La bottega di Ribera in piena attività
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fig.01 - San Pietro |
Un collezionista di Reggio Emilia mi ha inviato la foto di uno splendido San Pietro (fig. 01), facente parte in passato di una serie di apostoli transitato venti anni fa sul mercato e di cui fortunosamente sono riuscito a recuperare le immagini delle altre tele (fig. 2), tutte con le stesse dimensioni (100 – 74), le quali recano sul telaio il sigillo in ceralacca della raccolta di Ambrogio Ubaldo (1785 – 1865), banchiere milanese e noto collezionista di armi e di dipinti, nel cui testamento e nei cui inventari, studiati da Simonetta Coppa, non vi è traccia della serie in esame.
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fig.02 |
Dopo qualche anno sono comparsi presso l’antiquario Antonello Governale di Palermo un San Tommaso (fig. 3) ed un San Filippo (fig. 4), sempre delle stesse dimensioni e con il sigillo dell’Ubaldo, sotto un’attribuzione dubitativa a Claude Vignon.
Alla serie appartiene anche un San Giuda Taddeo (fig. 5), che richiama a viva voce un San Giovanni Battista (fig. 6) pubblicato da Roberto Longhi nel 1959 sulla rivista Paragone (n. 109, pag. 58), come pure in passato qualcuno ha voluto vedere una somiglianza tra il San Pietro ed uno dei personaggi presenti in un Cristo e l’adultera transitato nel 1993 a New York presso Sotheby,s con un’attribuzione a Stomer (fig. 7).
Dopo questo breve excursus storico e dopo aver precisato che il San Pietro reca sul verso una firma apocrifa “Spagnoleto” (fig. 8) dobbiamo affermare che la serie sembra essere stata realizzata da più mani con derivazioni tratte da fonti diverse, anche se il San Pietro appare diverso da tutti gli altri lemmi.
I dipinti trasudano anche in foto un inconfondibile afrore napoletano, per cui siamo certi che sono stati realizzati in quella straordinaria officina di talenti che per anni fu costituita dalla bottega di Ribera e per quel che riguarda il San Pietro riteniamo di trovarci davanti ad uno dei massimi raggiungimenti di Francesco Fracanzano, uno dei suoi allievi più dotati.
La rappresentazione di mezze figure di santi e filosofi, investigati con crudo realismo, fu una moda nata nella bottega del Ribera a Napoli ed affermatasi poi anche in provincia grazie ai suoi discepoli, tra i quali, con una rilettura originale, si annovera anche il sommo Luca Giordano, che più volte ritornerà sul tema nel corso della sua lunga carriera, dilatando oltre misura la sua fase riberesca, identificata erroneamente dalla critica con un periodo unicamente giovanile.
Tra i più convinti seguaci del valenzano si distingue Francesco Fracanzano, il quale nel 1622, dalla natia Monopoli, si trasferisce con la famiglia nella capitale, entrando giovanissimo nell’ambiente artistico partenopeo, grazie anche al matrimonio, celebrato nel 1632, con la sorella di Salvator Rosa.
Lavorando con il Ribera ne recepì la stessa predilezione per la corposità della materia pittorica e ripropose spesso i soggetti più richiesti dalla committenza: studi di teste e mezze figure di filosofi e profeti su fondo scuro. Nel convento e nella chiesa di San Pasquale a Taranto si conservano una decina di tele raffiguranti il Redentore, apostoli e santi anacoreti, tutti a mezza figura su sfondo scuro, che rivelano la mano di più artisti (vi è anche un dipinto firmato di Giordano, aggiunto in epoca successiva), tra cui spicca Francesco, col quale probabilmente collabora Cesare. Infatti in un paio di dipinti “la massa pittorica appare più levigata, più morbidamente plasmata e meno vibrante di vita. Qualche indulgenza ad un gusto manieristico più abboccato, un certo compiacimento formalistico, un senso morale più allentato e molte concessioni di indole pietistica e devozionale che suggeriscono il nome di Cesare come collaboratore, qui impressionato dalla prepotente personalità del fratello” (D’Elia).
Si tratta di poderosi personaggi vestiti di rudi panni, con attributi iconografici irrilevanti che solo con l’ausilio della fantasia ne permettono l’identificazione con San Bartolomeo, San Simone o San Matteo. Più facile riconoscere S. Andrea o il Redentore.
Sotto l’apparenza di santi scorre una galleria di ritratti dal vero di rudi contadini e di fieri pastori, personaggi che vivono e lavorano ancor oggi con fatica tra le pietraie delle Murgie e gli oliveti del Salento.
Si tratta di un’iconografia inconsueta per gli altari severi delle chiese, che tradisce la committenza di qualche alto prelato per la sua privata quadreria.
San Pietro assume l’aspetto di un filosofo, mentre San Simone somiglia ad un pensatore greco o ad un filosofo dell’antichità. Sono dipinti dai quali trasuda una profonda umanità che comunica allo spettatore un messaggio di poderosa forza morale, senza indulgere ad un formalismo decorativo: un fondo scuro dal quale campeggia una figura, severa e bonaria allo stesso tempo, realizzata con una pennellata generosa, grassa e pastosa, quella che sarà definita tremendo impasto, piena di impeto e pregna di una luce rigorosa che penetra nelle pieghe della fronte e nelle mani, forti e nodose.
Sono certamente tra le prime prove di Francesco, come si evince chiaramente nel San Bartolomeo con la sua intatta monumentalità, la sua dirittura morale, la sua ridondante materia pittorica che richiama, e forse precede, le austere figure presenti nelle Storie di San Gregorio Armeno e in egual misura il San Paolo che scrive l’epistola a Filomene, già nel coro del duomo di Pozzuoli, che Zeri credeva di Cesare, ma che, come già affermava l’Ortolani, è uno degli esiti più coerenti di Francesco.
Il De Dominici accenna all’attività del Fracanzano nella bottega del Ribera:”il maestro molto lo adoperava nelle molte richieste di sue pitture... mezze figure di santi e di filosofi”.
Nessuno di questi quadri, attribuibili con un buon margine di certezza alla sua mano, è firmato o datato, probabilmente perché spesso dovevano passare per autografi del maestro e ad avvalorare questa ipotesi ci soccorrono di nuovo le parole del biografo ”il Maestro molto lo adoperava nelle molte richieste di sue pitture e massimamente per quelle che dovevano essere mandate altrove, ed in paesi stranieri... egli è così simile all’opera del Ribera che bisogna sia molto pratico di lor maniera chi vuol conoscerlo... nell’esprimere la languidezza delle membra, nella decrepità dei suo vecchi.”
Il San Pietro in esame rientra pienamente in quella produzione di alta qualità che poteva tranquillamente reggere l’attribuzione al maestro.