica
fig. 14 - Uno scorcio di panorama
fig. 15 - Francesco Solimena -
Ritratto di Ferdinando Vincenzo Spinelli, principe di Tarsia - Napoli museo di Capodimonte
fig. 16 - Palazzo Spinelli Tarsia
fig. 18 - Area di parcheggio
fig. 19 - Facciata della chiesa di San Giuseppe a Pontecorvo
fig. 20 - Luca Giordano -Sacra famiglia coi simboli della passione, 1660-
Napoli giá chiesa SS. Guseppe e Teresa Pontecorvo
Tra le opere che la chiesa possedeva vi erano un dipinto di Luca Giordano, datato 1660 e oggi al Museo di Capodimonte e sugli altari, sia a destra che a sinistra, due opere di Francesco Di Maria: il Calvario (fig.21) e Santa Teresa e San Pietro d'Alcantara (fig.22) custodite nella Cappella Palatina del Palazzo Reale.
Pochi passi ancora e ci troviamo al cospetto della chiesa di S. Antonio a Tarsia (fig.23) la quale ha subito rilevanti rimaneggiamenti nella prima metà del XVIII secolo. Gli stucchi sulla facciata sono di Angelo Viva; la pregevole statua marmorea di Sant'Antonio è stata creata da Francesco Pagano. Il pavimento maiolicato del 1739 è opera di Donato Massa, mentre nella sacrestia sono conservate ulteriori opere: La Sacra Famiglia di Andrea Vaccaro e La Pentecoste di Andrea Miglionico.
Dopo un lungo periodo di chiusura un gruppo di barboni ha deciso di eleggere il luogo di culto a proprio domicilio, sfondando la porta e portando nell'interno alcune decine di materassi, che sono divenuti comodi giacigli per non passare le notti all'aperto, il tutto senza rubare niente, raro esempio di comportamento onesto e lodevole.
E concludiamo in bellezza il nostro tour, dopo tante chiese chiuse, con la visita di S. Maria di Montesanto (fig.24), aperta, unica a Napoli, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 e nella quale oltre a venerare il Padre eterno, la Madonna ed i santi, si adora, come avviene in S. Giuseppe dei Ruffi, un'altra entità divenuta, in tempi di movida scatenata e frastuono assordante, una vera rarità: il silenzio. Di conseguenza la spiegazione deve avvenire all'esterno, perchè il parroco al primo bisbiglio diventa furioso. Illustro le prime due cappelle a sinistra ed a destra dell'ingresso, che espongono 2 pregevoli dipinti del De Matteis (fig.25), e la terza a sinistra, dedicata a S. Cecilia, che oltre ad un mirabile quadro del Simonelli (fig.26), conserva i resti mortali di Alessandro Scarlatti, uno dei massimi esponenti della tradizione musicale napoletana.
Usciti Usciti dalla chiesa un applauso scrosciante al sottoscritto da parte della folla di visitatori ed un appuntamento alla prossima visita guidata.
Achille della Ragione
Pochi passi ancora e ci troviamo al cospetto della chiesa di S. Antonio a Tarsia (fig.23) la quale ha subito rilevanti rimaneggiamenti nella prima metà del XVIII secolo. Gli stucchi sulla facciata sono di Angelo Viva; la pregevole statua marmorea di Sant'Antonio è stata creata da Francesco Pagano. Il pavimento maiolicato del 1739 è opera di Donato Massa, mentre nella sacrestia sono conservate ulteriori opere: La Sacra Famiglia di Andrea Vaccaro e La Pentecoste di Andrea Miglionico.
Dopo un lungo periodo di chiusura un gruppo di barboni ha deciso di eleggere il luogo di culto a proprio domicilio, sfondando la porta e portando nell'interno alcune decine di materassi, che sono divenuti comodi giacigli per non passare le notti all'aperto, il tutto senza rubare niente, raro esempio di comportamento onesto e lodevole.
E concludiamo in bellezza il nostro tour, dopo tante chiese chiuse, con la visita di S. Maria di Montesanto (fig.24), aperta, unica a Napoli, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 e nella quale oltre a venerare il Padre eterno, la Madonna ed i santi, si adora, come avviene in S. Giuseppe dei Ruffi, un'altra entità divenuta, in tempi di movida scatenata e frastuono assordante, una vera rarità: il silenzio. Di conseguenza la spiegazione deve avvenire all'esterno, perchè il parroco al primo bisbiglio diventa furioso. Illustro le prime due cappelle a sinistra ed a destra dell'ingresso, che espongono 2 pregevoli dipinti del De Matteis (fig.25), e la terza a sinistra, dedicata a S. Cecilia, che oltre ad un mirabile quadro del Simonelli (fig.26), conserva i resti mortali di Alessandro Scarlatti, uno dei massimi esponenti della tradizione musicale napoletana.
Usciti Usciti dalla chiesa un applauso scrosciante al sottoscritto da parte della folla di visitatori ed un appuntamento alla prossima visita guidata.
Achille della Ragione
fig. 21 - Francesco Di Maria - Calvario |
fig. 22 - Francesco Di Maria - S. Teresa e S. Pietro d'Alcantara |
fig. 23 - Chiesa S. Antonio a Tarsia
fig. 24 - Chiesa S. Maria di Montesanto
fig. 25 - Paolo De Matteis - Miracolo di S. Antonio da Padova
fig. 26 - Giuseppe Simonelli - S. Cecilia